L’unità nei termini di Israele non servirà di jonathan Cook

 Z Net Italy

11 giugno 2014
Nell’atmosfera celebrativa della settimana scorsa quando il governo di unità palestinese ha prestato giuramento, mettendo fina alla faida di sette anni tra Fatah ed Hamas, è stato facile non fare caso a chi era assente.
Hamas aveva acconsentito a rimanere nell’ombra per placare Washington che è legalmente obbligata a rifiutare aiuto a un governo che comprende un gruppo definito terrorista. Il nuovo gabinetto palestinese sembrava un po’diverso da quello precedente; il contributo di Hamas era limitato a tre indipendenti, tutti con cariche  ministeriali di livello inferiore.
Dato che questo governo sta ancora operando nell’ambito dei confini dell’occupazione israeliana, ai tre ministri di Gaza è stato rifiutato il permesso di andare in Cisgiordania per la cerimonia del giuramento del 2 giugno.
La nomina di un governo temporaneo di tecnocrati probabilmente è la fase più facile di riconciliazione su cui ci si è accordati alla fine di aprile. Finora l’accordo è durato – al contrario di altri precedenti – perché Hamas, in difficoltà   ancora più estreme  del suo rivale Fatah, ha capitolato.
Per tale ragione, gli Stati Uniti e la maggior parte del mondo si sono affrettati a offrire la loro benedizione. Il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, invece,  ha espresso avvertimenti  catastrofici  sul “rafforzamento del terrore” e ha dato l’OK ad altre 3.300 abitazioni per i coloni per punire i palestinesi.
Una fase ancora più complicata deve ancora arrivare: il gabinetto palestinese del presidente Mahmoud Abbas ha necessità di gestire un’elezione nazionale duramente contestata tra Fatah e Hamas,  prevista per l’inizio del prossimo anno.

Le elezioni sono considerate fondamentali. I palestinesi non hanno avuto voce in capitolo?? Su chi li governa, fin dal 2006, quando Hamas aveva vinto. Un anno dopo, dopo brevi violenti combattimenti,  Hamas e Fatah hanno creato feudi  separati a Gaza e in Cisgiordania. Entrambi hanno necessità di dimostrare la loro legittimità alle elezioni.
Se l’elezione dovesse aver luogo, e Hamas dovesse vincere di nuovo, ci si può aspettare che gli Stati Uniti ed altri paesi boicottino il nuovo governo – provocando il ritiro di aiuti disperatamente  necessari – come avevano già fatto nel 2006.
Ma, ancora più probabilmente, Israele non permetterà che si svolgano le elezioni.
Otto anni fa, nei mesi precedenti alle elezioni, Israele aveva iniziato a eseguire un’ondata di arresti di capi di Hamas nel tentativo di ostacolare il processo democratico. Israele ha anche sperato di bloccare le elezioni a Gerusalemme est occupata, che considera parte della sua capitale “eterna, indivisibile.” La Casa Bianca – rendendosi conto che delle elezioni senza Gerusalemme avrebbero perduto di credibilità – ha fatto pressioni su Israele perché avesse un atteggiamento di consenso forzato.
Ci si ricorda molto meno del fatto che Fatah ha cospirato sommessamente con Israele per cercare di rimandare le elezioni nazionali. Temendo che Hamas avrebbe fatto man bassa di voti, Fatah sperava di usare l’intransigenza di Israele a Gerusalemme come pretesto necessario per rimandare più ampie elezioni a un periodo più favorevole per i suoi candidati.
Netanyahu ha già annunciato che non permetterà elezioni a Gerusalemme est, e ha anche fatto capire che ad Hamas verrà proibito di competere altrove. Questa non è certo una sorpresa: Israele ha passato gli scorsi otto anni sradicando Hamas da Gerusalemme, mettendo in prigione i suoi capi o espellendoli in Cisgiordania.
Il comportamento di Fatah nel 2006, accenna però a un ostacolo più grosso al compimento  della riconciliazione. La realtà è che Hamas e Fatah sono entrate nel processo per l’unità soltanto a causa della reciproca disperazione.
L’isolamento politico e geografico di Hamas a Gaza ha toccato nuove profondità dato che il regime egiziano è diventato ostile. Bloccata da tutti i lati, Hamas ha visto erodersi  il suo appoggio quando è peggiorata la crisi economica dell’enclave. Un accordo con Fatah sembra l’unica maniera di aprire i confini.
Nel frattempo la credibilità di Fatah e di Abbas è stata costantemente danneggiata da anni di collaborazione con Israele – mentre gli insediamenti si sono estesi – nella speranza di estorcere una concessione per condizione di stato. Avendo poco da dimostrare al riguardo, Fatah viene sempre più considerato come l’appaltatore codardo della sicurezza  di Israele
La nuova strategia di Abbas – creare uno slancio verso la condizione di stato alle Nazioni Unite, richiede che il suo futuro governo stabilisca le sue credenziali democratiche, la sua integrità territoriale, e un consenso nazionale in appoggio all’ diplomatica.
Per Netanyahu la priorità non è soltanto di invalidare le elezioni, ma di indebolire l’impegno delle due parti per l’unità, punendole per la loro sfacciataggine. Può farlo  dato il controllo che ha Israele su tutti gli aspetti della vita palestinese.
Israele ha iniziato non soltanto con un altro eccesso di costruzione di insediamenti, ma dichiarando guerra all’economia palestinese, rifiutandosi di accettare depositi in sheckel dalle banche palestinesi, e imponendo ai palestinesi interruzioni di corrente collettive per le bollette non pagate alla compagnia israeliana dell’elettricità.
Abbas, ora responsabile del pagamento dei salari mensili per diecine di migliaia di impiegati statali di Gaza, sarà ancora più vulnerabile alle minacce di Israele di rifiutare di trasferire le entrate fiscali  e doganali. Lunedì è stato riferito che Israele aveva anche fatto pressioni per avere capitali stranieri per assicurarsi che il presidente palestinese fosse ritenuto direttamente responsabile di qualsiasi razzo lanciato da Gaza.
Hamas ha davanti un periodo non meno difficile. Se si allontanerà troppo  dagli ordini di Fatah, sarà incolpato di aver distrutto  il patto di unità, ma se si uniformerà troppo a Fatah, perderà la sua identità e rischierà di essere superato da gruppi più militanti,  come la Jihad islamica.
Samah Sabawi, un analista politico, a proposito del governo di unità, ha osservato: “Quello di cui abbiamo bisogno, più che ministeri e autorità, è la resistenza e la liberazione.”. Il governo di unità – che sia di tecnocrati o di funzionari eletti – opererà ancora nelle limitazioni imposte dall’occupazione di Israele.
Infatti il governo di unità sta semplicemente riprendendo vita nell’illusione – creata dagli accordi di Oslo di venti anni fa – che un buon modo di governare dell’Autorità Palestinese, possa cambiare in meglio la situazione. In pratica tale governo ha comportato la presentazione di richieste alla Sicurezza di Israele, un obbligo palestinese che la settimana scorsa Abbas ha definito “sacrosanto”.
Come suggerisce Sabawi, un popolo occupato non ha bisogno di un sistema migliore di raccolta dell’immondizia, o di illuminazione delle strade, ma di un’efficace strategia di resistenza.
I palestinesi non avranno vantaggi da un’Autorità Palestinese che controlla l’occupazione semplicemente perché diventi più “unificato”, ma , piuttosto, la loro lotta per raggiungere una reale libertà, diventerà un po’ più sconsolante.
Jonathan Cook ha vinto il Premio Speciale  Martha Gellhorn per il Giornalismo.  I suoi libri più recenti sono: “Israel and the Clash of Civilisations: Iraq, Iran and the Plan to Remake the Middle East” [ Israele e lo scontro di civiltà: Iraq, Iran e il piano per rifare il Medio Oriente] (Pluto Press) e Disappearing Palestine: Israel’s Experiments in Human Despair” [La Palestina che scompare: gli esperimenti di Israele di disperazione umana] (Zed Books).  Il suo nuovo sito web è: www.jonathan-cook.net.
Una versione di questo articolo è stata pubblicata la prima volta su The National, di Abu Dhabi.
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte: http://zcomm.org/znet/article/unity-in-israel-s-terms-won-t-help
Originale : non indicato
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2014 ZNET Italy – Licenza Creative Commons  CC BY NC-SA 3.0
 

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