Questa
settimana l’ex-primo ministro israeliano ‘di sinistra’ Ehud Barak ha
seriamente vuotato il sacco riguardo all’occupazione del 1967 da parte
di Israele, esprimendo in termini non ambigui che non si tratta di una
questione esclusivamente della destra, come i suoi critici spesso amano
dire. Barak ha dimostrato che è qualcosa di cui la “sinistra” è
integralmente partecipe. E lo abbiamo sentito dalla bocca del diretto
interessato – il diretto interessato chiamato ‘fulmine’ (in ebraico
‘Barak’ vuol dire fulmine).
Nel
suo articolo su Haaretz, Barak ha lamentato il fatto che nella recente
manifestazione che ha festeggiato i 50 anni dell’occupazione
(pubblicizzata con lo slogan “Siamo tornati a casa”), non ci fossero
abbastanza esponenti di ‘sinistra’. Barak ha detto che non c’era una
rappresentanza sufficientemente nazionale: “Una cerimonia nazionale
avrebbe sottolineato quello su cui siamo d’accordo e che ci unisce,
piuttosto che quello che ci divide e separa,” ha scritto.
Sì,
Barak sente che la ‘sinistra’ è esclusa, e non le viene riconosciuto a
sufficienza il merito per la sua parte nell’occupazione e nel progetto
di colonizzazione!
“Una
commemorazione nazionale avrebbe dovuto sottolineare che le persone che
hanno costruito l’esercito israeliano e guidato la guerra per la
liberazione di quelle parti della terra erano Yitzhak Rabin, Haim
Bar-Lev, Motta Gur ed altri (che in seguito si rivelarono essere ‘di
sinistra’, dio ce ne scampi), e che il partito che consolidò e guidò
l’impresa di colonizzazione per un decennio, soprattutto in base a
considerazioni relative alla sicurezza, furono l’odiato ‘Allineamento’ [significato della parola ebraica “Maarakh”,
nome della coalizione israeliana di centro sinistra al potere in
Israele dal 1969 al 1991, ndt.], il precursore del partito Laburista,”
ha scritto.
Ah!
L’ironia non potrebbe essere maggiore. Barak, nel suo patetico
tentativo di giocare un ruolo centrale in qualunque cosa sia
“nazionale”, in realtà finisce per sentirsi escluso, in quanto ‘di
sinistra’, dai festeggiamenti. Nel suo sproloquio finisce per confermare
che non c’è una reale differenza tra destra e sinistra sioniste – né
storicamente, né nell’attualità.
- Ciò
è quello che il giornalista di “Haaretz” Gideon Levy sta sottolineando
ormai da un po’ di tempo, e la sua risposta è arrivata il giorno dopo
con l’articolo intitolato “Quale opposizione? Ehud Barak si adegua a
Netanyahu ed ai coloni”, sottotitolato “Il valoroso ‘campo della pace’
di Israele è orgoglioso del numero di colonie che ha costruito, un tasso
di costruzione all’anno che Netanyahu potrebbe solo sognarsi.”
Levy
nota come Barak stia utilizzando lo stesso linguaggio degli estremisti
di destra del governo, con frasi come “noi siamo orgogliosi del nostro
ruolo nel ritorno in ogni parte della terra e nell’ impresa di
colonizzazione che è indispensabile alla nostra sicurezza”, e Levy
conclude che “questo è il segno distintivo di sinistra del partito
Laburista, praticamente l’unica opposizione che Netanyahu abbia. Eppure è
dubbio che Netanyahu si esprimerebbe in modo diverso.”
Di
certo, come conclude Levy, l’articolo di Barak è “sorprendente” e
dovrebbe essere ricordato e sottolineato in futuro come il vero volto
della sinistra israeliana senza maschera. Barak nel suo articolo entra
in dettagli per suggerire quali oratori avrebbero potuto essere scelti
per rappresentare la ‘sinistra’:
“Una
commemorazione nazionale avrebbe dovuto includere sul palco il generale
(della riserva) Elad Peled, un uomo che ha liberato Safed all’età di 21
anni, come capo di un’unità del Palmach [brigata d’elite facente parte dell’Haganah, milizia sionista durante il mandato britannico, ndtr.], e poi ha liberato tutta la Samaria [zona settentrionale della Cisgiordania nella denominazione ebraica, ndt.] all’età di 40, come capo della 36ima divisione,” scrive.
“Ha liberato tutta la Samaria” – è chiaro?
Barak
continua suggerendo persone come Dalia Rabin, la figlia del “capo di
stato maggiore dell’esercito israeliano che ha presieduto alla
vittoria”, Isaac Herzog, “leader dell’opposizione e figlio dell’ex capo
dell’intelligence militare ed ex presidente Chaim Herzog, che dissipò i
timori dell’opinione pubblica prima e durante la guerra con apparizioni
in televisione – all’epoca un nuovissimo mezzo di comunicazione – e
ricoprì il ruolo di primo governatore di Gerusalemme unificata,” così
come Hila Elazar- Cohen, “la figlia maggiore del generale David Elazar,
che pretese l’attacco e la conquista delle Alture del Golan fin dal
primo giorno di guerra, e lo guidò dal quarto.”
Barak
poi plaude al “Piano Allon”, proposto dal dirigente di sinistra Yigal
Allon in seguito alla guerra del 1967 per conservare grandi parti della
Cisgiordania e colonizzarle:
“Una
cerimonia statale avrebbe profuso elogi alla lungimiranza del “Piano
Allon” e alla logica interna della fondazione di blocchi di colonie, di
costruire quartieri ebraici a Gerusalemme est e di stabilire colonie
lungo il fiume Giordano –una dimensione imposta da una seria prospettiva
per la sicurezza e condivisa da tutti gli strati della società,”
scrive.
Barak
ha assolutamente ragione – il progetto di occupazione e di
colonizzazione non è cosa che sia successa solo a causa di qualche
colono messianico di destra – è stato un progetto premeditato in cui la
destra e la sinistra sono state coinvolte fin dall’inizio.
La
differenza tra Barak e i coloni di destra è piuttosto cavillosa a
questo riguardo – riguarda le colonie isolate che non si trovano nei
‘blocchi di colonie’, che Barak vede come non utili per la sicurezza, ma
che esistono piuttosto solo per rispettare il comandamento religioso di
‘colonizzare la terra’. Barak pensa che quello che realmente unirebbe
tutti gli israeliani, piuttosto che separarli, sarebbe “innanzitutto la
sicurezza, la convinzione che l’unità del popolo ha la precedenza
sull’unità della terra, ed i valori della “Dichiarazione di
indipendenza” – al contrario di “un progetto reazionario, nazionalista,
macchiato di messianismo che minaccia tutto il nostro futuro.”
****
Barak
è un uomo di molti miti, ed ha avuto un ruolo centrale nella creazione
di parecchi di essi. Ha uno status mitologico in quanto militare più
decorato di Israele, noto come il “signor Sicurezza”, un uomo che venera
la ‘sicurezza’ come se fosse un dio. Ha anche creato il mito
dell’’offerta generosa’ che avrebbe fatto nel 2000 ad Arafat –
un’offerta che era essenzialmente equivalente a bantustan [zone
destinate ai neri nel Sudafrica dell’apartheid, ndt.]. Al contempo ha
creato il mito correlato che, poiché Arafat ha rifiutato questa ‘offerta
generosa’, ciò era la prova che “non c’era nessun interlocutore”.
La
nozione di ‘sicurezza’ di Barak è quella classica sionista quando si
tratta di palestinesi – controllo, ‘autonomia’, accerchiamento e, cosa
più importante, separazione. Separazione oggi è la parola d’ordine della
sinistra israeliana, e molti dimenticano che apartheid significa
‘separazione’. Il risultato concreto dei bantustan e della
‘separazione’, come la mette in pratica Israele, è l’apartheid, e lo
abbiamo visto per moltissimi decenni. Tutto quello che Barak vuole è
conservare la capacità di nasconderlo meglio e quei coloni ‘messianici’
di destra stanno fuorviando la richiesta di ‘sicurezza’.
Ma
la richiesta di ‘sicurezza’ di Barak è fuorviata anche dalla sua stessa
gente. Il suo stesso ministro degli Esteri nel 1999-2001, Shlomo
Ben-Ami, chiama ‘mitica’ la richiesta di sicurezza nella valle del
Giordano. Eppure i dirigenti di sinistra confermano la volontà di Barak
di ‘legittimare’ i ‘blocchi di colonie’, che è la ragione per cui il
leader della sinistra Isaac Herzog si è lamentato della risoluzione 2334
del Consiglio di Sicurezza dell’ONU dello scorso anno, che ha
condannato tutte le colonie (comprese quelle di Gerusalemme est) come
“flagranti violazioni” delle leggi internazionali. Herzog era arrabbiato
per il danno che questo ha causato ai “blocchi di colonie” – il danno
fatto alla loro legittimità.
*****
Dopo
tutto quello che è stato detto e fatto, l’unica differenza tra Barak
‘di sinistra’ e i coloni ‘messianici’ è che egli cerca di mettersi al
servizio della vera religione di Stato di Israele – il sionismo – in
base alla nozione più laica di ‘sicurezza’, mentre i coloni più di
destra sono più interessati alle questioni della promessa divina.
In
fin dei conti il “ritorno ad ogni parte della terra” di Barak non è poi
così diverso dallo slogan ufficiale della cerimonia: “Siamo tornati a
casa”. Il suo “liberata tutta la Samaria” non è poi così diverso dal
“questa terra è nostra, tutta è nostra” dell’alta diplomatica israeliana
Tzipi Hotoveli [vice-ministra degli Esteri e deputata del Likud, ndt.].
A volte succede che i principali dirigenti della sicurezza di Israele
sputino il rospo in questo modo. Uno dei più rappresentativi uomini
della sicurezza di Israele, Moshe Dayan, lo ha fatto parecchie volte.
Una delle sue ammissioni più gravi è stata sulla guerra del 1967 e sulla
fase preparatoria ad essa, che aveva più a che fare con le scaramucce
con la Siria sul confine del Golan e nelle zone smilitarizzate. Nel 1976
disse al generale Israel Tal che i siriani il quarto giorno non erano
“una minaccia per noi”, e spiegò come avvenne la maggioranza delle
schermaglie:
“So
come iniziò là almeno l’80% degli scontri. Secondo me, più dell’80%, ma
parliamo di circa l’80%. Successe così: mandavamo un trattore per arare
una certa zona dove non si poteva fare niente, nell’area
smilitarizzata, e sapevamo in anticipo che i siriani avrebbero iniziato a
sparare. Se non sparavano, avremmo detto al trattore di andare ancora
più avanti, finché i siriani si sarebbero infastiditi e avrebbero
sparato. E allora avremmo utilizzato l’artiglieria e poi anche le forze
aeree, e fu così che andò,” disse Dayan (come documentato da Serge
Schmemann sul New York Times nel 1997).
Dayan
spiegò anche a Tal che la vera ragione che stava dietro le provocazioni
e la successiva conquista era in realtà solo l’avidità – l’avidità di
terra:
“Là
gli abitanti dei kibbutz vedevano terra buona per l’agricoltura,”
disse. “E bisogna ricordare che quello era un periodo in cui la terra
agricola era considerata la cosa più importante e di valore.”
Tal
si stava chiedendo se là non ci fosse veramente un problema di
‘sicurezza’. “Quindi tutto quello che volevano gli abitanti dei kibbutz
era la terra?” chiese.
Dayan, pur confermando che naturalmente loro “volevano levarsi di torno i siriani”, tuttavia disse:
“Le posso dire con assoluta sicurezza: la delegazione che andò a convincere Eshkol [all’epoca primo ministro israeliano, ndt.] di
conquistare le Alture non stava pensando a queste cose. Stava pensando
alla terra delle Alture. Senta, anch’io sono un coltivatore. Dopo tutto
sono di Nahalal, non di Tel Aviv, e ne so qualcosa. Li vidi e parlai con
loro. Non cercarono neanche di nascondere la loro avidità per quella
terra.”
Come
documentato in “1967” di Tom Segev, p. 388, la delegazione che descrive
Dayan era stata inviata su ordine del generale David Elazar, capo del
comando settentrionale al tempo della conquista. È lo stesso generale
che Barak suggerisce che avrebbe dovuto essere rappresentato dalla sua
figlia maggiore.
Barak
può continuare a rimproverare quelli di destra perché sono troppo
fanatici sulla questione della terra, ma lui è in realtà altrettanto
avido di essa. Sta solo nascondendo l’avidità con la ‘sicurezza’, ed è
quello che i sionisti hanno fatto da sempre.
Jonathan Ofir
(traduzione di Amedeo Rossi)
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