DAVID GROSSMAN. Fra Storia e finzione le ossessioni di Bibi tengono in trappola il popolo...
Lo
scrittore David Grossman racconta le ultime prese di posizione del
premier: un uomo che “guarda il mondo con occhi apparentemente aperti ma
di fatto chiusi”
dirittiglobali.it
All’improvviso, tutto si è cristallizzato in
qualcosa di nuovo e minaccioso: la combinazione dei due fallimenti in
cui Netanyahu è incorso nell’ultima settimana. Il primo, un fallimento
quasi mostruoso – la questione del mufti e di Hitler – ed il secondo,
minore e quasi comico – la storia del binocolo con le lenti tappate,
usato nel corso di un sopralluogo alla divisione schierata sul confine
di Gaza.
Di colpo, tutto è diventato palpabile:
chiunque, in Israele e nel mondo, ha potuto vedere come il modo di
osservare di Netanyahu sia rivolto, in fin dei conti, solo e unicamente
verso se stesso, dentro di sè.
Chiunque abbia ascoltato il suo discorso su
Hitler ed il mufti (in cui di fatto ha “assolto” Hitler dalla colpa di
avere “inventato” l’idea della “soluzione finale”, attribuendone
l’ispirazione al leader arabo Hadj Amin al-Husseini), ha potuto vedere,
con chiarezza, le cose che Netanyahu vede dentro di sé: il meccanismo –
quasi automatico – che gli permette di cancellare i fatti,
consentendogli di trasformare, con una specie di capovolgimento della
coscienza, una situazione di occupazione e repressione in una di
persecuzione e vittimizzazione.
Parallelamente, viene rivelato anche il modo in
cui sovrappone alla realtà la sua visione vittimistica del mondo: come
se lanciasse una rete fitta, ermetica, da cui non c’è via d’uscita né di
scampo, nemmeno per se stesso. Ma questa volta, più delle precedenti,
risulta anche chiaro fino a che punto noi, cittadini di Israele, siamo
intrappolati e annaspiamo in questa rete.
Già da molti anni, dall’inizio del suo percorso
verso la carica di primo ministro, Netanyahu eccelle nel mescolare e
rimestare i pericoli veri che Israele si trova ad affrontare con gli
echi del trauma della Shoah.
Grazie al suo talento, ad una brillante
capacità retorica ed una grande forza di convinzione, riesce a
intrappolare la maggioranza della società israeliana in un labirinto di
echi e di fatti reali. Un labirinto entro cui, apparentemente, egli
stesso vive e che questa settimana è stato svelato agli occhi di un
mondo sbalordito.
Israele è un paese di sopravvissuti a un’enorme
catastrofe, una società che soffre di traumi: quello della storia
ebraica, della Shoah e anche delle guerre frequenti. In un certo senso,
la maggioranza di noi è impotente di fronte alle sofisticate
manipolazioni, del nostro primo ministro.
Anche per noi è molto difficile fare una
distinzione razionale fra i pericoli concreti e gli echi del passato che
ci rimbombano nelle orecchie. Ci arrendiamo a tali paure con facilità,
alle volte persino con entusiasmo. Non c’è da meravigliarsi: sono incise
nel nostro DNA collettivo e personale e in maniera del tutto naturale
emergono rapidamente in superficie ad ogni minaccia o pericolo. In un
batter d’occhio, gli echi del passato ingigantiscono le minacce del
presente, e noi ci ritroviamo “laggiù” – anche se i fatti della nostra
vita indicano una realtà molto più complessa. Non posso addentrarmi
nello studio della psicologia del nostro primo ministro. Non so se
faccia tutto ciò da cinico manipolatore, o se invece ci creda e ne sia
profondamente convinto.
E’ più che probabile che ciò che è iniziato
come manipolazione nel corso degli anni sia diventata una fede. Una
manipolazione così ramificata può, alle volte, avvolgere ed intrappolare
chi l’ha iniziata.
Con questo, non intendo prendere alla leggera i
pericoli che minacciano Israele. Iran, Al Qaeda e Is, Hamas e
Hezbollah, i coltelli della terza Intifada, che si sta intensificando,
l’odio dei Paesi arabi nei confronti di Israele e l’esplosiva fragilità
del Medio Oriente sono tutti fat- ti noti e concreti, che occorre
affrontare a occhi aperti.
Ma chi vede solo e soltanto questo, alla fine
ne resterà vittima. Chiunque abbia una visione che si sposta, in maniera
automatica e ripetitiva, sull’asse che va dall’ “uso della forza” all’
“uso di ancora più forza”, alla fine sarà sconfitto da una forza a sua
volta più potente e determinata.
Sul nostro orizzonte si profilano altre
possibilità, c’è spazio di manovra e di iniziativa. Ad esempio: una
collaborazione contro l’Islam estremista con Paesi che hanno interessi
simili ai nostri, come l’Egitto, l’Arabia Saudita e la Giordania. Oppure
un cambiamento dei nostri rapporti con i palestinesi per mezzo di una
ripresa delle trattative, e questa volta con l’intenzione vera di
arrivare ad un accordo (di cui quasi tutti i punti sono noti ad ogni
israeliano o palestinese dotato di buon senso). Una mossa di questo
genere porterebbe ad un miglioramento immediato anche sull’altro fronte,
che sta crollando: quello dello status di Israele nel mondo.
Ma il meccanismo psicologico e mentale
svelatosi ai nostri occhi in quell’affermazione di Netanyahu sul mufti e
Hitler ci dice nel modo più semplice e spaventoso che la politica del
governo di Israele, il suo carattere ed il suo futuro vengono formulati e
stabiliti in questo istante, più che in ogni altro luogo, nello spazio
ristretto ed ermeticamente chiuso fra l’uomo Benjamin Netanyahu e le
lenti coperte e sigillate del suo binocolo.
Lì siamo intrappolati, lì si stabilisce il
nostro futuro, e lì veniamo condotti, ad occhi apparentemente aperti, ma
di fatto chiusi.
(traduzione di Alessandra Shomroni)
Binyamin
Netanyahu surveys the Gaza border region – forgetting to remove the
lens caps from his field glasses Photograph: UPI /Landov / Barcroft
Media
theguardian.com|Di David Grossman
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