Robert Fisk : Hanno definito la Guerra al terrore nuova guerra mondiale e poi hanno dimenticato tutto


Hanno definito la Guerra al terrore nuova guerra mondiale e poi hanno dimenticato tutto
Di Robert Fisk
17 settembre 2016
Sospetto, talvolta, che l’abilità degli esseri umani di illudersi  con le loro stesse parole    circa il Medio Oriente sia maggiore della follia della guerra. Una provoca l’altra. Stavo attraversando l’Atlantico quando avvennero i crimini internazionali contro l’umanità, l’11 settembre 2001: il mio aereo fece dietrofront sull’oceano, spargendo tonnellate di combustibile, prima di ritornare alla sicurezza dell’Europa. Sicurezza allora, naturalmente, non adesso. Prima di atterrare, i politici di terz’ordine che avrebbero guidato centinaia di migliaia di arabi e, in paragone, pochi di noi, a morire in Medio Oriente, avevano truffato tutti noi con le loro frasi fatte.
La prima di queste osservazioni dannose fu che gli attacchi dell’11 settembre “avevano cambiato il mondo per sempre”. I politici la dicevano, gli editoriali dei giornali la rieccheggiavano, le popolazioni ripetevano questa stupida espressione a milioni. Infatti se realmente credevamo nella “democrazia”, nei “valori” e nelle “libertà” dell’Occidente che all’improvviso riscopriamo, era nostro dovere assicurarci che gli assassini dell’11 settembre non cambiassero le nostre società. Non ora né mai.
Ma c’era un’altra parola che mi sfuggì in quel tempo. Ci dissero che gli Stati Uniti stavano per dare inizio a “una guerra mondiale contro il terrore”. Non è la parola terrore che non riuscii a individuare, una parola il cui uso generico, razzista, divenne per breve tempo scusabile dopo gli attacchi a New York, Washington e in Pennsylvania, e poi, più disgustoso che mai, quando fu riutilizzato da Bush, Putin e da qualsiasi mediocre dittatore dal Medio Oriente all’Estremo Oriente per promuovere le loro politiche di brutalità in tutto il mondo.
No, è stato l’uso dell’espressione “guerra mondiale” che non avevo notato.
C’erano molti parallelismi dell’11 settembre con Pearl Harbour – numericamente comprensibili per quel giorno del 1941, ma improponibili in confronto allo sterminio di povere anime che si aggiunsero all’Armageddon che Hitler aveva già scatenato. No, il vero paragone dovrebbe essere stato la Grande Guerra del 1914-18 che distrusse l’ordine europeo con un bagno di sangue che nessuno aveva previsto e che portò, dopo l’11 settembre della nostra era a un grido di protesta contro la propensione dell’Occidente a bombardare e a bombardare e a bombardare il Medio Oriente.
I parallelismi, naturalmente, non sono esatti. 15 anni dopo l’evento, però, riesco a capire che la nostra reazione all’11 settembre aveva molto di più in comune con l’agosto 1914 che con il settembre 1939 o con il dicembre 1941, se ricordiamo l’entrata dell’America nella Seconda Guerra mondiale. Nel 1914, l’Europa aveva vissuto in un mondo sicuro, fondato su un equilibrio di potere, con la sua popolazione arricchita dall’industrializzazione – e quindi dalla modernizzazione – dei trasporti, della sanità, della cultura, della scienza, anche la conoscenza della politica. Il “vecchio mondo” dell’anteguerra, conteneva ancora le piantine della rivoluzione.
Nessuno, però, decifrò due terribili prodotti esplosivi all’interno di questo patto di reciproca sicurezza. Quando uno di questi “moderni” equilibri crollò – anche se riguardo a qualcosa così insignificante  come l’uccisione di un arciduca a Sarajevo, il resto sarebbe crollato automaticamente. Eravamo così sicuri dei nostri progetti per la sicurezza, che non avemmo alcun  modo di impedire un semplice disastro quando qualcuno fece saltare un fusibile nel sistema. Questo dimostrava che, lungi dall’essere lontani dalla modernizzazione, eravamo ancora nell’era della guerra imperiale. Il secondo sviluppo di cui non abbiamo tenuto conto o che ci siamo rifiutati di considerare importante, è stato che l’unico prodotto della modernizzazione che non ci sarebbe mancato, era la guerra. La mitragliatrice, il mortaio da trincea, l’artiglieria a lunga gittata, e la guerra aerea avrebbero realmente “cambiato il mondo per sempre”.
Possiamo ancora discutere della necessità della Gran Bretagna  di stare dalla parte  della Francia – una Brexit dalla Entente Cordiale (Intesa amichevole)* potrebbe aver cambiato tutto questo se un referendum si fosse tenuto proprio oltre cento anni fa, ma possiamo a malapena discutere la furia unica con la quale abbiamo reagito all’attacco della Germania contro il  Belgio e la Francia.
Le grida di “Barbarie da Unni” – oppure Brutalità da Bloch” quando i tedeschi presero d’assalto le Fiandre, presumibilmente aggredendo con la baionetta i neonati, e crocifiggendo le suore alle porte delle fattorie, formano un parallelo immediato con il “terrore islamista” e “chi non è con noi è contro di noi”. Stranamente c’è un altro parallelo: i tedeschi del 1914 in effetti commisero atrocità nelle Fiandre (anche se non nella misura in cui la nostra propaganda affermava), proprio come gli Islamisti di bin Laden avevano commesso atrocità prima del 2001.
Il più ampio specchio storico mostra due popolazioni che a distanza di 200 anni si avviano a fare guerra, con dichiarazioni di unità e di patriottismo e una forte venatura di superiorità nazionale, senza la minima idea che il futuro potesse essere dalla parte della morte di massa invece che della vittoria di massa. L’arroganza, anche se giustificata, di solito porta al cimitero. Forse non dovremmo ripensare alla Prima Guerra Mondiale, ma al periodo immediatamente successivo all’11 settembre.
Infatti, mentre l’Europa conosceva i fatti che precedettero l’agosto 1914, certe verità ci sono state tenute nascoste 15 anni fa. Potevano domandare “chi” aveva commesso questi crimini contro l’umanità (19 uomini che si definivano musulmani) oppure “in che modo” (taglierini, aerei di linea, edifici alti), ma chiunque chiedeva “perché” (io tra questi) venivano stroncati come “amanti del terrore”, “amici dei terroristi”, ecc.
Qualsiasi insulto poteva essere pronunciato per impedirci di chiedere perché tutti gli omicidi erano arabi, se c’era perciò un problema in Medio Oriente, in che modo tale rabbia era stata suscitata in una parte del mondo che era stata governata dai nostri eserciti e poi dai nostri dittatori preferiti nel secolo scorso, di fatto dalla fine della Prima Guerra Mondiale. L’identità dei 19 uomini – 15 dei quali erano sauditi, come lo era Osama bin Laden – era trasformata nell’espressione “arabi”, come se la natura musulmana sunnita, Wahabita degli assassini non avesse nulla a che fare con il paese di cui sono cittadini.
E così anche il rapporto finale del governo sull’11 settembre, ha escluso decisamente le 28 pagine – di fatto 29 – di prove circa i collegamenti dell’Arabia Saudita con i dirottatori. Le pagine sono state gelosamente custodite, per motivi di “sicurezza”, naturalmente, fino a quest’anno, quando – che mi venga un colpo – sono state diffuse con alcune pagine censurate (o “corrette”) come le hanno definite i nostri giornalisti codardi) e hanno rivelato soltanto quello che sapevamo da molto tempo: che i sauditi avevano finanziato dei gruppi che avevano incoraggiato gli assassini.
Tuttavia, l’etichetta di “sicurezza” era terribilmente seria. Infatti se l’identità saudita dell’intera operazione fosse stata riconosciuta fin dall’inizio, come potevano gli Stati Uniti e il paese guidato da un primo ministro il cui nome trovo difficile da pronunciare, aver sostenuto così imperiosamente che l’Iraq di Saddam Hussein – non l’Arabia Saudita – era dietro alla distruzione delle Torri Gemelle? Proprio il progetto  di fare guerra all’Iraq sarebbe stato altamente discutibile se avessimo recepito le informazioni contenute nel brano censurato del rapporto sull’11 settembre. Quello e soltanto quello è stato il motivo per cui il rapporto era così importante. E’ stato manomesso in modo che avremmo attaccato l’Iraq e avremmo lasciato in pace i nostri alleati sauditi.
Non c’è da meravigliarsi se i musulmani in questo quindicesimo anniversario dell’11 settembre abbiano avuto  una  reazione  di tale indifferenza. L’Iran e il Libano furono tra le prime nazioni a porgere le loro condoglianze nel 2001. Sono però colpito dalle parole di una dottoressa  pachistana,  pronunciate alcuni giorni fa. “E’ un non-evento,” ha detto, “quando si vedono i danni che hanno fatto gli americani nei paesi musulmani arabi, l’11 settembre è l’ultima delle loro preoccupazioni, e non perché appoggiano il terrorismo.”
Esattamente. E proprio come la Grande Guerra ha provocato la Seconda, così la “guerra mondiale” contro al-Qaida, ha portato, attraverso l’Iraq, alla “guerra” contro l’apocalittica Isis – la straordinaria parola dei Capi di Stato Maggiore degli Stati Uniti. Abbiamo davvero tentato di fermare la storia. I Britannici hanno protestato contro l’attacco omicida di Blair all’Iraq prima che cominciasse. E siamo partiti. Dimenticate l’Afghanistan – una guerra buona, non abbiamo forse sconfitto i talebani? E dirigiamoci a Baghdad per la seconda parte della “Grande Guerra”.
E’ stata roba alla buona. Isolato da Washington dopo l’11 settembre, George W. Bush chiese di ritornare alla Casa Bianca. Domandò notizie di sua moglie e delle due figlie. Assicuratosi che erano al sicuro, domandò: “E Barney?” Barney era il cane di famiglia. E da quel momento lo fummo tutti.
https://it.wikipedia.org/wiki/Entente_cordiale
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/they-called-the-war-on-terror-a-new-world-war-and-then-forgot-all-about-it/
Originale: The Independent
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2016 ZNET Italy – Licenza Creative Commons  CC BY NC-SA 3.0

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