Kirkuk (AsiaNews)- Lo ha detto ieri il premier iracheno Haidar
Al Abadi: “Il referendum per il Kurdistan fa ormai parte del passato”
sottolineando che la ripresa di Kirkuk ha segnato sicuramente una
svolta. Brham Saleh, che si è scisso di recente dal Partito dell’Unione
Nazionale del Kurdistan di Talbani e ha creato la coalizione per la
democrazia e la giustizia che guida, ha invece invitato, da
Suleimaniyeh tutti alla ragione e a mettere fine alla politica dei
“fatti compiuti” (in chiara critica al referendum voluto da Barzani)
ricordando che “i conflitti armati hanno portato solo guai all’Iraq” e
ha dichiarato che il “referendum per l’indipendenza del Kurdistan ha
creato molti problemi” e che bisognava dare ascolto alla “iniziaiva
dell’ayatollah sciita Al Sistani”. Brham ha poi ammesso che i fautori
della politica del Kurdistan “devono rivedere le loro analisi che sono
risultate sbagliate” aggiungendo che “i cittadini del Kurdistan sono
scontenti della politica, che c’è necessità di riforme” e che “ci sono
molte divisioni nuove e nuove alleanze in corso all’interno del
Kurdistan”.
La vita del primo giorno di Kirkuk sotto la sovranità della
Repubblica dell’Iraq è stata normalissima, con tante bandiere irachene
sventolanti, ingenti misure di sicurezza, negozi, istituzioni pubbliche e
scuole aperte e la gente al centro della città gioiosa e rassicurata.
Il terrore di una guerra per Kirkuk aveva perturbato le anime locali per
mesi ed alla fine la tempesta e il rischio di devastazioni sono passati
molto meglio di quanto previsto e annunciato dalle voci pessimiste che
alcune parti timorose di perdere i loro vantaggi diffondevono da tempo.
Il governatore sparito nel nulla è stato sostituito dal suo vice Rakan
Al Jbouri divenuto, da ieri, il nuovo governatore di Kirkuk il quale ha
invitato, in una conferenza stampa tenuta ieri, gli esuli di Kirkuk a
ritornare per “conservare e proteggere le loro proprietà”, mentre al
capo di polizia di Kirkuk, Khattab Omar, è stato impedito di rispondere
in lingua curda alle domande rivoltegli durante la stessa conferenza
stampa da giornalisti curdi.
La caduta o liberazione di Kirkuk ha sicuramente allargato la
divisione fra i partigiani di Talbani e quelli di Barzani, da sempre in
disaccordo su come gestire quel che per ambedue dovrebbe essre il
Kurdistan autonomo. Negli ultimi mesi, timorosi del sempre più crescente
potere di Barzani quasi divinizzato dai curdi per aver, come sembrava,
“trasformato in realtà un sogno secolare”, sono apparse voci e critiche
sull’impero economico creato da Massud Barzani grazie a 26 anni di
dirigenza della Regione autonoma del Kurdistan e alla gestione delle
vendite di petrolio senza passare da Baghdad. Voci ed accuse che a
prescindere della veridicità o meno, si pensa siano state diffuse dal
partito di Talbani.
Dopo la morte di Talbani avvenuta qualche giorno fa e la politica
suicida di Massud Barazani che ha giocato il tutto per tutto, il
Kurdistan appare diviso in due. Talbani che non era contrario al
referendum vedeva in essa una leva di pressione per ottenere maggiori
vantaggi ai curdi pur restando all’interno del Paese mentre per Barzani
si trattava del primo passo verso la totale indipendenza e secessione.
Oggi il Kurdistan iracheno, pensano in tanti, somiglia piuttosto ad un
emirato del Golfo in mano ad un solo clan, i Barzani, che irrita gli
esclusi e la miriade di piccoli partiti di opposizione curda.La
situazione interna potrebbe peggiorare ulteriormente con l’acuirsi della
crisi economica dovuta al blocco imposto da Iraq, Turchia ed Iran. Un
peshmerga in pensione ha riferito ad AsiaNews che alcuni curdi
di Kirkuk pro-Barzani hanno insieme ad altri curdi del PKK “lanciato
sassi contro i peshmerga in ritiro invitando loro a resistere e
combattere anziché fuggire”. La perdita di Kirkuk “segna senza dubbio la
fine del sogno di un Kurdistan iracheno indipendente” ha detto il capo
del gruppo paramilitare sciita Al Hashd el Shaabi (la massa popolare).
Nelle ultime due settimane si è operato molto per evitare lo scoppio
di un conflitto armato fra curdi ed esercito iracheno, in realtà fra
curdi e Hashd el Shaabi, che avrebbe potuto far passare Barzani come
vittima e creare un consenso internazionale all’indipendenza del
Kurdistan. Era una carta sulla quale contava Barzani secondo molti
analisti locali e che le mosse diplomatiche e legali del governo
centrale di Baghdad hanno fatto fallire grazie anche al sostegno di Iran
e Turchia. Si parla tanto a Kirkuk di un attore fondamentale che ha
operato nell’ombra per evitare la guerra curdo-irachena e si tratta del
generale Qasem Soleimani il capo della Unità di Al Qods della Guardia
rivoluzionaria iraniana, unico designato per nome dal portavoce
dell’ISIS Abu Mohammad El Adnani come nemico giurato del Califfato
Islamico ma anche degli Stati Uniti che lo considerano “capo
terrorista”.
Il generale Soleimani è stato visto varie volte ad Erbil nei giorni
scorsi, nonostante l’Iran abbia imposto la chiusura dei valichi di
confini terrestri ed aerei. Tutto rema contro Massud Barazani la cui
delusione si è accentuata ulteriormente dopo i commenti a caldo dei suoi
alleati come il presidente americano che ha dichiarato di “non
parteggiare né per l’Iraq né per il Kurdistan” nonstante le speranze che
riponeva Barzani sulla lobby ebraica negli USA tante volte espresse
durante le campagne per il referendum durante le quali sventolava la
bandiera israeliana. Anche l’Arabia Saudita dopo un lungo silenzio ha
ribadito con un messaggio del re Salman in occasione “della ripresa di
Kirkuk” di sostenere “l’unità territoriale dell’Iraq” e di “respingere
gli effetti del referendum”. Il colpo di grazia tuttavia Barzani lo ha
ricevuto da Tel Aviv, dove la cancelleria del premier Netanyahu ha
emanato una dichiarazione secondo la quale Israele non interverrà
riguardo al referendum nel Kurdistan. Ormai Massud Barzani è
completamente isolato.
Ma fra le gioie più sincere vanno sicuramente citate quelle della
Turchia, il Parlamento della quale ha deciso di “consegnare il valico di
Khabur (con il Kurdistan iracheno) alle autorità irachene” dando la
possibilità all’Iraq di percepire i dazi doganali milionari finora
andati nelle casse di Erbil. E L’Iran da dove Ali Akbar Vilayati ha
dichiarato lunedì che con la ripresa di Kirkuk “le Forze irachene hanno
spezzato la schiena al traditore Massud Barzani”, aggiungendo che cosi
falliva il complotto di spartizione dell’Iraq e finiva il contrabbando
del “90 per cento del petrolio del Nord diretto in Turchia e poi in
Israele” attraverso “società straniere composte al 70% da israeliani”.
Il secondo canale televiso israeliano ha per conto suo confermato questa
notizia, ieri martedi, informando che la presa di Kirkuk dalle truppe
governative irachene “interrompe l’arrivo di petrolio da Kirkuk in
Israele via la Turchia”.
Dalla parte degli uomini di Barzani si parla di un alto tradimento
dei Peshmerga del Partito nazionale del Kurdistan di Talbani gestito
ormai dalla sua vedova che “d’accordo con gli iraniani hanno venduto la
causa” ha detto ad AsiaNews un responsabile di Erbil che ha
scelto l’anonimato. Mentre con un comunicato emananto lunedi, il
Comando dei peshmerga da Erbil minacciava che “la presa di Kirkuk
costerà cara al Governo iracheno”. Non a caso la TV iraniana trasmetteva
subito dopo in diretta da Kirkuk il ritrovamento da parte delle forze
irachene di una fabbrica appartenente ai Peshmerga di esplosivi per
autobombe in un cimitero, mentre la Tv irachena mostrava immagine di un
ritrovamento simile in un locale tenuto dai peshmerga a Baghdad.
Anche Massud Barazani in cerca di un caprio espiatorio per i suoi
fallimenti ha dichiarato in un discorso televisivo “quel che è accaduto a
Kirkuk è il risultato a decisioni unilaterali prese da alcune parti
curde”, il timore ora non è tanto una guerra civile fra iracheni e
curdi, ome pensavano molti analisti, bensi uno scontro su tutti i campi
fra i pro Barzani ed i suoi rivali aumentati dopo la delusione subita
dai curdi con la perdita del sogno di indipendenza.
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