I soldati israeliani uccisero dozzine di prigionieri nel corso di una delle guerre combattute dall’esercito israeliano (IDF) nei primi decenni dell’esistenza dello Stato di Israele.
I soldati israeliani uccisero dozzine di prigionieri nel corso di una delle guerre combattute dall’esercito israeliano (IDF) nei primi decenni dell’esistenza dello Stato di Israele.
Aluf Benn,
Haaretz ,16 settembre 2016
Secondo una testimonianza ottenuta da Haaretz, ai prigionieri fu ordinato di mettersi in fila e voltarsi, prima di essere colpiti alla schiena. L’ufficiale che diede l’ordine venne rilasciato dopo aver scontato sette mesi di prigione, mentre il suo comandante fu promosso ad un alto grado.
I soldati israeliani uccisero dozzine di
prigionieri durante una delle guerre combattute dall’IDF nei primi
decenni di esistenza dello stato di Israele. L’ufficiale che aveva dato
l’ordine di uccidere i prigionieri subì un processo, ma se la cavò con
una condanna ridicolmente mite. Il suo comandante fu promosso ad grado
molto superiore e l’intera vicenda venne insabbiata.
Le dozzine
di prigionieri erano soldati degli eserciti nemici. Si erano arresi
dopo la battaglia ed avevano deposto le loro armi. Alcuni di loro erano gravemente feriti.
I soldati israeliani che presero
inizialmente il controllo del luogo dove loro si erano arresi li
radunarono in un cortile interno circondato da un muro, diedero loro del
cibo e parlarono con loro delle loro vite e del servizio militare.
Alcune ore dopo questi soldati vennero
assegnati ad un’altra missione ed altre forze militari israeliane
vennero inviate a sostituirli nel luogo in cui erano tenuti i
prigionieri. Questo cambio della guardia pose il problema tra gli
ufficiali preposti su che cosa fare dei soldati nemici catturati, poiché
i nuovi militari si rifiutarono di assumersene la responsabilità,
mentre quelli in partenza non avevano mezzi per il trasporto dei
prigionieri.
Il comandante della compagnia che era
l’ufficiale responsabile del posto ordinò allora ai suoi soldati di
uccidere i prigionieri. Secondo la testimonianza rilasciata ad Haaretz,
ai prigionieri venne ordinato di mettersi in fila e di voltarsi, quindi
furono fucilati alla schiena. Un ufficiale nemico che era stato
utilizzato come traduttore fuggì, ma fu colpito a morte da soldati del
nuovo contingente, che erano in una jeep. Dopo il massacro un bulldozer
dell’esercito ammucchiò i corpi in una fossa improvvisata.
Due testimonianze oculari del massacro
dei prigionieri furono rilasciate al reporter di Haaretz molti anni fa.
Secondo una di esse, da parte di un uomo che disse di essersi rifiutato
di ubbidire all’ordine, il comandante gli ordinò di scendere ed uccidere
i prigionieri feriti. Lui rifiutò perché prima i prigionieri gli
avevano chiesto se sarebbero stati uccisi e lui aveva risposto di no.
Il comandante lo minacciò di inviarlo
alla corte marziale per disobbedienza ad un ordine, ma lui continuò a
rifiutarsi. Allora un altro uomo – il secondo testimone – saltò in piedi
e si offrì volontario per eseguire l’ordine.
La testimonianza della seconda persona,
che confessò di aver partecipato all’uccisione dei prigionieri insieme a
tre suoi commilitoni, concorda a grandi linee con quella del primo
testimone, benché essi non fossero in contatto e nessuno dei due
conoscesse il contenuto della conversazione svoltasi con l’altro. Una
differenza era che il secondo uomo sosteneva di aver anch’egli
inizialmente rifiutato di ubbidire all’ordine, ma quando il comandante
aveva insistito, lui aveva accettato di eseguirlo. Aggiunse che, dopo
aver ucciso i prigionieri, si avvicinò e li colpì nuovamente da soli
cinque metri di distanza, per assicurarsi che fossero tutti morti.
L’esercito israeliano avviò un’indagine
della polizia militare sull’incidente, che si concluse con un processo
per omicidio nei confronti del comandante della compagnia. Fu condannato
a tre anni di prigione e rilasciato dopo soli sette mesi.
Il comandante sostenne che gli venne
ordinato di uccidere i prigionieri dal suo superiore, che in seguito
ottenne un’alta carica nell’esercito. Non è chiaro se l’ufficiale
superiore sia mai stato indagato, ma sicuramente non subì mai un
processo. Il comandante della compagnia lavorò come guida turistica dopo
aver lasciato l’esercito, e quando anni dopo fu intervistato
sull’argomento da un giornalista di Haaretz, rispose che “l’argomento è
riservato” e gli suggerì di rivolgere le domande “ai servizi di
sicurezza”.
Questo assassinio di dozzine di
prigionieri fu uno dei più gravi crimini nella storia dell’IDF, ma
l’esercito lo nascose e lo insabbiò. Portare alla luce i fatti è
importante anche oggi, per comprendere la storia delle regole morali di
combattimento dell’IDF ed imparare lezioni di leadership, di educazione e
di comando per il futuro.
Traduzione di Cristiana Cavagna
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