Il boicottaggio di Israele reso reato

Nel 1966 la NAACP della Contea di Claiborne, Mississippi, lanciò un boicottaggio di diverse aziende locali di proprietà di bianchi ritenute colpevoli di discriminazione razziale.
L’iniziativa ebbe un impatto tale che la ferramenta locale avviò una causa contro gli individui e le organizzazioni che coordinavano il boicottaggio. Dopo dieci lunghi anni di contenzioso la Corte Suprema del Mississippi sentenziò a favore delle aziende bianche e ordinò alla NAACP di rimborsarle di tutte le entrate perse.
Anni dopo, nel 1982, la Corte Suprema degli Stati Uniti decise con un voto di otto a zero di ribaltare la sentenza della corte inferiore affermando che i boicottaggi nonviolenti sono una forma di libera espressione protetta dal Primo Emendamento.  Annunciando la decisione unanime il giudice John Paul Stevens affermò: “Una delle fondamenta della nostra società è il diritto delle persone a unirsi con altre nel perseguimento di un obiettivo comune con mezzi legali”.
La questione avrebbe dovuto considerarsi chiusa. Ma oggi il diritto degli statunitensi di boicottare è ancora una volta sotto attacco a causa di un’aggressiva proposta di legge contro il boicottaggio che si sta facendo strada nel Senato.
In particolare essa risulta mirata al movimento per il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS). Il BDS è un movimento internazionale che sollecita individui, istituzioni e governi a boicottare i prodotti di Israele fino a quando il paese non terminerà la sua occupazione delle terre palestinesi. Il boicottaggio è esplicitamente nonviolento ed è appoggiato da attivisti, celebrità, gruppi religiosi e organizzazioni per la giustizia politica e sociale di tutto il mondo.
La proposta Legge Contro il Boicottaggio di Israele renderebbe reato per gli statunitensi appoggiare il BDS, con sanzioni che arriverebbero a un milione di dollari e a vent’anni di carcere.
Purtroppo la proposta di legge gode di sostegno bipartitico: 32 Repubblicani e 15 Democratici hanno attualmente firmato come co-promotori, tra cui leader di partito come Chuck Schumer (Democratico – New York), Claire McCaskill (Democratica – Missouri) e Ted Cruz (Repubblicano – Texas). In reazione l’ACLU ha diffuso una lettera che sollecita i membri del Senato a opporsi alla proposta a motivo della sua “diretta violazione del Primo Emendamento”. (Dopo la pubblicazione della lettera dell’ACLU numerosi membri del Congresso hanno accettato di rivedere la loro sponsorizzazione, ma sinora nessuno ha cancellato il proprio nome).
La Legge Contro il Boicottaggio di Israele opererebbe modificando una legge precedente del 1979 che vieta ai cittadini e alle imprese statunitensi di aderire a boicottaggi promossi da nazioni straniere contro alleati degli Stati Uniti. La nuova legge includerebbe boicottaggi “promossi e imposti da organizzazioni governative internazionali” quali le Nazioni Unite. In questo è una risposta diretta alla Risoluzione del Consiglio per il Diritti Umani dell’ONU del 2016 che scoraggiava le aziende dall’operare in insediamenti israeliani nella West Bank e a Gerusalemme Est.
A suo modo è geniale. Dichiarando un collegamento tra il BDS e l’ONU – un collegamento che l’ONU non ha mai spostato, in tale risoluzione o in altre – la proposta di legge tenta di aggirare la sentenza NAACP contro Clairborne Hardware Co..
Ma il movimento BDS non è un prodotto dell’ONU, non ha assolutamente nulla a che fare con l’ONU, salvo per il fatto che si basa sulla legge internazionale. L’appello all’azione del BDS è stato diffuso nel 2005 da una coalizione di 170 gruppi politici, associazioni professionali, reti di profughi e organizzazione della società civile palestinesi. Il BDS è una tattica, non un’organizzazione, e il boicottaggio è sempre stato di base e decentrato, cioè chiunque e dovunque può partecipare al BDS semplicemente decidendo di farlo.
E’ incerto se i sostenitori della Legge Contro il Boicottaggio di Israele fraintendano il BDS o lo falsino intenzionalmente, ma la sentenza della Corte Suprema del 1982 è di una chiarezza cristallina: il diritto degli statunitensi di boicottare pacificamente con lo scopo di “attuare un cambiamento politico, sociale ed economico” è protetto dal Primo Emendamento. Questo significa che questa proposta di legge è ben più che vergognosamente immorale: è incostituzionale.
La formulazione della proposta di legge inserisce inoltre gli insediamenti israeliani nei confini internazionalmente riconosciuti del paese.
Significativamente dichiara la posizione del Consiglio dell’ONU per i Diritti Umani del 2016 sugli insediamenti un’”azione per boicottare, disinvestire da, e sanziona Israele”. Tuttavia tale risoluzione non ha assunto alcuna posizione sul boicottaggio delle merci prodotte in Israele in senso stretto; è stata solo diretta agli insediamenti israeliani in territorio palestinese, che in base alla legge internazionale sono illegali.
La politica statunitense dal 1979 riconosce che gli insediamenti israeliani sono “incoerenti con la legge internazionale”. Per contro la nuova proposta di legge in effetti cancella qualsiasi distinzione tra Israele e i suoi insediamenti nella West Bank. Se approvata, chiunque scelga di non fare affari con, o di comprare beni prodotti negli, insediamenti israeliani può essere condannato, multato e persino incarcerato.
I tentativi di frenare questo genere di attivismo sono spesso presentati come sforzi per combattere l’antisemitismo. Tuttavia i sondaggi mostrano che solo il 17 per cento degli ebrei statunitensi appoggia la continua costruzione di insediamenti. La proposta di legge è così controversa, in realtà, che l’organizzazione liberale filo-israeliana J Street, che si è a lungo opposta al BDS, ha recentemente annunciato la sua opposizione alla legge proposta perché essa “divide [gli oppositori del movimento BDS globale] rendendo gli insediamenti il problema”.
E’ difficile sapere esattamente in quale misura la legge, se approvata, sarà fatta valere. La sua formulazione intenzionalmente vaga lascia molto all’immaginazione e forse è esattamente questa l’intenzione. Il vero obiettivo può consistere nello spaventare le persone perché non si impegnino nell’atto del tutto legale di vivere i propri valori nelle proprie scelte economiche.
Ma noi non possiamo permettere che la paura ci trattenga dall’esercitare i nostri diritti e dall’adempiere i nostri obblighi morali. Il lato positivo è che ogni tentativo di reprimere il movimento BDS è servito a rafforzarlo. Ogni tentativo di criminalizzare il boicottaggio, a livello statale o federale, è stato accolto con un’impennata di ricerche su Google riguardo al BDS e a termini correlati.
E con le proteste causate da questa nuova proposta di legge la lobby filo-israeliana della destra può semplicemente dimostrarsi il migliore alleato del movimento BDS.
Aniqa Raihan è giornalista, attivista e ‘Futuro Leader’ presso l’Institute for Policy Studies. E’ stata membro di Studenti per la Giustizia in Palestina alla George Washington University, la sua alma mater.
Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo
traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2017  ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.      


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