Amira Hass: Perché il nuovo statuto di Hamas è rivolto ai palestinesi e non agli israeliani
Amira Hass – 3 maggio 2017 Haaretz
Il
documento radicale è basato su una nozione fondamentale: le concessioni
fatte dall’OLP e da “Fatah”, la fazione predominante di Abbas, non
hanno fatto cambiare Israele.
Il
nuovo “Documento dei principi generali e delle politiche” di Hamas non è
stato stilato per piacere ad Israele o agli israeliani. La sua
negazione del fatto che gli ebrei abbiano una qualche affinità
religiosa, emotiva o storica con questa terra è inequivocabile. Afferma
che il progetto sionista non prende di mira solo i palestinesi, ma è
anche un nemico del popolo arabo e musulmano e mette in pericolo la pace
e la sicurezza di tutto il mondo. E pertanto, secondo il documento,
mette in pericolo tutta l’umanità. Alla fine, l’unica frase su uno Stato
nei confini del 1967 è molto meno clamorosa di come è stata dipinta.
La
novità si trova in altri aspetti del documento, che è rivolto in primo
luogo e soprattutto al popolo palestinese, e contiene articoli ed
affermazioni formulati durante anni di negoziati con l’Organizzazione
per la Liberazione della Palestina sulla riconciliazione nazionale. Il
documento è rivolto anche al mondo esterno, ma non ai governi
occidentali. Piuttosto si rivolge agli Stati arabi e musulmani e ai
movimenti popolari nei Paesi occidentali che appoggiano la lotta dei
palestinesi contro l’occupazione.
Questo
documento molto radicale è stato scritto con la coscienza del fatto che
la conclusione che ne segue è molto diffusa tra i palestinesi: le
concessioni su principi fondamentali fatte dall’OLP e dalla sua fazione
predominante, Fatah, non hanno fatto cambiare Israele; al contrario, gli
hanno permesso di intensificare il processo di appropriazione di terre e
la sua dominazione sul popolo palestinese.
In
tutto ciò che non riguarda Israele, il documento dimostra che Hamas è
un’organizzazione sensibile alle critiche. O, come l’ha definita lunedì
il capo politico Khaled Meshal, sa come cambiare e rinnovarsi, e
riconosce il pericolo della fossilizzazione. La principale critica
interna palestinese (a parte la politicizzazione della religione) è
stata che Hamas non è un movimento nazionale palestinese, ma piuttosto è
al servizio di un progetto straniero.
Questa
critica si fonda sullo statuto di Hamas del 1988, in cui si definisce
in primo luogo come un movimento di resistenza religioso islamico
(piuttosto che come palestinese) e come una branca della Fratellanza
Musulmana. Il sito web “Il Nuovo Arabo” [media arabo progressista in
lingua inglese con sede a Londra, ndt.] ha scoperto che nelle circa
12.000 parole dello statuto la parola “Allah” compare 73 volte,
“Islamico” 64 volte “jihad” 36 volte e “Palestina” solo 27 voltevimento palestinese islamico nazionale di liberazione e di resistenza”
(in quest’ordine), il cui ob. Quindi
lo statuto originale ha creato l’impressione che la Palestina ed il suo
popolo fossero semplici strumenti nella lotta per diffondere la
religione islamica.
Il
nuovo documento è stato adeguato all’auto definizione di Hamas: “un
mo
iettivo è di liberare tutta la Palestina e
di combattere “il progetto sionista” (piuttosto che gli ebrei). Il punto
di partenza dello statuto – che la radice del conflitto è religiosa – è
scomparso dal nuovo documento. Ma anche nel nuovo documento l’Islam
rimane una fonte di autorità; la Palestina è una terra araba e
musulmana, e l’Islam è ciò che attribuisce a questa terra il suo
particolare ruolo.
I cristiani, le donne e l’OLP
Ci
sono altri tre punti salienti su cui il documento è attento alle
critiche interne. Primo, si rivolge ai cristiani palestinesi facendo
riferimento alla Palestina come al luogo in cui è nato Gesù. Secondo,
l’affermazione dello statuto del 1988 sul ruolo delle donne in casa e in
famiglia e come “le generatrici di uomini” che lottano per la
liberazione è stato sostituito da un’affermazione generica sul ruolo
fondamentale delle donne nella società. Terzo, il nuovo documento
accetta l’OLP come “la cornice nazionale per il popolo palestinese,” in
contrasto con lo sprezzante atteggiamento verso l’OLP dello statuto
[precedente].
Il
nuovo documento non contiene nessuno degli articoli e delle
affermazioni anti-semiti che caratterizzavano lo statuto. Sostenitori
del movimento, soprattutto in Occidente, avevano consigliato da molto
tempo di cambiare quelle disposizioni.
Un
membro di Hamas ha detto ad Haaretz che quasi subito dopo che lo
statuto è stato pubblicato nel 1988, persone del movimento invitarono a
cambiare queste parti. Lo statuto non era stato scritto in modo
collettivo, ha spiegato, e non è “né scientificamente né giuridicamente”
accurato.
Ha affermato che i membri di Hamas deportati nel 1992-93 a Marj El Zhour
[dopo l’uccisione di 6 soldati in Cisgiordania, Israele deportò 415
membri di Hamas e della Jihad islamica su una collina sul confine con il
Libano, dove rimasero per 4 mesi, finché vennero riportati a Gaza e in
Cisgiordania, ndt.], in Libano, furono i primi a discutere seriamente la
necessità di modifiche. Ma queste non sono mai state fatte perché ciò
richiedeva un lungo e complesso processo di riflessione e dibattito durante i difficili periodi di escalation militare.
Lo
statuto in sé non è stato abrogato. E’ un documento storico che si
riferisce ad un particolare momento nella storia dell’organizzazione, e
Hamas non vi sta rinunciando; né il nuovo documento è chiamato
“statuto”. Cancellarlo vorrebbe dire ripetere l’umiliazione subita
dall’OLP, quando dovette annunciare l’abolizione di alcuni articoli del
suo statuto del 1968 perché contraddicevano gli accordi di Oslo. Ma lo
statuto di Hamas non è più la piattaforma ideologica ufficiale
dell’organizzazione.
Non come il Comintern
Hamas
ha reciso ogni rapporto con la Fratellanza Musulmana solo perché il
movimento non è citato nel nuovo documento? Contrariamente alle
affermazioni di Fatah, ha detto il membro di Hamas, il rapporto di Hamas
con la Fratellanza Musulmana è sempre stato puramente emotivo, non
istituzionalizzato, organizzato, gerarchico, in cui ogni organizzazione
gregaria dovesse obbedire a ordini dall’alto, una specie di Comintern
sovietico. Il fatto è che, in Paesi differenti, i partiti affiliati alla
Fratellanza Musulmana hanno adottato politiche differenti.
Il
membro di Hamas ha anche notato che il lavoro sul documento è iniziato
nel 2013, quando Mohammed Morsi, della Fratellanza Musulmana, era ancora
presidente dell’Egitto. In altre parole, non era guidato dalla
necessità di realpolitik per ingraziarsi l’Egitto dopo che il governo
dei Fratelli Musulmani è stato rovesciato.
Ma
è chiaro che nel nuovo documento Hamas cerca di liberarsi da ogni
rapporto con l’estremismo religioso islamico. Il documento sottolinea
che “si oppone all’intervento nelle questioni interne di ogni Paese.” E
Meshal ha detto esplicitamente che il contesto adeguato per la lotta
armata è solo l’opposizione all’occupazione in Palestina, e non
all’estero.
Si
potrebbe vedere questo come realismo politico, data la dipendenza
dell’organizzazione dall’Egitto, che è l’unica porta d’uscita di Gaza,
governata da Hamas, verso il mondo. Ma ciò riflette anche una reale
preoccupazione per l’immagine dell’Islam e la consapevolezza del fatto
che Hamas ed i suoi sostenitori devono prendere le distanze dall’essere
identificati con lo Stato Islamico.
La
versione finale del documento contiene un’affermazione contraria alla
cooperazione (che definisce come “collaborazionismo”) con Israele in
materia di sicurezza, che non era presente nelle bozze diffuse in
precedenza. Il documento inoltre non riconosce la legalità degli accordi
di Oslo, ma si riferisce al suo prodotto, l’Autorità Nazionale
Palestinese, affermando che l’obiettivo dell’ANP è di essere utile a
tutto il popolo palestinese. O, come ha spiegato Meshal, la coerenza con
i principi non nega il riconoscimento dei fatti determinati dalla
realtà.
Lo
stesso vale per l’affermazione in merito alla creazione di uno Stato
“lungo i confini del 4 giugno 1967.” Per anni i principali dirigenti di
Hamas hanno detto, esplicitamente o implicitamente, che il movimento
vuole accettare un compromesso a condizione che non includa un
riconoscimento di Israele. Ma il documento afferma semplicemente che
Hamas riconosce che un simile Stato – compreso il “ritorno dei
rifugiati”- è “una formula di consenso nazionale”. Bisogna ancora vedere
se i rigidi principi del documento intendano effettivamente rendere più
facile ad Hamas dimostrare flessibilità politica nel “gestire il
conflitto”, per usare le parole del documento.
Il
documento non fa riferimento ad Hamas come un partito di governo, ma
solo come un movimento di resistenza. Ciò è un utile compromesso
caratteristico delle doti acrobatiche di Hamas. Ciò permette
all’organizzazione di crogiolarsi nella gloria di un movimento di
resistenza, che a sua volta contribuisce a conservare la Striscia di
Gaza come un bastione del governo nazionale.
(traduzione di Amedeo Rossi)
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