Rashid Khalidi – :La Palestina nell’era di Trump
- La Palestina nell’era di Trump
- Fare tanto clamore per avere l’approvazione di Israele: le promesse elettorali di Trump lo perseguiteranno
- Come Israele è passata dal sionismo ateo allo Stato ebraico
- Foucault in Palestina
- Un interludio musicale o gli orrori dell’occupazione? Il dilemma di una giornalista israelia
Con
l’avvento a Washington di un’amministrazione con nuove e radicali
priorità riguardo ad Israele e disprezzo nei confronti dei diritti dei
palestinesi, la Palestina sta affrontando una situazione scoraggiante.
Negli scorsi anni avevano già iniziato ad evidenziarsi predominanti
indirizzi politici in America e in Israele. Ora abbiamo raggiunto il
punto in cui i rappresentanti di un Paese nell’altro
potrebbero praticamente essere scambiati: l’ambasciatore di Israele a
Washington, Ron Dermer, che è cresciuto in Florida, potrebbe facilmente
essere l’ambasciatore USA in Israele, mentre l’ambasciatore designato da
Trump in Israele, David Friedman, che ha stretti legami con il
movimento dei coloni israeliani, potrebbe benissimo fare l’ambasciatore a
Washington per il governo favorevole ai coloni di Benjamin Netanyahu.
Mentre
il sollecito interesse dell’America per Israele e il suo disinteresse
per i palestinesi erano in precedenza celati dietro all’imparzialità,
con Trump stiamo per assistere a una più totale convergenza tra la
dirigenza politica americana e il governo più sciovinista, religioso e
di destra nella storia di Israele. Saranno questo governo israeliano e
le sue nuove anime gemelle americane che prenderanno le decisioni in
Palestina almeno per i prossimi anni.
L’intera
struttura politica ed economica palestinese costituita dagli accordi di
Oslo del 1993 era fondata sull’idea che si sarebbe trasformata in uno
Stato palestinese reale, sostenibile e con continuità territoriale.
Quella illusione, sostenuta da molti palestinesi, è stata ormai
dissolta. Quella struttura imperfetta era anche basata sulla premessa,
quanto meno ingenua, che gli Stati Uniti avessero un interesse nazionale
nel moderare il comportamento di Israele e nel raggiungere un minimo di
giustizia in Medio Oriente. Anche questa premessa è stata distrutta.
Per
i palestinesi l’Autorità Nazionale Palestinese, stabilita dagli accordi
di Oslo in apparenza come parte di un accordo temporaneo per
l’autogoverno palestinese, continuerà a fare più danno che bene. Poche
persone capiscono che la colonizzazione della terra palestinese e
l’occupazione militare israeliana durata quasi cinquant’anni, – tra le
più lunghe della storia contemporanea – oggi non sarebbero sostenibili
senza l’appoggio americano ed israeliano all’ANP ed alle sue forze di
sicurezza addestrate dagli USA. La criminalizzazione da parte dell’ANP
di ogni forma di resistenza alla spoliazione, alla discriminazione ed al
permanente controllo militare da parte di Israele ne hanno fatto, in
effetti, uno strumento di collaborazione con l’occupazione. Persino
bloggers e manifestanti pacifici sono soggetti ad arresti e a soprusi da
parte delle forze dell’ANP. Il modo in cui questa istituzione opera
contro il proprio stesso popolo fornisce un’anticipazione del futuro che
ora i dirigenti sia americani che israeliani prevedono per i
palestinesi nei territori occupati: un futuro che è oppresso,
controllato e privo di sovranità ed autodeterminazione.
E’
assolutamente chiaro che gli Stati Uniti, nell’era Trump, e Israele, in
quella di Netanyahu, non faranno niente per cambiare questo quadro. In
un simile contesto, i palestinesi hanno di fronte scelte nette. Possono
sottomettersi ai voleri degli USA e di Israele oppure possono ridefinire
profondamente e urgentemente il loro movimento nazionale, i loro
obiettivi e le modalità della loro resistenza all’oppressione. E’ ora
per i palestinesi di abbandonare l’esperimento fallito dell’ANP e forme
di violenza che rafforzano solo il dominio della destra sulle politiche
israeliane. E’ ora di mobilitare le ampie energie della diaspora
palestinese e di smettere di pensare alla Palestina come solo a quei
frammenti sotto occupazione israeliana. Ed è tempo di iniziare ad
immaginare modi in cui palestinesi ed israeliani saranno finalmente
capaci di coesistere in totale uguaglianza nel piccolo Paese che alla
fine dovranno condividere, una volta che si sia liberato dalla
dominazione di un gruppo sull’altro. Sarà un compito eccezionalmente
difficile per i palestinesi, che vengono dall’aver sofferto decenni di
guerra, spoliazione ed occupazione.
Ciononostante
ci sono segni di speranza, almeno negli Stati Uniti. A dispetto delle
posizioni dei dirigenti sia del partito Democratico che Repubblicano,
l’opinione pubblica americana si sta allontanando rapidamente da un
appoggio acritico ad Israele. Gli americani stanno diventando sempre più
solidali con la causa della libertà dei palestinesi. Secondo un
sondaggio realizzato dalla Brookings Institution [gruppo di ricerca in
scienze sociali di tendenza progressista con sede a Washington. Ndtr.]
in dicembre, il 60% dei democratici e il 46% di tutti gli americani
appoggia sanzioni o misure più forti contro Israele per la costruzione
di colonie ebraiche illegali sulla terra palestinese occupata. Un
recente sondaggio del Pew [centro di ricerca statunitense indipendente.
Ndtr.] mostra che, per la prima volta, la percentuale di democratici che
sono solidali con i palestinesi è praticamente pari a quelli che
simpatizzano con Israele, mentre i democratici progressisti sono molto
più solidali con i palestinesi (58%) che con Israele (26%).
Con
il tempo, questi cambiamenti arriveranno fino ai politici ed ai
decisori a Washington. Nel frattempo, ci si aspetta da persone con una
coscienza, comprese quelle che stanno resistendo all’ondata di razzismo e
di estremismo di estrema destra che si prospetta nell’era
Trump, che esercitino pressioni sui loro rappresentanti eletti perché
siano all’altezza degli ideali di libertà ed uguaglianza che professano e
che rendano Israele responsabile delle sue violazioni delle leggi
internazionali e del rifiuto dei diritti nazionali ed umani dei
palestinesi.
Rashid
Khalidi è professore Edward Said di Studi Arabi alla Columbia
University e autore, più recentemente, di “Mediatori di menzogna: come
gli USA hanno minato la pace in Medio Oriente.”
(traduzione di Amedeo Rossi)
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