Nell’ambito dell’intervento
ecosostenibile dell’ong Cric a sud di Hebron, vi proponiamo l’intervista
a Fadwa Abu Shrar, direttrice tecnica del Ministero dell’Agricoltura
dell’Autorità Nazionale Palestinese: come combattere l’abbandono
dell’Area C in Cisgiordania?
Hebron, 3 agosto 2017, Nena News – A 50 anni dall’inizio
dell’occupazione militare israeliana dei Territori Palestinesi, a 22
dagli Accordi di Oslo e la divisione amministrativa della Cisgiordania,
la cosiddetta Area C si sta velocemente spopolando. Definita dal
protocollo del 1994 come zona sotto il controllo militare e civile
israeliano, l’Area C rappresenta
oltre il 60% della Cisgiordania, negli anni soggetta a confische di
terra, distruzione degli appezzamenti agricoli, costruzione e
ampliamento delle colonie israeliane.
Un processo che ha portato allo spopolamento di buona parte della
Cisgiordania e all’ufficiosa annessione allo Stato di Israele. Qui,
in Area C, le restrizioni imposte dalla legge militare impongono ai
residenti l’obbligo di chiedere alle autorità israeliane i permessi per
costruire case, strutture agricole, fabbriche, infrastrutture e per
usare le proprie risorse naturali. La naturale conseguenza è stata la perdita delle fonti tradizionali di sussistenza e la scomparsa di comunità e villaggi.
L’intervento che dal 2015 il Cric, in collaborazione con il Land
Research Center, porta avanti si focalizza proprio qui, in Area C, a sud
di Hebron. Il territorio è strategico: corre lungo il confine
ufficiale, la Linea Verde, tra Israele e Cisgiordania ed è costellato di
colonie, blocchi di insediamenti che – insieme alla
costruzione del muro – hanno tagliato via una buona fetta di terre di
proprietà palestinese.
La conseguenza è visibile ogni giorno: i palestinesi residenti hanno
abbandonato le terre per cercare lavoro in Israele, i villaggi si
svuotano, la biodiversità è messa seriamente in pericolo. Per questo il
Ministero dell’Agricoltura dell’Autorità Nazionale Palestinese sta
investendo su questa zona nonostante gli ovvi ostacoli: l’Anp non ha
alcuna autorità sull’Area C, né civile né tantomeno militare, una realtà
che impedisce di fornire servizi alla popolazione e costruire le
infrastrutture necessarie ad uno sviluppo sostenibile.
Abbiamo incontrato Fadwa Abu Shrar, direttrice tecnica del Ministero dell’Agricoltura per il governatorato di Hebron.
È stata lei a seguire fin dall’inizio il progetto del Cric e del Lrc,
offrendo la partnership del suo ufficio nella realizzazione
dell’intervento.
«L’agricoltura è uno degli capisaldi della lotta palestinese per restare sulla propria terra. È il settore del sumud,
della resilienza. Terra e acqua non sono infatti solo gli elementi
centrali per il settore agricolo, ma sono anche gli elementi chiave del
conflitto. Per questo l’agricoltura deve tornare a svolgere il
suo tradizionale ruolo di settore trainante dell’economia palestinese:
oggi è l’ultimo in termini percentuali, di occupazione e produttività».
Solo così potrà competere con l’invasione dei prodotti a basso prezzo
delle colonie agricole israeliane che, sfruttando le risorse naturali
palestinesi, producono di più e con costi decisamente inferiori. In tale
contesto diventa fondamentale il lavoro collettivo per evitare
un’ulteriore frammentazione della terra, l’attività integrata di
agricoltori, ong e Ministero.
«Il Ministero dell’Agricoltura svolge il ruolo di coordinamento tra i
diversi stakeholder che operano sul campo, con l’obiettivo di
realizzare il piano strategico di sei anni lanciato nel 2010 – spiega
Abu Shrar – Ciò significa che il nostro ufficio fa da ombrello
ai diversi attori perché l’attività agricola sia coordinata e piena:
singoli agricoltori, cooperative, ong palestinesi e internazionali,
organizzazioni di donne, i dipartimenti dei Ministeri delle Finanze e
dell’Economia».
Dai contadini fino agli uffici ministeriali passando per i consigli
comunali e di villaggio, le cooperative e le fattorie, le ong e i
donatori. L’obiettivo è operare in modo strategico e senza
accavallamenti, così che il denaro messo a disposizione dalle donazioni
internazionali copra ogni settore e ogni attività in modo omogeneo e
quindi efficace.
«Il piano strategico del Ministero dell’Agricoltura si fonda su una necessità impellente: rafforzare la resilienza in Area C, dare alla popolazione gli strumenti per rimanere e lavorare. È
la nostra priorità da anni e viene portata avanti attraverso action
plan in ogni governatorato della Cisgiordania. Gli action plan si
fondano su linee guida per il settore agricolo a cui aderiscono sia le
organizzazioni non governative che le autorità locali».
Nasce su queste basi il “Greening Palestine”, il progetto
ministeriale che ha come obiettivi principali l’utilizzo sostenibile
delle risorse naturali, acqua e suolo, e la difesa delle biodiversità
palestinesi: «Greening Palestine ha tre scopi fondamentali –
continua Abu Shrar – Il primo è politico: fornire ai contadini che
vivono in Area C e vicino a muro e colonie terre da lavorare senza costi
aggiuntivi. Il secondo è ambientale: ridurre gli effetti dei
cambiamenti climatici attraverso le buone pratiche. Il terzo è agricolo:
aumentare la produttività e garantire la sicurezza alimentare».
Nella pratica il Ministero coordina e supervisiona i progetti sul
campo per incrementare le zone agricole in Area C. Con le note
difficoltà: alla mancanza di autorità sul 60% della Cisgiordania, si
aggiunge una generale scarsità di fondi finanziari che – aggiunge la
direttrice – si tenta di coprire con le risorse umane e economiche delle
ong.
Tra le attività portate avanti all’interno del piano strategico c’è la banca dei semi:
«Per salvaguardare le sementi tradizionali palestinesi, i semi vengono
raccolti, catalogati, conservati e poi distribuiti agli agricoltori. Si
opera nelle diverse aree, caratterizzate da biodiversità differenti: in ogni governatorato esiste una banca di semi nata dopo un processo di verifica delle sementi. Si
testano le migliori a seconda della zona agricola, quelle che resistono
meglio alla siccità e che sono più produttive in quello specifico
terreno. Quindi, attraverso esperienze dirette, si catalogano i semi
migliori».
In questo modo, spiega Abu Shrar, l’attività agricola diviene
sostenibile e si permette l’ingresso dei contadini nel circolo virtuoso
della produzione e la vendita diretta, rendendo le loro opinioni e le
loro esperienze centrali nel processo decisionale a livello
ministeriale. Nena News
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Per saperne di più, sentire le voci degli esperti e dei
contadini, conoscere il sistema agricolo palestinese e le sue produzioni
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