Paola Caridi : articoli settembre -ottobre

Io sto con Isacco e Ismaele

abramo ritagliato



È una stanza. Per meglio dire, è una prigione. Per me Abramo, da oltre dieci anni, è una prigione. Non riesco, cioè, a disgiungere il dato esperienziale dal mito e, per chi crede, dalla fede. Abramo,  nella mia esperienza, è la sua tomba nel grande complesso sacro  a Hebron per gli ebrei e per gli israeliani ebrei, e ad Al Khalil per i musulmani e per i palestinesi musulmani.
Una tomba rinchiusa in una stanza ottagonale piena di finestre e di grate in ferro. Read more

Se i pupi interrogano la nostra identità 

 IMG_1692.JPGMimmo Cuticchio chiede che la tradizione dei pupi venga salvata da chi, tra le autorità, ha la competenza e la possibilità per farlo. Non dovrebbe chiederlo, non dovrebbe sentire l’urgenza di chiederlo perché le autorità, non solo regionali ma nazionali, ci avrebbero dovuto pensare prima. Nel caso delle autorità nazionali, non penso a una questione di competenza, che il maestro Cuticchio concentra nelle autorità regionali. Penso a una politica culturale che perde di vista il senso complessivo di sé. Ora possiamo andare oltre l’Expo, oltre la vetrina, e provare a riflettere su ciò che dobbiamo fare sulle diverse identità di cui siamo composti. Il primo dovere è conservare. E su questo pilastro, possiamo costruire tutto il resto, inventare, innovare.

Rispondo alla richiesta gentile di Elisa Puleo, e pubblico la lettera che il maestro Mimmo Cuticchio ha indirizzato al governatore della Regione Sicilia, Rosario Crocetta, chiedendogli di salvare i pupi di uno dei grandi opranti, il cavaliere Emanuele Macrì
“Pupi armati e pupi disarmati disarmano la nostra coscienza”
Non avrei mai più voluto leggere articoli come quello pubblicato sul “Giornale di Sicilia” lo scorso 17 ottobre, Read more

Una, nessuna e centomila (Gerusalemme)

La storia ci ha abituato a una sistemazione delle controversie e dei conflitti in cui determinante è chi ha il controllo dell’uso della forza. È il vincitore a dettare le regole, insomma. È vero, è un fatto incontrovertibile, che ha – però – nella vicenda israelo-palestinese un vulnus. La normalizzazione, a Gerusalemme, è reale ma è allo stesso tempo parziale. E la possibilità che questo status quo si rompa, prima o dopo, è presente ogni giorno. Non c’è una normalizzazione di lunga durata, in città. Chi ha vissuto Gerusalemme lo sa.
L’idea di una città non separata e condivisa dai suoi abitanti nasce, Read more

Vedi alla voce “Hassan Youssef”

Ora, non chiedo tanto, quando si fa informazione in Italia. Ma almeno un’occhiata a Wikipedia la si potrebbe dare. Hassan Youssef è uno dei leader di Hamas, uno dei leader dell’organizzazione politica. Non è considerato uno dei capi dell’ala militare. Era uscito dal carcere recentemente, e in carcere ci ha passato parecchi anni.
Per il resto, cfr. i libri seri su Hamas. Quelli di Khaled Hroub, della grande Beverley Milton-Edwards, di Shaul Mishal e Avraham Sela. Il mio è disponibile in italiano (Feltrinelli 2009) e, aggiornato, anche in inglese (New York, Seven Stories Press, 2012), come indicato su Wikipedia.
 

Le ragazze della Maqloubeh Generation

era il 2011, e c’era stata Piazza Tahrir. A Gerusalemme niente. O forse no. Ecco il racconto di un incontro, con le ragazze della Maqloubeh Generation. È la generazione che oggi riempie i Tg, quando raccontano malamente qualcosa di Gerusalemme. Ci avevo scritto un post, nell’ottobre 2011: lo ripubblico, perché la Storia è un processo lento, e non una vampata. 
Sottosopra. Letteralmente. Si cucina in un solo modo, a strati. Lo si presenta a tavola capoverso, da sotto a sopra. Sopra la carne, subito sotto la verdura (cavolfiore e melanzane, in genere), e poi il riso. Read more

Uniformi sulle identità 

È un brano del prologo del mio libro, Gerusalemme senza Dio (Feltrinelli 2013). Parla delle uniformi che ognuno dei gerosolimitani indossa, quando esce di casa e gira per la città. Tutti con le divise addosso, tutti riconoscibili, con il proprio marchio di fabbrica. “Come un codice a barre tatuato sulla guancia”. Tutti riconoscibili. Ed è il motivo per il quale, in questi giorni di guerra civile, si colpiscono a Gerusalemme coloro che indossano la divisa del nemico. Tutti riconoscibili, tutti bersaglio.
Il fatto è che in molti pensano di possederla, la Gerusalemme di oggi. La rivestono con i paramenti sacri di tutte le fedi, la travestono – spesso – come una città solo sacra. La Gerusalemme di Dio, di un Dio esclusivo per ciascuno dei suoi fedeli. E per farla propria indossano le uniformi della esclusività. Read more

Eccolo, il nome

È guerra civile. È guerra civile, a Gerusalemme.
A qualcuno potrà apparire paradossale, perché Gerusalemme è una città divisa, in parte occupata. Una città in cui le due componenti, israeliana e palestinese, interagiscono in una convivenza asimmetrica, ma non sono amalgamate. Eppure, per chi vive o ha vissuto per anni a Gerusalemme, questo paradosso ha una dimensione reale. Perché? Perché Gerusalemme è una città, una e una sola. E la violenza che è scoppiata a Gerusalemme è la violenza all’interno di un corpo unico.
i gerosolimitani vivono una vita diversa dagli altri, in una trama urbana unica, diversa dalle altre.

Ma tu, Gerusalemme, lo vali tutto questo dolore?

Scrivo queste righe lontano dalla ‘mia’ Gerusalemme. E mi costa persino definirla mia, Gerusalemme, una città che non ho amato sino a che non ho deciso di lasciarla. Fino a che, chiudendo la porta della casa in cui ho vissuto per quasi dieci anni, non ho versato le prime lacrime per Gerusalemme. Scrivo queste righe lontano dalle strade di Gerusalemme, dove si consuma e si consumerà una guerra per lei, per la città considerata fin troppo santa. Vale dunque, ciò che scrivo, meno di quello che scrivono i colleghi giornalisti e i cittadini-giornalisti, i fotografi coraggiosi e i possessori di un telefonino che sono sul campo, per le strade di Gerusalemme, di Ramallah, di Nablus, di Betlemme, di Haifa.
Conosco le pietre di Gerusalemme come non conosco quelle di Roma, dove pure sono nata. Read more



Cercasi un nome per la Guerra di Gerusalemme 

Un nome. Cosa importa poi un nome? Che sia l’intifada dei coltelli. La terza o addirittura la quarta intifada, se si aggiunge al conto la grande rivolta araba del 1936-39. Una guerra civile. La resistenza all’occupazione israeliana che dura dal 1967. La guerra strategica dei coloni israeliani per sovvertire lo status quo dei luoghi santi e, dunque, di Gerusalemme. Un nome alle cose e agli eventi significa – quando va bene – interpretazione, capacità di lettura, e di conseguenza proposte di soluzione dei conflitti.  Read more

Grazie, shukran

calligrafia



Quasi duecento adesioni, tanti “mi piace” e condivisioni su Facebook e su Twitter. Soprattutto un sostegno invisibile eppure così palpabile. Il breve cammino di questa proposta per far invitare la Letteratura Araba tout court al Salone del Libro di Torino, formulata in poche ore da Lucia e da me, ha avuto tante persone che si sono aggiunte, subito, con il tempo, la riflessione, l’invito.
La decisione del Salone del Libro di Torino, stamattina, ci ha emozionato, a fusi orari diversi. Tra la Sicilia e Sydney. E quindi ci scusiamo perché i ringraziamenti li avremmo già dovuti mettere online.
Rimediamo subito.
Grazie a Ernesto Ferrero, a cui abbiamo inviato il testo della proposta.
Grazie a tutte le persone che hanno aderito, ai loro consigli, alla loro passione diciamo grazie. Ma grazie di cuore, senza tanti giri di parole
Grazie
Lucia & Paola

La Letteratura Araba è ‘ospite’ al Salone del Libro 2016

(ANSA) – TORINO, 6 OTT – L’Arabia non sarà il Paese ospite della prossima edizione del Salone del Libro di Torino, che avrà però un focus sulla letteratura araba. I vertici della buchmesse, che nel 2016 non avrà un Paese ospite d’onore, hanno deciso così di passare da un criterio geopolitico ad un criterio geoculturale. Nel corso della riunione, la prima dopo le nuove nomine, è stata anche approvata la scelta di Ernesto Ferrero alla direzione editoriale della kermesse.
#èpossibile sì, è possibile. Basta crederci. Basta essere credibili. E basta superare gli steccati.
Lucia Sorbera e io siamo molto felici. I giorni trascorsi sono stati faticosi, esaltanti, e hanno messo insieme due persone che, pur non essendosi mai frequentate nel mondo reale, sapevano di avere molto in comune. Tanto in comune da credere possibile una piccola follia.
Non ho ancora parlato con Lucia, ma so che condividerà questo pensiero. Il nostro pensiero va ai ragazzi che in questi anni hanno creduto di poter cambiare il loro paese, e che hanno messo al centro della loro azione politica un reale e profondo cambiamento culturale. A loro va il nostro grazie. Ci hanno insegnato che #èpossibile!


Aiuto!! Ho fatto il classico, e ho una laurea in Lettere

Faccio outing. Ho fatto il liceo classico, ho una laurea in Lettere. Al classico mi sono annoiata, è vero. Ma avevo Raniero Sabarini come prof di filosofia. Scoprii più tardi che era un filosofo della scienza conosciuto, e che mi aveva forgiato più di quanto io avessi pensato, nonostante le sue posizioni sull’Afghanistan (aveva appoggiato l’invasione sovietica). Read more

Il peso di Rosa

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Che poi quel nome – Rosa – era sembrato strano a tutti, nel quartiere. Rosa, che non era rosa, il colore. Rosa, che era il fiore. Rosa, che in arabo si dice warda. E allora perché quella figlia arrivata dopo tanti anni d’attesa non l’avevano chiamata warda?
“E’ così bello, warda. I vecchi, appena esci di casa, te lo augurano ancora. Che il mattino abbia il profumo della rosa, ti dicono. Sabah el warda.”
“Avranno voluto fare gli occidentali a tutti i costi. Magari è il nome della protagonista di una fiction”. Read more
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Gerusalemme come Hebron, da oltre 10 anni

E’ che, ancora una volta, non si può dire che non lo sapessero, nelle cancellerie che si occupano del dossier Israele/Palestina. Gerusalemme si infiamma, soprattutto si infiamma la parte più delicata della Città Vecchia. Quella parte dove da 1300 anni pregano i musulmani, e si trova il terzo luogo santo dell’Islam, cioè la Spianata delle Moschee.
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