TERRITORI OCCUPATI. Omicidi extragiudiziali e disillusione. due giovani palestinesi uccisi in due giorni



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Due giovani uccisi in due giorni tra Nablus e Hebron perché accusati di voler aggredire i soldati israeliani. Da un sondaggio emerge che la maggioranza dei palestinesi dei Territori preferirebbe unirsi alla Giordania
(Fonte: Ma'an News)
(Fonte: Ma’an News)
della redazione
Roma, 21 ottobre 2016, Nena News – Non si spengono le violenze nei Territori Occupati. A oltre un anno dall’inizio di quella che è stata definita l’Intifada di Gerusalemme, un altro giovanissimo palestinese ha perso la vita sotto i colpi di arma da fuoco dell’esercito israeliano,
Khalid Bahr Ahmad Bahr, 15 anni, è stato centrato al petto ieri vicino all’incrocio di Beit Ummar, villaggio tra Betlemme e Hebron, dove la presenza militare israeliana è costante: una torretta militare proprio all’ingresso della comunità, jeep e chiusure frequenti in entrata e in uscita.
Secondo l’esercito israeliano il giovane stava lanciando pietre e un soldato sarebbe rimasto lievemente ferito. All’ordine di fermarsi, Khalid non lo ha fatto ed è stato ucciso. Diversa la versione dei testimoni: l’esercito gli ha sparato alla schiena – eventualità che nega la ricostruzione di un attacco – e ha poi impedito alle ambulanze di soccorrerlo.
Quale che sia la verità, emerge ancora una volta l’illegalità dei metodi israeliani: un 15enne con in mano delle pietre viene “neutralizzato” – gergo di Tel Aviv – con le pallottole. Un destino che accomuna buona parte dei 235 palestinesi uccisi dal primo ottobre 2015. A poco, o a nulla, servono le proteste e le denunce delle organizzazioni per i diritti umani, locali e internazionali, che definiscono simili pratiche omicidi extragiudiziali. Rientra tutto nella più generale repressione delle manifestazioni di protesta palestinesi:  il lancio di pietre è considerato grave quanto un omicidio secondo la legge passata lo scorso anno alla Knesset che prevede una pena da un minimo di 3 anni fino a 20 di prigione per il lanciatore di pietre “mosso dall’intento di danneggiare”.
Mentre Khalid perdeva la vita sul web compariva il video della morte di Rahiq Shaji Birawui, palestinese di 23 anni uccisa al checkpoint Zatara, vicino alla città di Nablus. Secondo la versione dell’esercito, la donna era stata colpita mentre si avvicinava con un coltello ai soldati, dopo non aver rispettato l’ordine di fermarsi. Anche in questo caso, un gruppo di soldati non sarebbe stato in grado di fermare con altri metodi, non letali, una ragazza se non uccidendola.
L’occupazione militare si fa ogni giorno più brutale e soffocante. È forse questa la ragione del risultato del sondaggio condotto dalla An-Najah University di Nablus e riportato ieri dai quotidiani israeliani: basandosi su interviste a 1.362 palestinesi di Gaza e Cisgiordania, è emerso che buona parte di loro preferirebbe la creazione di una confederazione giordano-palestinese come soluzione al conflitto. Sarebbe l’opinione del 46% degli intervistati – il 52% dei residenti in Cisgiordania e il 36% di quelli di Gaza. Molti di meno – il 18% – quelli che credono ancora nella possibilità di fondare uno Stato binazionale, unico, dove israeliani e palestinesi possano godere di eguali diritti e doveri.
Al di là della fondatezza dei risultati del sondaggio – subito ripresi dai media israeliani – ad emergere è lo scoramento e la disillusione dopo quasi 50 anni di occupazione, con una leadership annullata da interessi particolari e individuali, lo scollamento della società palestinese sempre più divisa tra classi alte e basse, un costante peggioramento delle condizioni di vita figlio delle politiche sempre più di ultradestra del governo israeliano. Nena News

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