Amira Hass :Dagli yemeniti ai palestinesi
Amira Hass
16 agosto 2017,Haaretz
Nella
lotta contro la sottomissione ed il potere c’è la speranza che il
confronto aiuterà più persone ad uscire allo scoperto – e non dopo 66
anni – per rompere il silenzio, resistere all’oppressione e formare una
coalizione.
Lo
scandalo del rapimento di bambini yemeniti (ed altri) per fortuna non
si spegne, e più se ne parla e si ricorda, meglio è. Anche se i diretti
responsabili non sono qui per rispondere delle loro azioni, è stato
provato più volte quanto fossero giuste le denunce delle famiglie.
Questa
volta è stato un articolo di venerdì su Yedioth Ahronoth che ci ha
riportato la storia dei bambini yemeniti rapiti. Tamar Kaplansky ha
intervistato Shulamit Malik, che all’inizio degli anni ’50 è stata
un’educatrice in un asilo nido di Hapoel Hamizrahi [partito politico
sionista religioso degli anni ’50, ndt.] nel campo di transito per
immigrati di Yatziv. Malik ha preso l’inziativa dell’intervista; aveva
letto un editoriale di Kaplansky e ha deciso di rompere il suo silenzio.
Risulta
che Malik ha rotto il suo silenzio per la prima volta 20 anni fa.
Contattò Rami Tzuberi, un avvocato che stava rappresentando alcune delle
famiglie di bambini che erano scomparsi. Tzuberi disse di aver dato il
nome di Malik alla commissione di inchiesta, ma non venne mai chiamata a
testimoniare. Come educatrice si rese conto del rapporto tra le
eleganti delegazioni che arrivavano a visitare la struttura ed i bambini
sani che sparivano pochi giorni dopo. E dopo essere diventata nonna, si
ricordò disperata dei genitori che arrivavano per prendere i loro figli
– dopo una lunga giornata di lavoro – e scoprivano il letto vuoto.
La
sua testimonianza non dice niente di nuovo sul fenomeno in sé. Conferma
quanto fossero nel giusto le famiglie, per decenni, quando raccontavano
della metodica sparizione dei bambini.
Le
famiglie e gli attivisti, che non hanno lasciato cadere la questione,
possono servire da modello per ogni gruppo dominato e ridotto al
silenzio nella società. La vicenda è un’importante lezione per ogni
giornalista e direttore di giornale: per favore, date ascolto alla
gente. Soprattutto quando non sono persone importanti, ricche, famose,
melliflue e dell’alta società. Ascoltatela anche se una cinepresa non
documenta tutto quello che è successo e la gente non ha documenti
ufficiali per confermarne i racconti. Mostrate un fondamentale
scetticismo nei confronti di chiunque sia al potere. Hanno sempre
qualcosa da nascondere, sotto un sacco di scherno e di arroganza.
La
tentazione di tracciare un parallelo con i nostri palestinesi
sottomessi – e non è solo un accenno – è grande. Perché non siamo qui
solo per descrivere la realtà, ma soprattutto per cambiarla. Nella
lotta contro la sottomissione ed il potere c’è la speranza che il
confronto aiuterà più persone ad uscire allo scoperto – e non dopo 66
anni – per rompere il silenzio, resistere all’oppressione e coalizzarsi.
Ma
la tentazione di non tracciare un parallelo è ancora più grande. Oggi
la nostra cultura politica, con i crudeli amplificatori delle reti
sociali, non consente che si senta la logica di un simile parallelo. Nel
nostro tempo, il sistema di potere di quell’epoca iniziale che ha
rapito soprattutto bambini ebrei arabi [provenienti dai Paesi arabi,
ndt.] da un lato è immediatamente identificata istantaneamente con gli
ashkenaziti [ebrei provenienti dall’Europa centro-orientale, ndt.], da
una parte, e dall’altro con gli infidi sinistrorsi amanti degli arabi. E
così per molti è apparentemente un semplice dettaglio insignificante il
fatto che l’asilo nido in cui Malik lavorava fosse diretto da Hapoel
Hamizrahi, che non era esattamente di sinistra, e da esso siano nati il
partito Nazional Religioso e più tardi Habayit Hayehudi [“La casa
ebraica”, partito di estrema destra dei coloni, ndt.], proprio come dice
Kaplansky.
Né
la nostra opinione pubblica ha recepito il fatto che l’establishment
del Mapai-Mapam abbia utilizzato prassi socialiste (di sinistra) come
uno strumento per raggiungere obiettivi ultranazionalisti, etnici
(conquista del suolo, espulsione dei palestinesi). L’establishment
intenzionato all’espulsione è rimasto quello che era: anche se oggi non
include solo ashkenaziti, anche se i successori del Mapai ripudiano, e a
buon diritto, il titolo di “sinistrorsi”, anche se bambini non sono
rapiti ma lasciati con percorsi educativi a un livello più basso. La
terminologia è così comunemente oscurata che la destra utilizza i
bambini rapiti contro la sinistra anti-nazionalista; cioè, contro chi si
oppone all’occupazione.
Non
dobbiamo essere come loro. Il riconoscimento dell’ingiustizia metodica e
calcolata che i dirigenti ashkenaziti (sì!) hanno perpetrato contro i
bambini rapiti e le loro famiglie non è subordinato all’opposizione
contro la metodica politica israeliana di sconfiggere i palestinesi.
- he cosa c’è dietro la riconciliazione tra Hamas e Fatah?
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(traduzione di Amedeo Rossi)
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