Siria .Lettere a Samira
Tra
le tante testimonianze della guerra in Siria, vale la pena di leggere
le lettere indirizzate dallo scrittore Yassin al Haj Saleh alla moglie
Samira al Khalil, rapita il 9 dicembre 2013. Leggi
internazionale.it
Tra le tante testimonianze della guerra in Siria, vale la pena di
leggere le lettere indirizzate dallo scrittore Yassin al Haj Saleh, ex
prigionero politico e fermo oppositore del governo di Damasco, alla
moglie Samira al Khalil, rapita il 9 dicembre 2013. Quel giorno a Duma,
una zona controllata dai ribelli alla periferia della capitale, Al
Khalil, l’avvocata per i diritti umani Razan Zeitouneh e altri due
attivisti del Centro di documentazione delle violazioni (Vdc) furono
sequestrati da un gruppo di uomini armati. Da allora non si hanno più
loro notizie.
Finora Saleh, che è originario di Raqqa, ha pubblicato sette lettere sul sito siriano Al Jumhuriya (alcune sono state tradotte in inglese, altre in spagnolo sul blog Traducciones de la revolución siria e Le Monde ha cominciato a pubblicarle in francese). La corrispondenza con la moglie scomparsa è un’occasione per ripercorrere e mettere in prospettiva i principali avvenimenti della guerra, a partire dagli attacchi con le armi chimiche del 2013 nella regione della Ghuta.
Oltre a ricordare gli amici e i colleghi morti, Saleh – un ex prigioniero politico degli Assad che è stato definito la “coscienza della Siria” – riflette sull’isolamento e la perdita di rilevanza delle componenti più laiche e progressiste dell’opposizione al regime, che sono state sostituite dei gruppi islamici sostenuti dalle potenze regionali. Le stesse persone che combattevano le sue stesse lotte, scrive, non hanno potuto né voluto impegnarsi in prima persona per fare chiarezza sulle circostanze del rapimento della moglie.
Finora Saleh, che è originario di Raqqa, ha pubblicato sette lettere sul sito siriano Al Jumhuriya (alcune sono state tradotte in inglese, altre in spagnolo sul blog Traducciones de la revolución siria e Le Monde ha cominciato a pubblicarle in francese). La corrispondenza con la moglie scomparsa è un’occasione per ripercorrere e mettere in prospettiva i principali avvenimenti della guerra, a partire dagli attacchi con le armi chimiche del 2013 nella regione della Ghuta.
Oltre a ricordare gli amici e i colleghi morti, Saleh – un ex prigioniero politico degli Assad che è stato definito la “coscienza della Siria” – riflette sull’isolamento e la perdita di rilevanza delle componenti più laiche e progressiste dell’opposizione al regime, che sono state sostituite dei gruppi islamici sostenuti dalle potenze regionali. Le stesse persone che combattevano le sue stesse lotte, scrive, non hanno potuto né voluto impegnarsi in prima persona per fare chiarezza sulle circostanze del rapimento della moglie.
L’accordo sulle armi chimiche è stato, secondo me, un punto di non
ritorno in una politica basata sulla forza e sulla crudeltà… Le
dimensioni politiche e morali della nostra lotta sono state sepolte da
un grosso strato di sfrontatezza internazionale. Sammour, a volte penso
che da quel momento non sia stato più possibile fare niente
Riflettendo sulla situazione di oggi scrive che “la guerra non è
finita, ma si è trasformata in una serie di guerre parallele. In molte
zone del paese questa situazione durerà a lungo”. Nel frattempo la
catastrofe umanitaria che ha colpito il popolo siriano, ha praticamente
svuotato di senso l’esistenza e le battaglie individuali.
In poche parole tutto questo significa che la morte di chi è morto
non ha valore, che la tortura di quelli che sono stati torturati non
merita considerazione e che non ci sarà nessun risarcimento per la
distruzione della vita di milioni di persone. Ci stanno dicendo che le
centinaia di migliaia di persone assassinate hanno perso la vita invano e
che le grida dei torturati e il dolore delle madri, dei padri e dei
bambini non importano. Che il sangue non è il prezzo della libertà e che
le vittime non sono il sacrificio per la salvezza. In poche parole, i
nostri morti non sono martiri e non abbiamo nessuna causa.
Ogni lettera, scrive Saleh, è un tentativo di superare quello che
chiama lo “shock del sopravvissuto”, il senso di colpa e di vuoto per
essere ancora in vita mentre si è perso. Per noi è uno strumento per
leggere, con una certa commozione, una delle più grandi tragedie del
mondo di oggi.
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