Riconoscere le realtà israelo-palestinesi richiede che gli Stati Uniti, non la Lega Araba, cambino direzione.
05.04.2013
http://www.huffingtonpost.com/james-zogby/recognizing-israeli-pales_b_3214945.html
Riconoscere le realtà israelo-palestinesi richiede che gli Stati Uniti, non la Lega Araba, cambino direzione.
di James Zogby
La settimana scorsa un comitato della Lega Araba ha proposto un
cambiamento nella sua iniziativa di pace del 2002 nella quale propose la
normalizzazione delle relazioni con Israele a seguito del completo
ritiro degli israeliani dai territori occupati nel 1967 e un concordato
sulla risoluzione riguardante la questione dei profughi palestinesi.
Modificando un po’ questa, ciò che ha fatto la settimana scorsa il
comitato della Lega Araba è stato riaffermare che i confini del 1967
dovrebbero essere la base per una pace definitiva tra Israele e
Palestina pur riconoscendo che la nozione di "scambio di territori"
sarebbe una parte accettabile di un accordo di tal genere. Questo
rappresenterebbe per Israele un’importante concessione, permettendogli
di conservare enormi blocchi di colonie la cui fondazione risale al 1967
– alcune lungo i confini del ’67, altre attorno a Gerusalemme, altre
ancora che spuntano nel cuore della West Bank, separando molte aree dei
territori palestinesi.
Mentre alcuni palestinesi denigrano la decisione del
comitato della Lega Araba ritenendola una concessione ingiustificata,
altri nel campo israeliano della pace hanno proclamato la mossa come un
importante passo avanti. Da parte sua, il primo ministro israeliano
Netanyahu ha versato acqua fredda sull’offerta, liquidandola come
irrilevante, dichiarando che le questioni di maggiore importanza che
hanno separato Israele dagli arabi non sono mai state di tipo
territoriale.
Questo rifiuto avrebbe dovuto essere previsto ed è
sorprendente che non lo sia stato. E’ un peccato che le analisi del
conflitto israelo-palestinese e le azioni di alcune parti in gioco siano
spesso errate in quanto troppo spesso ignorano realtà importanti che si
sa essere vere.
All’indomani di questo incontro della Lega Araba, ho
ascoltato un importante funzionario arabo esprimere una valutazione
dello stato attuale del conflitto iaraelo-palestinese. Ha cominciato con
l’osservare "fatti" che a suo dire definiscono lo stato delle cose:
Israele si è spostato a destra, con un governo in debito con il
movimento dalla linea dura dei coloni che non è disposto a cedere quello
che credono sia terra loro " per eredità divina"; i palestinesi sono
divisi, con nessuna delle parti che dimostra la disponibilità a giungere
a una riconciliazione – Hamas, perché non vuole venire emarginata e,
l’Autorità Palestinese, perché non vuole perdere il finanziamento
internazionale e il sostegno che è persuasa ne deriverebbe da qualsiasi
accordo unitario con Hamas; gli Stati Uniti non possono essere un
"onesto mediatore" data la politica di Washington; e il mondo arabo è
nel caos, con i Fratelli Musulmani che hanno il consenso in alcune aree e
l’Iran che è causa di preoccupazione per gli altri stati della regione.
Dopo l’esposizione di questo ritratto abbastanza
crudo e deprimente, la conversazione si è spostata, quasi senza
soluzione di continuità, sulla discussione riguardante lo stato attuale
del "processo di pace" e la procedura da seguire per riavviare i
negoziati. La cosa più importante per me è stata il quasi totale
scollamento tra questa fase della discussione e la presentazione dei
"fatti" che l’aveva preceduta.
Se la coalizione di governo di Israele ha una linea
dura decisa, piegata a favore dei coloni, che non è in grado di fare
concessioni territoriali; se il movimento palestinese è
irrimediabilmente spaccato; e se gli Stati Uniti non sono ritenuti
incapaci di fare pressione sugli israeliani per un cambiamento di rotta,
allora, si può ragionevolmente domandare "a che cosa serve fare a
Israele ulteriori concessioni per la pace che non accetterà; in
particolar modo quando queste concessioni si tradurranno nella
separazione di Gerusalemme dai suoi sobborghi palestinesi e nella
creazione di divisioni ancora più profonde nella politica palestinese?"
Ignorare la realtà nel contesto israelo-palestinese
ha delle implicazioni. Alla vigilia della Conferenza di Pace di Madrid
del dopo guerra del Golfo, per esempio, gli Stati Arabi decisero di
porre fine al loro marginale boicottaggio economico di Israele in cambio
della partecipazione di Israele alla conferenza e dell’accordo di
congelare la sua colonizzazione nei territori occupati. Vent’anni dopo, i
colloqui di pace sono interrotti e il numero dei coloni nei territori è
triplicato. Dopo l’abbandono della pressione, gli arabi si sono resi
conto che non è rimasta loro alcuna influenza da usare con Israele e,
rinunciando gli Stati Uniti a mostrare i muscoli per fare rispettare il
promesso "congelamento", il processo di pace si è trascinato e le
colonie hanno continuato a crescere.
Nulla di ciò parla per inerzia, ma sollecita
l’attenzione e un cambio di direzione. Una strada da seguire è quella di
rivedere ciò che il presidente Obama ha detto nel suo recente discorso a
Gerusalemme, in cui si è impegnato a sostenere Israele, mentre ha
sfidato gli israeliani ad accettare e a fare i conti con la necessità di
giustizia dei palestinesi. Le osservazioni del presidente erano
originate, credo, dalla sua convinzione della necessità di riconoscere
l’importanza della realtà nella definizione della politica.
Dato questo, per l’Amministrazione Obama la giusta
direzione dell’azione è che il presidente metta i muscoli dietro alle
parole rivolte al pubblico israeliano. Il suo discorso di Gerusalemme
consiste di due parti. Ha impegnato la sua amministrazione a sostenere
pienamente la sicurezza di Israele e ha premuto gli israeliani perché
affrontino senza mezzi termini la questione dei diritti dei palestinesi.
Dopo aver espresso il primo (con una quantità senza precedenti di
assistenza alla sicurezza), ha sentito il bisogno, come ha lasciato
intendere di recente un attivista israeliano per la pace, di "prendere
il toro per le corna" e far capire al pubblico israeliano dove lo stanno
conducendo le politiche del governo. Se per il popolo israeliano la
strada da seguire, come ha suggerito il presidente nel suo discorso a
Gerusalemme, consiste nel chiedere un cambio di direzione, allora egli
deve impegnarsi a fornire un aiuto per il cambio della politica
all’interno di Israele. Se gli Stati Uniti fanno solo ulteriori
concessioni al governo di Netanyahu e poi esercitano pressioni sugli
arabi perché facciano ancor più concessioni, come tutto ciò potrà mai
portare a un cambiamento nei disegni di Israele? Il presidente ha donato
amore agli israeliani, ora deve consegnare un amore difficile e dure
verità.
E riconoscendo che la pace non è possibile con solo
l’accordo di metà dei palestinesi, gli Stati Uniti dovrebbero fornire ai
palestinesi un’apertura che li spinga alla riconciliazione – mettendo
in chiaro che se Hamas accetterà le condizioni per un consolidato
governo palestinese di unità nazionale, sosterranno tale accordo e
solleciteranno pure gli altri membri del Quartetto e il Congresso ad
appoggiarlo.
In breve, data la realtà attuale, la pace non può
essere possibile. Ma se le correnti condizioni delle politiche interne
sia israeliane che palestinesi dovessero cambiare e se gli Stati Uniti
potessero dimostrare di essere un agente efficace di tale cambiamento,
allora le porte, ora chiuse, potrebbero essere aperte.
(tradotto da mariano mingarelli)
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