Giorgio Gomel : Hebron, il soldato omicida



Hebron, il soldato omicida
di Giorgio Gomel

Sergio Della Pergola in un articolo dal titolo “Estremismo ebraico, responsabilità di chi ignora la minaccia” (Pagine Ebraiche, febbraio 2016), in cui denuncia la gravità dell’estremismo di ebrei fondamentalisti, assertori della “Grande Israele”, predicatori e attori di violenza antiaraba fin dai primi anni ’80, conclude: “Esiste chi è disposto a commettere un crimine. Segue … chi lo approva. Segue chi non approva ma tollera. Segue chi non tollera ma capisce. Chi non capisce ma non critica. Segue chi critica ma non fa nulla per evitare. Così si arriva al crimine. Così è stato per l’uccisione di Rabin.”
Il dibattimento nel processo di Elor Azaria, il soldato che ha assassinato a Hebron Abd al Fatah al Sharif, un giovane palestinese che aveva aggredito un altro soldato e giaceva ferito a terra, è un paradigma esemplare di quanto Della Pergola descrive. Al di là delle indagini, delle testimonianze - che sia nei filmati sia nelle dichiarazioni dei suoi stessi comandanti, secondo i quali l’assalitore ferito a terra con il coltello lontano dalle sue mani non poneva più pericolo alcuno, ne provano l’intenzione omicida - delle argomentazioni dell’accusa e della difesa e di quale sarà l’esito del processo, il contesto è rilevante dal punto di vista simbolico e politico.
I difensori di Azaria, la famiglia e alcuni media lo dipingono come un novello Dreyfus, un capro espiatorio usato dai vertici dell’esercito nel conflitto sorto da qualche tempo con il governo di destra al potere del paese circa le regole di comportamento dei soldati e l’etica delle armi. Il capo di stato maggiore Eisenkot ha ribadito più volte negli ultimi mesi che i militari non devono uccidere terroristi sospetti se non vi sono minacce incombenti alla propria vita. Questa frattura ha condotto, insieme ad altri fattori, alle dimissioni del Ministro della difesa Yaalon, che ha accusato “elementi estremisti e pericolosi al potere nel Likud e nel governo di Israele”, e alla nomina di Lieberman in quell’incarico così delicato. In realtà Azaria non è Dreyfus, ma il suo atto è consono allo Zeitgeist, allo spirito dei tempi. Azaria era di guardia a Hebron, città cisgiordana dove 200.000 abitanti palestinesi soffrono le vessazioni quotidiane dell’occupazione ad opera dell’esercito posto a protezione di 700-800 coloni ebrei fra i più ideologicamente oltranzisti. Uno dei mercati più antichi della città è abbandonato da anni, intere strade del centro cittadino sono chiuse agli abitanti, le provocazioni dei coloni agli abitanti frequenti. Il filmato dell’omicidio prodotto da B’tselem - una delle più coraggiose ONG israeliane nel campo dei diritti umani - mostra Baruch Marzel, ex leader del Kach, il partito antiarabo fondato da Meir Kahane e messo fuori legge in Israele per razzismo, che giunge sul posto e stringe la mano al soldato Azaria. Lo stesso Azaria nella deposizione in tribunale racconta che Marzel e i suoi invitano regolarmente a Tel Rumeida nel centro di Hebron i soldati a pranzo nei giorni di Shabbat, una amicale e piacevole camaraderie fra i coloni e i militari chiamati a proteggerli. Bisogna visitare la città per capire l’humus di violenza che la opprime. L’ho fatto qualche anno fa in una visita guidata da attivisti di Peace Now, dolorosa e istruttiva circa l’assurdità dell’occupazione. Ma la casistica, al di là degli accadimenti di Hebron, di palestinesi uccisi per errore, faciloneria, licenza di uccidere, anche allorché non vi è pericolo di vita è purtroppo molto vasta. Dall’ottobre 2015, con oltre 200 palestinesi uccisi dopo aggressioni a israeliani o in altri episodi di violenza (manifestazioni, cortei con conseguenti scontri con l’esercito o la polizia), secondo le statistiche ufficiali di Israele, una sola indagine è stata avviata contro agenti di polizia sospettati di aver usato le armi violando le regole circa l’uso delle stesse. La prassi legale in questi casi prevede che l’indagine si basi soltanto sui rapporti degli agenti e sulle inchieste interne della polizia, senza interrogare i testimoni o gli agenti stessi implicati né esaminare altra evidenza documentaria. Così il caso si chiude rapidamente.
Ma soprattutto è grave la copertura “politica”. Bennett, Ministro dell’istruzione, dichiara: “Dovete uccidere i terroristi, non liberarli”; Erdan, Ministro della sicurezza, echeggia: “Ogni terrorista deve sapere che non sopravviverà all’aggressione che intende commettere”; Hotovely, vice Ministro degli esteri, proclama: “Se qualcuno viene per ucciderti, uccidilo tu prima” ; Lieberman, Ministro della difesa, invoca la pena di morte per i terroristi.
La destra, con la sua retorica bellicosa e sciovinista, incita, infiamma e poi fugge dalle sue responsabilità e abbandona i soldati sul campo. Essa, non solo il soldato Azaria, dovrebbe essere sul banco degli imputati.http://www.hakeillah.com/4_16_14.htm
Giorgio Gomel

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