Eric Salerno : Israele potenza marittima nel Mediterraneo per garantire il "nuovo Medio Oriente"?


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Si ricomincia a parlare del "nuovo Medio Oriente". Non quello auspicato dal presidente Obama nel suo famoso discorso all'Università del Cairo che gli valse il premio Nobel per una pace che non esiste e che, a giudicare dagli eventi, non arriverà durante la sua permanenza alla Casa Bianca. A novembre gli americani eleggeranno il suo erede. Hillary Clinton responsabile dell'intervento Usa contro Gheddafi, il più grave errore della politica estera di Obama (l'ha ammesso lui), o Donald Trump, un apparentemente pericoloso esponente della destra più confusa della storia americana.
Nel frattempo, dietro le quinte, c'è chi cerca di disegnare uno scenario nuovo per la regione più tormentata degli ultimi anni. Nuovi (o antichi) ruoli per la Turchia (vecchio impero ottomano), l'Iran (l'antica Persia), l'Egitto (dai tempi delle piramidi il più popolato), l'Arabia saudita e gli sceicchi del Golfo (casseforti nella sabbia, senza passato e un futuro da costruire). E, ovviamente, Israele a cui una ricerca-proposta formulata da un gruppo di ex militari e studiosi di Tel Aviv e Washington sembra voler affidare il ruolo semi-ufficiale di gendarme americano nel Mediterraneo Orientale.
Ci sono molti a cui piacerebbe mettere una grande pietra sopra tutto il Medio Oriente e nasconderlo agli occhi del mondo ma tutti sanno che non è possibile. Così attori medi e grandi si sondano a vicenda e abbozzano carte geografiche e geopolitiche da sostituire a quelle uscite dal colonialismo anglo-francese di un secolo fa. Il Medio Oriente non è quello di allora. Ma il Mondo non è meno diviso di allora e tutti sono consapevoli della necessità di mettere ordine se non si vuole andare a una deflagrazione globale. Così vediamo fondersi (o almeno tentare) nuove coalizioni.
La Turchia guarda a Mosca e Teheran ma non vorrebbe abbandonare i propri rapporti ormai storici con gli Usa (e la Nato). Arabia Saudita, fonte di ogni male, e altre nazioni musulmane sunnite, dall'Egitto del neo dittatore al-Sisi al Pakistan (anche loro possiedono la Bomba) che con Riad hanno favorito la crescita del terrorismo islamista, fanno la corte a Israele (e viceversa). Con il beneplacito scontato di Washington. E Israele, solo per aggiungere un altro tassello, fa la corte al regime di Khartoum e chiede a Italia e Stati Uniti di aiutare il dittatore più feroce dell'Africa (c'è su di lui un mandato di cattura internazionale) a diventare più presentabile.
In questo momento, il blocco che sembra trovare conforto nella politica neo-imperiale russo di Putin, appare quello più stabile. L'Egitto, nell'altro schieramento, si regge su una repressione sempre meno convincente. L'Arabia Saudita oltre alla contestazione interna deve fare i conti con una crisi economica (petrolio) che arriva nel momento in cui l'Italia scopre nuovi giacimenti off-shore nel Mediterraneo meridionale che devono fare la concorrenza (o accordarsi) con quelle massicce rinvenute poco più a ovest nelle acque territoriali palestinesi (Gaza, sotto controllo israeliano) e israeliane.
Le alleanze politiche ed economiche hanno bisogno di sostegni militari. La Russia vuole rafforzare la propria presenza navale in Siria, abbozza intese con l'Iran e guarda con interesse evidente alla Turchia. Israele (unico paese della regione con armi nucleari), Arabia Saudita e Egitto collaborano già nel settore difesa e possono contare sulla presenza, peraltro sempre meno forte, di una flotta americana nel Mediterraneo. È proprio guardando alle spinte meno interventiste che arrivano dalle lobby interne americane e alle nuove scoperte petrolifere nel Mediterraneo che si inserisce lo studio citato dal Times of Israel, un quotidiano on-line vicino alla destra israeliana e americana. Forse, suggerisce, potrebbe fare comodo sia a Israele che agli Usa affidare alla marina di Tel Aviv (già possiede numerosi sommergibili nucleari di fabbricazione tedesca) il compito di garantire gli interesse di Washington (e non soltanto) nel Mare Nostrum.
Come in passato, saranno le minoranze a pagare il prezzo dei nuovi assetti (se e quando arriveranno). I curdi continuano a combattere, e a morire, per la loro indipendenza e uno stato nazionale. A giudicare dalle ultime mosse della Turchia in Siria (e dalla vecchia politica iraniana) hanno ben poche possibilità di ottenerla. I palestinesi sono inermi di fronte alla sempre più aggressiva colonizzazione della loro terra e guardano con sospetto alle grandi manovre arabo-israeliane. A parole, per Riad e il Cairo una vera alleanza strategica con Israele dipende dalla soluzione del conflitto palestinese. O, almeno, un accordo di "principio" con i nodi principali come Gerusalemme e i confini da rimandare alle future generazioni. E per farlo, oggi, Mosca (che vuole allargare il proprio ruolo regionale e Washington cercano, separatamente, di trascinare Netanyahu e Abbas a un tavolo, se non negoziale almeno per un caffè.

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