Benny Morrisi : “Pulizia etnica” e propaganda filo-araba
Di Benny Morris
Gli
indiretti confronti fatti da Daniel Blatman con i crimini tedeschi
contro gli ebrei ed altri non riflettono un modo serio di scrivere di
storia.
E’ un peccato che i miei critici Daniel Blatman e Ehud Ein-Gil
non leggano con attenzione, ammesso che leggano; mi riferisco ai loro
articoli su Haaretz in cui sostengono che Israele ha perpetrato una
pulizia etnica. Se Blatman avesse letto il mio libro “La nascita del
problema dei rifugiati palestinesi, 1947-49”- pubblicato in inglese nel
1988 e in ebraico nel 1991, con un’edizione aggiornata in inglese nel
2004 – avrebbe visto che le mie opinioni sulla storia del 1948 non sono
affatto cambiate.
Le
mie conclusioni sulla nascita del problema dei rifugiati palestinesi
non sono cambiate in questi libri, né nel mio libro “1948”, che è stato
pubblicato in inglese nel 2008 e in ebraico nel 2010. Qualche
palestinese è stato espulso (da Lod e Ramle, per esempio), a qualcun
altro è stato ordinato o è stato suggerito di andarsene dai suoi leader
(da Haifa, per esempio) e la maggior parte è scappata per paura degli
scontri, evidentemente nella convinzione che sarebbero tornati alle loro
case dopo la prevista vittoria araba.
Ed
effettivamente, all’inizio di giugno, il nuovo governo israeliano
adottò una politica per impedire il ritorno dei rifugiati – quegli
stessi palestinesi che avevano combattuto l’Yishuv, la comunità ebraica
prestatale, e cercato di distruggerla.
Quanto
al fatto che ho cambiato opinione, ciò è avvenuto durante gli anni ’90
solo riguardo ad una cosa – la volontà palestinese di fare la pace con
noi. All’inizio del decennio, pensavo che forse qualcosa fosse cambiato
nel movimento nazionale palestinese e che volessero riconoscere la
realtà e arrivare ad un compromesso per i due Stati per due popoli.
Ma
nel 2000, dopo il “no” di Arafat a Camp David (appoggiato dal suo
successore Mahmoud Abbas), e alla luce della seconda Intifada e delle
caratteristiche di quella intifada, ho capito che non erano interessati
alla pace. Sfortunatamente da allora la situazione non è cambiata.
Nel 1947-48 non c’era un’intenzione a priori
di espellere gli arabi, e durante la guerra non ci fu una politica di
espulsione. Ci sono “storici” che odiano chiaramente Israele, come Ilan
Pappé e Walid Khalidi, e forse anche Daniel Blatman, considerando quello
che ha detto, che vedono il “Piano Dalet” dell’Haganah del 10 marzo
1948 come un progetto complessivo di espellere i palestinesi. Non lo è.
Se
Blatman e Ein-Gil avessero davvero letto il piano – reso pubblico negli
anni ’70 – avrebbero visto che intendeva congegnare una strategia ed
una tattica perché l’Haganah conservasse il controllo delle strade
strategiche in quello che sarebbe diventato lo Stato ebraico. Intendeva
anche rendere sicuri i confini nell’imminenza della prevista invasione
araba in seguito alla partenza degli inglesi. La tesi di Blatman secondo
cui il “Piano Dalet” “discuteva dell’intenzione di espellere quanti più
arabi possibile dal territorio del futuro Stato ebraico” è una
falsificazione in malafede. Sono le parole di un propagandista
filo-arabo, non di uno storico.
Citare le affermazioni sbagliate
Il
piano comprendeva le linee-giuda generali per i vari battaglioni e
brigate relativamente al modo di comportarsi verso i villaggi rurali ed i
quartieri urbani arabi. Riguardo ai villaggi, il piano stabilisce
esplicitamente che gli abitanti dei villaggi che combattono contro gli
ebrei devono essere espulsi ed i villaggi distrutti, mentre i villaggi
neutrali o amici avrebbero dovuto essere lasciati intatti ( e avrebbero
dovuto esservi stabiliti dei presidi).
Nel
caso di quartieri arabi in città miste, i comandanti dell’Haganah sul
terreno ordinarono che gli arabi dei quartieri periferici fossero
trasferiti nei centri arabi di quelle città, come Haifa, non espulsi dal
Paese.
In
altre parole, questo non era un piano per “espellere gli arabi” come
Blatman e Ein-Gil sostengono a proposito di questo documento. Ein-Gil
cita del documento solo tre affermazioni che accennano alla possibilità
dell’espulsione – non quelle che danno istruzioni ai comandanti di
brigata e di battaglione di lasciare sul posto la popolazione araba.
Per
inciso, la descrizione di Ein-Gil dell’occupazione del villaggio di
Al-Qubab – con le sue case vuote dopo che gli abitanti erano
semplicemente scappati – non è esattamente la descrizione di una
violenta e crudele pulizia etnica. E le sue considerazioni sulla domanda
a proposito di cosa gli ebrei avrebbero potuto fare se avessero trovato
degli arabi in quelle case non testimonia della pulizia etnica nel
1948.
Oltretutto
nel territorio trasferito a Israele nel 1948 dopo l’accordo di
armistizio tra Israele e la Giordania, il numero di palestinesi che
rimase sotto il controllo di Israele era la metà di quello che cita
Ein-Gil.
Al
contempo, se ci fossero stati un piano generale e una politica di
“espulsione degli arabi”, ne avremmo trovato indicazioni nei vari ordini
operativi per le unità in combattimento e nei rapporti al quartier
generale, come “Abbiamo messo in atto un’espulsione in base al piano
generale” o ” al Piano Dalet.” Tali riferimenti non ci sono.
Nelle
decine di migliaia di documenti operativi dell’ Haganah/esercito
israeliano dei mesi più importanti (da aprile a giugno 1948), ho trovato
solo un riferimento a un’operazione messa in atto secondo il Piano
Dalet. (Riguardava una certa operazione della brigata “Alexandroni”, se
non ricordo male, ma in questo momento sono all’estero e non ho a
disposizione il documento).
E’
risaputo che decine di migliaia di arabi rimasero nel territorio dello
Stato ebraico – ad Haifa e a Giaffa, a Jisr al-Zarqa e a Fureidis, ad
Abu Ghosh e Ein Nakuba, in Galilea e nel Negev.
Ho
anche detto che in aprile-giugno 1948 sia nell’Haganah ed in generale
nell’Yishuv c’era una “atmosfera favorevole al trasferimento”, e ciò è
comprensibile alla luce delle circostanze: costanti attacchi da parte di
milizie palestinesi durante quattro mesi e la previsione di
un’imminente invasione degli eserciti arabi intenzionati ad annientare
lo Stato ebraico che stava per nascere e forse anche il suo popolo.
Responsabilità condivisa
Tutto
ciò richiedeva l’occupazione e l’espulsione degli abitanti dei villaggi
che tendevano imboscate, prendevano di mira e uccidevano ebrei lungo i
confini e sulle principali strade. Le circostanze non consentivano un
esame attento delle azioni, intenzioni e opinioni di ogni singolo
abitante, benché a quanto pare Blatman e Ein-Gil pensino che la guerra
avrebbe dovuto essere condotta così in zone abitate con i mezzi a
disposizione dell’Yishuv nel 1948. Ma come ho scritto, la grande
maggioranza degli arabi fuggì, e gli ufficiali dell’Haganah/esercito
israeliano non ebbero bisogno di affrontare la decisione se espellerli o
meno.
E’
vero che all’inizio della mia carriera io “sono arrivato alla
conclusione che Israele è responsabile della fuga di massa dei
palestinesi nel 1948”, come sostiene Blatman. Ho sempre detto che la
responsabilità è condivisa tra l’Yishuv/Israele, i palestinesi e i Paesi
arabi – con enormi responsabilità che ricadono sui palestinesi che
hanno iniziato il conflitto.
Non
sono un esperto di pulizia etnica a livello mondiale (presumo che poca
gente consideri Blatman un esperto di tal genere), ma sicuramente ne so
qualcosa. Nel caso dei serbi in Jugoslavia, Belgrado ha adottato una
politica di pulizia etnica fin dall’inizio e l’ha applicata
sistematicamente. A Srebrenica nel 1993, in due giorni, hanno massacrato
9.000 musulmani e in varie zone hanno stuprato migliaia di donne in
modo organizzato.
Se
queste sono le caratteristiche della pulizia etnica, allora non fu
attuata una pulizia etnica in Israele in nessuna delle due fasi della
guerra, che fu iniziata dagli arabi. E tra parentesi, su un argomento di
cui sono veramente ben informato, Blatman ha torto.
E’
vero che alla fine della Prima Guerra Mondiale decine di migliaia di
armeni rimasero in Asia Minore (Blatman solleva questa questione per
insinuare un parallelo tra il genocidio degli armeni e la fuga degli
arabi nel 1948). Ma nella terza fase del genocidio armeno, dal 1919 al
1924, quasi ogni vittima fu espulsa ed uccisa. (Ciò, senza dubbio, è una
novità per Blatman l'”esperto”).
Chiunque
legga Blatman non può fare a meno di notare che egli suggerisce un
confronto tra quello che Hitler ha fatto agli ebrei e quello che gli
ebrei hanno fatto agli arabi della Terra di Israele. Egli insinua
persino – di nuovo in modo ingannevole – un confronto tra le azioni
dell’Yishuv e quelle dei tedeschi nell’Africa sud-occidentale tedesca
(più tardi Namibia) all’inizio del XX° secolo, quando uccisero decine di
migliaia di indigeni herero.
Questi
paragoni sono immorali e riflettono intenzioni propagandistiche, così
come un modo per niente serio di scrivere la storia. Alla fine Blatman
mi definisce come “un beniamino della destra dei coloni”. E’ un
insolente. Mi sono sempre opposto al progetto delle colonie in Giudea e
Samaria [denominazione israeliana della Cisgiordania. Ndtr.] e nella
Striscia di Gaza, e lo faccio ancora adesso.
Il professor Benny Morris, uno storico, è l’autore di “La nascita del problema dei rifugiati palestinesi rivisto.”
(traduzione di Amedeo Rossi)
2
Israele non ha attuato nessuna pulizia etnica nel 1948
Nota redazionale: pur non condividendone affatto i contenuti, e non
potendo in questa sede entrare nel merito della sua fondatezza dal
punto di vista storico (smentita ad esempio dai lavori di Ilan Pappé),
abbiamo deciso…
Nota redazionale:
pur non condividendone affatto i contenuti, e non potendo in questa
sede entrare nel merito della sua fondatezza dal punto di vista storico
(smentita ad esempio dai lavori di Ilan Pappé), abbiamo deciso di
proporre questa risposta di Benny Morris all’articolo di Daniel Blatman su Haaretz.
Pensiamo
infatti che i lettori di Zeitun possano essere interessati a seguire il
dibattito storiografico innescato in Israele dalle dichiarazioni di
Netanyahu in merito alla definizione di “pulizia etnica” nel caso di un
ritiro dei coloni dai territori occupati della Cisgiordania e di
Gerusalemme est. Va comunque ricordato quanto lo stesso Morris ha
dichiarato al quotidiano Haaretz… “Senza la rimozione dei
palestinesi, qui non avrebbe potuto nascere uno Stato ebraico… quel che
penso è che questo posto sarebbe stato più tranquillo e avrebbe
conosciuto meno sofferenza se la questione fosse stata risolta una volta
per tutte. Se Ben Gurion avesse compiuto una grande espulsione e
ripulito l’intero paese – l’intera Terra d’Israele, fino al fiume
Giordano. Potremmo scoprire che questo fu il suo errore fatale. Se
avesse portato a termine un’espulsione completa – invece di una parziale
– avrebbe potuto stabilizzare lo Stato d’Israele per molte
generazioni.”
E riguardo alle responsabilità di Ben Gurion e dei dirigenti sionisti ha affermato: “Dall’aprile del 1948, Ben Gurion trasmette l’idea del trasferimento. Non ci sono ordini espliciti nei suoi scritti, non c’è una precisa linea politica, ma traspare l’idea del trasferimento [di popolazione]. L’idea del trasferimento è nell’aria. L’intera leadership ha capito che questa era l’idea. Il corpo ufficiali capisce cosa gli viene richiesto. Sotto Ben Gurion, viene creato il consenso al trasferimento….Certo, Ben Gurion era un sostenitore del trasferimento. Aveva capito che non avrebbe potuto esistere uno Stato ebraico con una vasta minoranza araba ostile al suo interno. Non avrebbe mai potuto esistere uno Stato simile. Non sarebbe stato in grado di sopravvivere.”
E riguardo alle responsabilità di Ben Gurion e dei dirigenti sionisti ha affermato: “Dall’aprile del 1948, Ben Gurion trasmette l’idea del trasferimento. Non ci sono ordini espliciti nei suoi scritti, non c’è una precisa linea politica, ma traspare l’idea del trasferimento [di popolazione]. L’idea del trasferimento è nell’aria. L’intera leadership ha capito che questa era l’idea. Il corpo ufficiali capisce cosa gli viene richiesto. Sotto Ben Gurion, viene creato il consenso al trasferimento….Certo, Ben Gurion era un sostenitore del trasferimento. Aveva capito che non avrebbe potuto esistere uno Stato ebraico con una vasta minoranza araba ostile al suo interno. Non avrebbe mai potuto esistere uno Stato simile. Non sarebbe stato in grado di sopravvivere.”
Vedi: http://www.forumpalestina.org/Doc%20forumpalestina/2004/Febbraio04/27-02-0Nakba_ 1948_ Intervista_di_Benny-Morris.htm
di Benny Morris
Haaretz – 10 ottobre 2016
Il professor Daniel Blatman distorce la storia quando afferma che il nuovo stato di Israele, un paese che affrontava eserciti invasori, ha condotto una politica di espulsione delle popolazioni arabe locali.
In fondo al suo articolo della scorsa
settimana, “Netanyahu, ecco che cosa è veramente la pulizia etnica”, il
professor Daniel Blatman viene definito uno “storico”. In tal caso,
Blatman ha tradito la sua professione attribuendomi posizioni che non ho
mai sostenuto e distorcendo gli eventi della guerra del 1948.
Anzitutto nel suo articolo Blatman
ignora il fatto fondamentale che sono stati i palestinesi a dare inizio
alla guerra, quando hanno respinto il piano di compromesso delle Nazioni
Unite ed hanno intrapreso azioni ostili in cui 1800 ebrei sono stati
uccisi tra il novembre 1947 e la metà di maggio 1948. (In questo, tra
l’altro, c’è differenza tra gli ebrei ed i serbi, che hanno iniziato le
guerre in Yugoslavia negli anni 1990 ed hanno effettivamente attuato una
pulizia etnica in Bosnia ed altrove).
Riguardo
alla seconda fase della guerra del 1948, Blatman sostiene che i paesi
arabi hanno invaso il futuro stato di Israele per salvare i loro
fratelli palestinesi dalla pulizia etnica che gli ebrei avevano
iniziato, e che la maggior parte di essi ha attaccato il nuovo stato di
Israele a questo scopo. Nel corso di questa presunta pulizia etnica “più
di 400.000” arabi – che secondo Blatman costituivano oltre la metà
della popolazione araba palestinese – sono stati espulsi dalle loro case
e costretti a fuggire dal 14 maggio (1948). (In realtà, all’epoca vi erano da 1,2 a 1,3 milioni di arabi nel paese.)
Il numero reale di coloro che sono
fuggiti e sono stati costretti a fuggire era verosimilmente più basso,
ma, cosa ancor più importante, gli stati arabi hanno attaccato lo stato
di Israele soprattutto per nuocergli, se non per distruggerlo. Il fatto è
che i loro leaders hanno minacciato l’invasione anche prima che fosse
approvata la risoluzione dell’ONU il 29 novembre 1947 e prima che anche
un solo arabo fosse stato cacciato dalla sua casa. Ed hanno continuato a
minacciare un’invasione nei mesi seguenti, fino a maggio 1948.
Non è stata la tragedia palestinese a
motivare i paesi arabi durante l’invasione. La verità è che la fuga e
l’espulsione degli arabi dalle loro case prima della nascita dello stato
di Israele, soprattutto da inizio aprile fino al 14 maggio 1948 [data
della proclamazione dello Stato di Israele, ndt.] (è a tale proposito
che sono stati sempre citati la presa di Jaffa, Tiberiade e Haifa ed il
massacro di Deir Yassin) hanno alimentato l’estremismo tra le
popolazioni arabe che circondavano il futuro Israele e sono state una
delle ragioni per cui i leaders arabi hanno deciso di procedere
all’invasione alla vigilia del 15 maggio.
Ma fattori più importanti hanno
influenzato i leaders arabi nella loro decisione: per esempio, re
Abdullah di Giordania voleva espandere i confini del proprio paese, il
re egiziano intendeva negare a quello giordano ulteriori conquiste
territoriali ed i leaders di Siria, Iraq ed Egitto temevano la reazione
interna se non avessero effettuato l’invasione. La preoccupazione per il
benessere degli arabi nel territorio, non ancora stato, di Israele non
era il principale motivo dell’invasione araba.
Attaccare il neonato stato ebraico
Secondo Blatman, io ho sostenuto che
“più di sei mesi prima che iniziasse l’invasione araba” i leaders
dell’Yishuv, la comunità ebraica nella Terra di Israele, aspiravano ad
espandere i confini del paese oltre quelli stabiliti dalla risoluzione
dell’Assemblea Generale dell’ONU, “e ridurre al minimo il numero” degli
arabi che sarebbero rimasti nello stato ebraico.
Questo non ha senso, è una distorsione
delle mie parole e della storia. Ovviamente i leaders, nei primi anni di
vita di un paese, hanno interesse ad espanderne il territorio, ma c’è
una grande differenza tra aspirazioni personali e politiche.
In termini politici, i leaders
dell’Yishuv aspiravano ad ingrandire l’area dello stato che stava per
nascere solo a partire da marzo-aprile 1948, non fin da novembre 1947. E
questo è successo solo dopo quattro mesi di conflitto arabo contro
l’Yishuv, che stava impostando una difesa strategica. Ed è successo solo
dopo che i leaders arabi dichiararono apertamente, mattina, giorno e
notte, che intendevano attaccare lo stato ebraico quando se ne fossero
andati i britannici.
Riguardo al fatto di ridurre al minimo
il numero di arabi, in nessun momento della guerra del 1948 fu presa una
decisione da parte della leadership dell’Yishuv o dello stato di
“espellere gli arabi” – né nell’ambito dell’Agenzia Ebraica né del
governo di Israele; e neanche all’interno dello stato maggiore
dell’Haganah [principale milizia sionista prima della creazione
dell’esercito israeliano, ndt] o dell’esercito israeliano. E nessun
partito importante nell’Yishuv, neppure i revisionisti [gruppi sionisti
della destra nazionalista, ndt.], ha inserito tale politica nel suo
programma.
E’ vero che negli anni ’30 ed all’inizio
degli anni ’40 David Ben Gurion e Chaim Weizman hanno sostenuto il
trasferimento di arabi dall’area del futuro stato ebraico. Ma in seguito
hanno appoggiato la decisione dell’ONU, il cui piano prevedeva che più
di 400.000 palestinesi rimanessero dove erano [cioè nel territorio dello
Stato di Israele, ndt.].
E’ vero altresì che a partire da una
certa fase della guerra Ben Gurion ha lasciato intendere ai suoi
ufficiali che era preferibile che rimanessero nel nuovo paese meno arabi
possibile, ma non diede mai loro l’ordine di “espellere gli arabi”.
(Nel luglio 1948 si è espresso addirittura contro l’espulsione degli
arabi di Nazareth, mentre ha ordinato a malincuore l’espulsione di
quelli di Lod e Ramle.)
La logica del trasferimento che prevalse
nel paese a cominciare dall’aprile 1948 non si è mai trasformata in una
scelta politica ufficiale – il che spiega perché ci sono stati
ufficiali che espulsero gli arabi ed altri che non lo fecero. Né gli uni
né gli altri sono stati redarguiti o puniti.
Alla fine, nel 1948 circa 160.000 arabi
sono rimasti nel territorio israeliano – un quinto della popolazione.
Nel corso dei decenni questo numero è aumentato fino a 1,6 milioni. (In
questo mese i loro leaders hanno deciso di non partecipare al funerale
di Shimon Peres, che cercò di promuovere un accordo basato sulla
soluzione di due stati.)
Nessuna politica di espulsione totale
Se Blatman legge i miei libri, può
apprendere che già il 24 marzo 1948 Israel Galili, vice di Ben Gurion
nel futuro Ministero della Difesa e capo dell’Haganah, ordinò a tutte le
brigate dell’Haganah di non deportare gli arabi dal territorio
destinato allo stato ebraico. Le cose cambiarono all’inizio di aprile a
causa delle instabili condizioni dell’Yishuv e dell’imminente invasione
araba. Ma non vi fu una politica di espulsione totale – in qualche luogo
espulsero la popolazione, in altri no, e per la maggior parte gli arabi
semplicemente scapparono.
E’ vero che a metà del 1948 il nuovo
stato di Israele adottò una politica di divieto del ritorno dei
rifugiati – gli stessi rifugiati che mesi e settimane prima avevano
cercato di distruggere il nascituro stato. Ma io continuo a ritenere
tale politica logica e giusta.
Non accetto la definizione di “pulizia
etnica” per ciò che fecero gli ebrei nel futuro stato di Israele nel
1948. (Se prendiamo in considerazione Lod e Ramle, forse possiamo
parlare di parziale pulizia etnica). E sicuramente non vi fu una pulizia
etnica che fu “una delle più riuscite del XX secolo”, come l’ha
definita Blatman. Al contrario.
Alla fine, 160.000 arabi sono rimasti
sul territorio israeliano e non tutti quelli che hanno cercato di
tornare dai paesi arabi dopo il 1948 sono stati espulsi, come sostiene
Blatman. Molti lo sono stati, e a molti che in qualche modo sono
ritornati è stato consentito di restare e sono diventati cittadini dello
stato ebraico.
Detto per inciso, i paesi arabi hanno
attuato una pulizia etnica e scacciato tutti gli ebrei fino all’ultimo
dai territori che hanno conquistato nel 1948 – per esempio, i giordani a
Gush Etzion e nella città vecchia di Gerusalemme ed i siriani a Masada,
Sha’ar Hagolan e Mishmar Hayarden. Gli ebrei, d’altra parte, hanno
lasciato rimanere gli arabi ad Haifa e Jaffa e nei villaggi lungo le
strade principali del paese – l’autostrada Gerusalemme-Tel Aviv e Tel
Aviv-Haifa – un fatto che non corrisponde all’affermazione secondo cui
si è trattato di una pulizia etnica “riuscita”.
Riguardo all’attuale preoccupazione su
questa questione, è assurdo, per dirla in termini blandi, sostenere che
cacciare le comunità ebraiche dalla Cisgiordania sia una “pulizia
etnica”, ma c’è una logica nella presenza di ebrei in zone arabe, così
come che arabi vivano nello stato ebraico. Nella situazione attuale,
l’impresa di colonizzazione in Giudea e Samaria [come i sionisti
israeliani definiscono la Cisgiordania occupata, ndt.] costituisce un
ostacolo ad una possibile pace tra noi ed i palestinesi. Io mi sono
sempre opposto a questa impresa, perché una divisione in due stati per
due popoli è la soluzione giusta e logica.
Purtroppo Benjamin Netanyahu ha ragione
quando dice che il principale ostacolo alla pace è la mancanza di
volontà degli arabi da entrambe le parti della Linea Verde di accettare
un compromesso basato su due stati per due popoli, ed il loro rifiuto
della legittimazione dell’impresa sionista e dello stato di Israele.
Il professor Benny Morris, storico, è autore di “La nascita della questione dei rifugiati palestinesi rivisitata.”
(Traduzione di Cristiana Cavagna)
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