La soluzione dei due Stati: che cosa ha detto esattamente Trump –
La
conferenza stampa congiunta di Donald Trump e Benjamin Netanyahu di
mercoledì scorso è stata esattamente come ci aspettavamo che fosse, ed
anche qualcosa di…
zeitun.info
Amir Tibon, 15 febbraio 2017, Haaretz
Cinque domande per dare senso alla conferenza stampa Trump-Netanyahu
La conferenza stampa congiunta di Donald Trump e
Benjamin Netanyahu di mercoledì scorso è stata esattamente come ci
aspettavamo che fosse, ed anche qualcosa di più. E’ stata piena di
grandi titoli, sorrisi, momenti di imbarazzo ed anche di un minimo di
tensione. Per molti che l’hanno seguita in diretta, la conferenza stampa
ha lasciato un senso di confusione, ulteriormente rafforzato dalle
contraddittorie conclusioni che ne hanno tratto vari organi di stampa.
Alcuni titoli hanno annunciato che Trump aveva rotto
con “decenni di politica americana”, in quanto avrebbe “abbandonato la
soluzione dei due Stati.”Altri hanno sottolineato con quanta forza Trump
abbia enfatizzato il suo desiderio di vedere un accordo di pace in
Medio Oriente, al punto da dire esplicitamente a Netanyahu che Israele
dovrà fare compromessi e mostrare flessibilità, chiedendo al primo
ministro: “Lo capisci, vero?”
Per cercare di dare un senso a tutto questo, ecco
cinque domande chiave che hanno avuto maggior rilevanza nei reportage
sulla conferenza stampa – ed il nostro modesto tentativo di darvi
risposta.
1. Che cosa ha detto esattamente Trump riguardo alla soluzione dei due Stati?
Il presidente americano non ha citato la soluzione
dei due Stati nell’ intervento che aveva preparato, ha invece parlato
solo in generale di un accordo di pace che richiederà “flessibilità” e
“compromessi” da entrambe le parti. Alla domanda specifica sulla
soluzione dei due Stati, Trump ha risposto che non privilegia alcuna
opzione – uno Stato, due Stati o qualcos’altro – a condizione che venga
accettata dalle due parti, Israele e i palestinesi. Tale risposta
corrisponde a quanto detto recentemente da diversi funzionari
dell’amministrazione, cioè che Trump vuole un accordo di pace e
lascerebbe alle due parti la definizione dei suoi termini.
Trump ha anche detto a Netanyahu che Israele dovrebbe
“frenare un po’” sulle colonie, il che significa che si rende conto
della dimensione territoriale del conflitto israelo-palestinese. Il suo
tono e le sue parole sulle colonie non sono stati duri come quelli del
suo predecessore Barak Obama, però ha anche messo in chiaro che chi in
Israele avrebbe potuto aspettarsi una “assegno in bianco” da Trump sulla
costruzione di colonie probabilmente sarà rimasto deluso.
2. Che cosa significa l’affermazione di Trump?
La risposta a questa domanda è passibile di diverse
interpretazioni. In Israele alcuni politici e commentatori di destra
hanno apertamente acclamato le parole di Trump e le hanno presentate
come un certificato di morte ufficiale della soluzione dei due Stati.
Oltreoceano, negli USA, il New York Times ha considerato l’apertura di
Trump ad una soluzione di un solo Stato come il principale risultato
della conferenza stampa.
Altri tuttavia hanno visto questa dichiarazione come
una semplice affermazione che i termini dell’accordo di pace dovranno
essere negoziati tra le due parti e che gli Stati Uniti non li
imporranno loro. Bisogna notare che il primo presidente americano che ha
formalmente sostenuto la soluzione dei due Stati fu George W. Bush, che
lo fece solo nel 2001. Bush, ed Obama dopo di lui, definì quella
soluzione come un vitale interesse americano. Mentre alcuni alti
funzionari dell’amministrazione Trump – come il segretario alla difesa
James Mattis – concordano con questa impostazione, Trump sembra pensarla
diversamente. Per lui l’interesse vitale è un accordo di pace, che
preferibilmente coinvolga non solo Israele e i palestinesi, ma anche
altri Stati arabi.
Se un tale accordo di pace sarà possibile solo nel
quadro di una soluzione di due Stati, che sia così. Se vi sono altri
modi per raggiungerlo,Trump è anche disposto ad esaminarli. La cosa
importante dal suo punto di vista è un accordo che entrambe le parti
possano accettare. Finora, dopo decenni di negoziati, nessun’altra
formula è stata accettata né dai palestinesi né dal mondo arabo. Resta
da vedere se la dichiarazione di Trump cambierà le cose o se tra qualche
mese dirà che questa è l’unica soluzione accettata dalle due parti.
David Makovsky, ex negoziatore di pace e direttore
del Programma per la pace in Medio Oriente presso l’Istituto di
Washington per la politica del Vicino Oriente, ha scritto che secondo
lui l’affermazione di Trump su due Stati piuttosto che un unico Stato
voleva sostanzialmente dire che “gli Stati Uniti non possono desiderare
un accordo più delle due parti.”
3. Allora che cosa implica in realtà la visione della pace di Trump?
Nella conferenza stampa Trump ha esposto diverse
idee. Anzitutto ha affermato un’ovvietà, che entrambe le parti dovranno
fare concessioni e mostrare flessibilità. Riguardo ad Israele, ha citato
moderazione sulle colonie. Riguardo ai palestinesi, il suo linguaggio è
stato più duro – ha detto che dovranno fermare l’istigazione contro
Israele, anche nelle scuole. Trump ha parlato di “fermare l’odio” verso
israeliani ed ebrei. A parte questo, ha detto di volere raggiungere un
accordo di pace nella regione con il coinvolgimento di altri Paesi
arabi.
Un’affermazione centrale di Trump, che non ha
ricevuto molta attenzione dai media, è stata che lui crede che un
accordo regionale permetterebbe ad Israele di “mostrare maggior
flessibilità” che nel passato. Questo passaggio in realtà coincide con i
tentativi delle precedenti amministrazioni USA – da Clinton a Obama –
di coinvolgere il mondo arabo nei negoziati di pace, in modo che Israele
possa ottenere maggiori vantaggi diplomatici, economici e in tema di
sicurezza per ogni compromesso territoriale che accetti. Trump non è il
primo presidente USA ad adottare questa linea di pensiero, ma potrebbe
essere il primo a metterla realmente in pratica in vista di un accordo
di pace.
4. Netanyahu ha ritirato il suo sostegno alla soluzione dei due Stati?
A differenza di Trump, che ha lasciato ampio spazio
all’interpretazione dell’esatto significato delle sue parole, Netanyahu è
stato più chiaro nelle sue affermazioni, ed ha fatto un grande passo
verso l’abbandono della soluzione dei due Stati, senza dirlo in modo
esplicito. Netanyahu ha detto che nella sua ipotesi di accordo di pace
Israele dovrà mantenere il controllo sull’intero territorio ad ovest del
fiume Giordano. Questo significa, di fatto, che il futuro Stato di
Palestina –se mai vi sarà – resterà sotto il controllo israeliano e
potrebbe sostenere di essere effettivamente occupato da Israele.
In passato Netanyahu ha pubblicamente insistito su
due condizioni per la pace – il riconoscimento da parte palestinese di
Israele come Stato ebraico, e che lo Stato palestinese sia
demilitarizzato, in modo da non poter attaccare militarmente Israele. Ha
anche richiesto in recenti tornate di negoziati che Israele potrà
mantenere per decenni una presenza militare nella valle del Giordano –
l’area che separa dal Giordano i principali centri popolati palestinesi
in Cisgiordania. Però la frase usata nella conferenza stampa, “controllo
israeliano”, spinge la sua richiesta di sicurezza ancor più in là.
Netanyahu ha anche detto che lui ed il presidente
palestinese Abbas non hanno raggiunto un accordo su una comune
definizione di due Stati. Certo non c’è probabilmente nessun leader
palestinese che possa accettare di chiamare “Stato” un’entità
palestinese sotto controllo militare israeliano. Questo elemento di
disaccordo è stato una delle principali ragioni per cui nel 2014 il
tentativo di John Kerry di formulare un accordo di pace è fallito. Resta
da vedere come Trump, il presidente dell’ “Arte degli accordi” [titolo
di un libro scritto da Trump nel 1987. Ndtr.], affronterà la questione.
5. Questa conferenza stampa è stata positiva o negativa per Netanyahu?
Di nuovo, dipende a chi lo si chiede. L’esultanza
nelle fila della destra israeliana sicuramente risponde alle necessità
politiche a breve di Netanyahu e non c’è dubbio che anche da un punto di
vista di centro-sinistra le parole di Trump sono state musica per le
orecchie di Netanyahu, se paragonate ad alcune cose che il presidente
Obama gli ha detto negli ultimi otto anni.
D’altro lato, il passaggio in cui Trump ha parlato di
concessioni israeliane e poi ha apostrofato direttamente Netanyahu
chiedendogli “lo capisci, vero?”, potrebbe creare problemi sulla strada
di un primo ministro la cui coalizione dipende da partiti di destra che
si oppongono ad ogni forma di compromesso con i palestinesi. Un
esponente della destra israeliana con cui ho parlato ha aggiunto che la
presentazione da parte di Trump di due sole opzioni – una soluzione di
uno Stato unico o una soluzione di due Stati – è un errore, poiché la
linea dominante della destra israeliana è contraria ad entrambe le
opzioni e privilegia altre ipotesi (per esempio un’autonomia palestinese
o uno Stato palestinese in Giordania.)
Se Israele deve scegliere tra due Stati o uno Stato
unico, più probabilmente sceglierebbe la prima opzione e non si
metterebbe nella condizione di diventare uno Stato binazionale in cui
quasi metà della popolazione si trova sotto la soglia di povertà. Trump
ha detto che lui accetterebbe una simile situazione, ma Netanyahu
probabilmente no. Questo pone sulle sue spalle l’onere di proporre altre
ipotesi – e di cercare di convincere Trump che esse possono essere
accettate dai palestinesi e dal mondo arabo.
(Traduzione di Cristiana Cavagna)
Commenti
Posta un commento