Le colonie e “l’accordo definitivo”: la sorprendente affermazione di Trump su Israele inserita nel contesto
Amir Tibon – 3 febbraio 2017, Haaretz
Cosa c’è, e cosa non c’è, di nuovo nella dichiarazione di Trump sulla costruzione di colonie israeliane.
WASHINGTON –
La dichiarazione della Casa Bianca di giovedì che giudica la
costruzione di colonie israeliane non utile per la pace è arrivata come
una sorpresa e una delusione per alcuni esponenti della destra
israeliana, che avevano sperato che l’arrivo al potere di Trump avrebbe
segnato la fine della soluzione dei due Stati e una nuova era di
appoggio incondizionato della Casa Bianca all’espansione delle colonie
israeliane.
La
dichiarazione chiarisce che Trump, che ha chiamato “definitivo”
l’accordo di pace, condivide il desiderio delle precedenti
amministrazioni di far firmare a Israele e ai palestinesi un accordo di
pace e si aspetta che il governo israeliano eviti passi che possano
danneggiare le prospettive di un simile accordo.
Tuttavia
la dichiarazione contiene anche buone notizie per la destra israeliana,
in quanto afferma che l’amministrazione Trump non crede che le colonie
in sé siano un ostacolo alla pace.
Ogni
amministrazione USA negli ultimi 50 anni ha disapprovato l’espansione
delle colonie israeliane, temendo che potesse pregiudicare le
possibilità di raggiungere un accordo di pace sullo status definitivo.
La Casa Bianca di Trump, a quanto pare, chiede solo che Israele non
estenda le colonie già esistenti, ma non sta affrontando il problema con
lo stesso discorso chiaro che hanno usato amministrazioni precedenti.
Durante
i suoi otto anni di governo l’amministrazione Obama ha insistito che le
colonie erano il maggior ostacolo per la pace. Nel 2009 Obama ha fatto
pressione sul primo ministro Benjamin Netanyahu per il blocco della
costruzione di ogni colonia in Cisgiordania per 10 mesi, e, secondo
fonti ufficiali israeliane, in quel periodo i collaboratori del
presidente avevano messo in guardia Israele che il loro approccio alla
costruzione di colonie era “neanche un mattone”.
Gli
ultimi due atti della precedente amministrazione riguardo al conflitto
israelo-palestinese sono stati l’astensione dal voto del Consiglio di
Sicurezza ONU che ha denunciato le colonie e l’attribuzione della
maggior parte delle responsabilità per il fallimento dei colloqui di
pace alla costruzione delle colonie israeliane. Questa posizione è stata
chiaramente espressa dal discorso dell’allora segretario di Stato John
Kerry alla fine di dicembre.
L’approccio
di Trump sembra essere più vicino a quello dell’amministrazione di
George W. Bush, che nel 2004 inviò una lettera ad Israele, allora
governato da Ariel Sharon, in cui proclamava che “nuove situazioni sul
terreno” avrebbero dovuto essere prese in considerazione in un futuro
accordo di pace, e che fosse “irrealistico aspettarsi che il risultato
di negoziati sullo status finale sia un pieno e totale ritorno alla
linea dell’armistizio del 1949.”
Qualcuno
a Gerusalemme e a Washington interpretò questa affermazione come
un’autorizzazione da parte dell’amministrazione a costruire nei “blocchi
di colonie” – la vasta concentrazione di colonie relativamente vicina
ai confini del 1967, che dovrebbe diventare parte di Israele proprio in
un accordo di pace.
Ma
l’amministrazione Bush non ha sempre parlato con un’unica voce riguardo
all’interpretazione della lettera. L’allora segretario di Stato
Condoleezza Rice disse nel 2007, dopo l’annuncio da parte di Israele di
nuove costruzioni nelle colonie, che “gli Stati Uniti non fanno
differenza” tra diversi tipi di colonie.
Stephen
Hadley, consigliere di Bush per la sicurezza nazionale, affermò che
“ovviamente il presidente appoggia ancora quella lettera dell’aprile del
2004, ma bisogna vederla, naturalmente, nel contesto in cui è stata
inviata.” Quel contesto, spiegò, era l’accettazione da parte di Israele
della cosiddetta “road map per la pace” di Bush, che includeva la
formazione di uno Stato palestinese e la decisione di Sharon del ritiro
unilaterale dalla Striscia di Gaza e da parti della Cisgiordania.
Forse
con il tempo l’amministrazione Trump adotterà una politica vicina a
quella di Bush, che a volte è stata meno severa di quella di Obama
riguardo alla costruzione di colonie. Ma ha anche chiarito che le
colonie erano in effetti uno degli ostacoli per il raggiungimento di un
accordo.
Un’altra
possibilità per l’amministrazione Trump sarebbe di chiudere un occhio
su qualche costruzione di colonie israeliane spingendo al contempo per
negoziati diretti tra Israele e l’Autorità Nazionale Palestinese. Questa
è stata la politica, anche se non dichiarata ufficialmente, durante
alcune fasi dell’amministrazione Clinton.
I
due ultimi primi ministri israeliani che hanno costruito più
insediamenti sono stati Yitzhak Rabin ed Ehud Barak, entrambi del
partito Laburista. Hanno costruito nelle colonie mentre stavano facendo
colloqui di pace con i palestinesi con la mediazione americana.
L’amministrazione
di George H.W. Bush, da parte sua, prese una dura posizione contro la
costruzione di insediamenti, con l’allora segretario di Stato James
Baker che denunciò le colonie come il maggior ostacolo per il
raggiungimento di un accordo. “Non penso che ci sia un ostacolo più
grande per la pace che le attività di colonizzazione che non solo
continuano senza tregua, ma con un ritmo in aumento,” disse Baker nel
1991.
Aggiunse
che “niente ha reso più difficile il mio lavoro per cercare di trovare
partner arabi e palestinesi per Israele del fatto di essere accolto da
una nuova colonia ogni volta che arrivavo.” Va notato che Baker si è
incontrato con Trump nel maggio 2016 per discutere le posizioni in
politica estera del candidato.
Un
membro del governo di Trump che sembra condividere la visione negativa
di Baker riguardo alle colonie è il segretario alla Difesa James Mattis,
che nel 2013 ha detto che la costruzione degli insediamenti stava
mettendo Israele a rischio di diventare uno Stato dell’apartheid.
Mattis, un ex-generale del corpo dei marines, ha aggiunto che come
comandante dello stato maggiore USA, “ha pagato ogni giorno un prezzo in
termini di sicurezza militare perché gli americani erano visti come di
parte nel loro appoggio ad Israele.”
Oltre
alla conclusione che l’espansione delle colonie potrebbe danneggiare la
pace, un altro aspetto della dichiarazione di giovedì che sembra
suggerire continuità con le precedenti amministrazioni è stato il
riferimento al 1967 come un punto di partenza per i colloqui. Ha
affermato che “il desiderio americano di pace tra gli israeliani e i
palestinesi è rimasto invariato per 50 anni.” Il prossimo giugno segna
il cinquantesimo anniversario della Guerra dei Sei Giorni, che diede
inizio all’occupazione israeliana della Cisgiordania.
Il
dottor Michael Koplow, direttore politico del Forum della Politica di
Israele, ha detto ad Haaretz che la posizione della Casa Bianca è
“incoraggiante” e “rivela proprio quanto stia rischiando grosso
Netanyahu in casa sua. Come con i presidenti Clinton e Obama, la recente
posizione dell’amministrazione Trump sulle colonie ora fornisce a
Netanyahu qualche protezione interna dalle pressioni politiche alla sua
destra per fare quello che ha voluto fare da sempre, cioè conservare lo
status quo piuttosto che andare verso più colonie ed eventualmente verso
l’annessione.”
Dan
Shapiro, un ambasciatore USA in Israele sotto Obama, ha twittato che la
dichiarazione della Casa Bianca “ci dice che l’opposizione di Trump
alle attività di colonizzazione, come fattore negativo nel processo di
pace in Medio Oriente, è in continuità con la politica USA per molti
anni.” Ha detto di credere che la Casa Bianca potrebbe aver pubblicato
la dichiarazione perché Netanyahu “ha voluto pressioni da parte di Trump
per aiutarlo a tenere a freno i partiti alla sua destra.”
(traduzione di Amedeo Rossi)
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