Dobbiamo dare [il permesso di]
residenza israeliano ai centomila palestinesi che vivono nella parte
della Cisgiordania controllata da Israele, al fine di ridurre la
sofferenza di coloro che vivono sulla prima linea dell’occupazione
Le osservazioni che ho fatto alla
conferenza dell'”Istituto per la Ricerca Politica di Gerusalemme” agli
inizi di questo mese hanno creato molto scalpore. Alla conferenza i
relatori hanno presentato le attività nelle aree comuni a favore di
differenti comunità dell’area della grande Gerusalemme, in particolare
degli ebrei e dei palestinesi. Io ho parlato dell’importanza di questi
territori anche come una sorta di laboratorio per una convivenza
binazionale nell’intero territorio della Terra di Israele- considerando
la deprimente e difficile eventualità che la soluzione dei due Stati non
si possa realizzare e che israeliani e palestinesi verranno lentamente
trascinati, lo vogliano o no, verso una qualche forma di Stato
binazionale o federale.
Sono passati quasi 50 anni dalla
guerra dei Sei Giorni nel 1967. Durante questo periodo sono rimasto
attaccato con entusiasmo e determinazione all’idea della soluzione dei
due Stati – Israele e Palestina, che vivano l’uno accanto all’altro in
pace e riconoscendosi a vicenda – e ho agito coerentemente con tale
convincimento.
Ritengo ancora che questa sia la
soluzione giusta ed etica al conflitto. E benché alcuni in entrambi gli
schieramenti, israeliani e palestinesi, hanno rifiutato per anni di
riconoscere la legittimità di questa soluzione, lentamente è diventata
la soluzione accettabile all’intera comunità internazionale, compresa
larga parte del mondo arabo, fino a essere finalmente codificata negli
accordi di Oslo del 1993.
Perfino l’attuale governo di estrema
destra in Israele ha adottato ufficialmente la soluzione a due Stati;
tuttavia sul terreno nell’ultimo decennio non si è visto alcun serio
tentativo israeliano di fare un passo per la sua realizzazione.
Parallelamente è chiaro che l’Autorità palestinese, che a sua volta ha
ufficialmente adottato la soluzione a due Stati, sta sta evitando seri
negoziati con il governo israeliano per realizzare concretamente questa
soluzione.
La stessa Gerusalemme la cui parte
orientale, secondo quanto prevede la soluzione a due Stati, avrebbe
dovuto essere la capitale dello Stato palestinese, è diventata
fisicamente sempre di più una città unica. La possibilità di istituire
un confine internazionale che la attraversi sembra piuttosto
irrealistica.
Gli Stati Uniti e i Paesi europei
hanno fallito nell’imporre ad entrambi i contendenti la soluzione a due
Stati non solo a parole ma anche di fatto. Questo è particolarmente vero
per la parte israeliana, che continua a espropriare terra palestinese
per la crescita e l’espansione delle colonie nella Cisgiordania.
I trattati di pace con la Giordania e
l’Egitto possono ancora essere conservati, ma quei due Paesi sono
costretti a fare i conti con i loro seri problemi, e le loro
preoccupazioni a favore dei palestinesi sono solo belle parole. Il mondo
arabo sta andando a pezzi e si sta disintegrando in guerre civili
sanguinose e ha perso ogni influenza e interesse nei confronti del
conflitto israelo-palestinese. Di conseguenza, l’idea dei due Stati sta
diventando sempre più problematica.
E cosa sta succedendo nei territori
palestinesi? La Striscia di Gaza è ora del tutto separata da Israele
senza la presenza di israeliani, siano civili o militari. Per Israele
Gaza è una sorta di piccolo Stato nemico, un posto dove scoppiano
occasionalmente brevi guerre con Israele. Ma la Striscia di Gaza non è
sotto totale assedio, dal momento che ha un confine indipendente con
l’Egitto e vi è anche un varco per il cibo e le merci tra Gaza e
Israele.
La Cisgiordania in base agli accordi
di Oslo è divisa in tre aree: l’area A, B e C. Le aree A e B comprendono
il 40% circa della Cisgiordania, mentre l’area C costituisce il
rimanente 60% del territorio. Le aree A e B, dove si trovano le maggiori
città e paesi palestinesi, sono sotto il governo dell’Autorità
palestinese.
L’area A è soggetta alla legislazione
civile e militare palestinese. L’area B è soggetta solamente
dall’amministrazione civile palestinese, mentre quella militare è sotto
il controllo di Israele. Questo significa che la maggior parte dei
palestinesi in queste aree vivono sotto una forma di parziale e limitata
autonomia e hanno una polizia semi-militarizzata al loro servizio che,
in qualche misura, collabora con le forze di sicurezza israeliane per
prevenire il terrorismo.
Tutte le colonie si trovano nell’area
C. Secondo stime prudenti, il numero dei coloni [si aggira attorno ai]
450.000, circa la metà dei quali vive nelle città. Il numero dei
palestinesi che abitano
nell’area C è solamente di circa
100.000 e sono persone che sono in continuo conflitto con i coloni,
specialmente quelli estremisti, riguardo all’esproprio delle terre, alle
minacce sulle strade, allo sradicamento degli olivi e al vergognoso
sfruttamento come lavoratori sottopagati. Questi palestinesi sono sotto
la continua sorveglianza dell’esercito israeliano, della polizia e dei
servizi di sicurezza.
Data la situazione generale del
mondo, che tende verso nazionalismi di destra estrema, data la
deplorevole situazione del mondo arabo, lo scarso interesse nei
confronti del conflitto israelo-palestinese in atto per più di 140 anni,
e dati il governo di estrema destra d’Israele e la passività
dell’Autorità palestinese- sembra chiaro che la soluzione dei due Stati
per due popoli sta divenendo sempre più impossibile. Così dobbiamo
cominciare a pensare ad altre soluzioni parziali, di natura federale ,
che aggirino l’attuale impossibilità di stabilire un confine
internazionale definito tra i due popoli nella terra di Israele.
Nella prima fase, per alleggerire il
peso dell’occupazione ( le cui propaggini avvelenano la democrazia anche
all’interno dei confini israeliani), è necessario concedere il permesso
di residenza ai 100.000 palestinesi che vivono nell’area C e che si
confrontano con l’occupazione israeliana, affrontando sia i coloni che
l’esercito.
Questi permessi di residenza ai
palestinesi prima di tutto gli garantiranno i diritti fondamentali che
hanno i coloni che abitano intorno e vicino a loro. In altre parole, i
benefici del sistema di sicurezza sociale, l’accesso alle cure
sanitarie, i sussidi di disoccupazione, il minimo salariale, la libertà
di movimento e un migliore status legale nei confronti delle autorità
giudiziarie e della legge israeliane. Tale permesso di residenza
potrebbe prevenire l’esproprio delle loro terre ( o renderlo molto più
difficile) per mezzo delle varie ignobili proposte di legge per
legalizzare la costruzione su terra privata palestinese, oppure per
mezzo di ordinanze militari arbitrarie, abusando di loro in quanto
soggetti senza diritti.
Contrariamente a quello che è stato
insinuato nelle reazioni al mio discorso, concedere il permesso di
residenza non significherà l’annessione dell’area C ad Israele. Lo
status di questo territorio rimarrebbe lo stesso di oggi: un territorio
conteso il cui status sarà deciso in un futuro negoziato tra palestinesi
e israeliani, analogamente a quello di Gerusalemme est. Se nel contesto
di una soluzione a due Stati Gerusalemme sarà parte dello Stato
palestinese, allora il permesso di residenza israeliano, che i 250.000
palestinesi che vivono lì già posseggono, non sarà di ostacolo ad un
accordo.
Ho più volte detto che continuerò a
sostenere la soluzione a due Stati, proprio come l’ho sostenuta nei 50
anni precedenti. Ma è impossibile non provare a migliorare , anche di
poco, la situazione delle migliaia di palestinesi che vivono nell’area
C, dove un’occupazione perniciosa avvelena la loro esistenza giorno e
notte.
Il nostro urgente dovere umanitario
di ridurre la sofferenza umana– nella misura in cui non confligga con il
raggiungimento di un giusto accordo nel futuro – viene prima di
principi semplicistici. Un palestinese cinquantenne che è nato durante
l’occupazione e la affronta di continuo in prima linea, merita di
ricevere da subito diritti sostanziali e immediati, anche se solo
parziali, al fine di migliorare la sua situazione.
( Traduzione di Carlo Tagliacozzo)
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