Limes :Le notizie geopolitiche del 19 ottobre.
Le notizie geopolitiche del 19 ottobre.
CATALOGNA
Il Consiglio dei ministri spagnolo ha annunciato che si riunirà sabato per applicare l’ormai famigerato articolo 155
della Costituzione per commissariare la Catalogna. Dai mezzi che il
governo sceglierà per implementare il nebuloso disposto (dalla rimozione
della leadership ad arresti) dipenderà la recrudescenza della questione
catalana.
Il governo aveva offerto al presidente
della Catalogna di indire nuove elezioni locali, ma la risposta di
Puigdemont – se il governo dovesse continuare a “impedire il dialogo” il
parlamento della comunità autonoma potrebbe dichiarare formalmente
l’indipendenza – ha nuovamente chiuso gli spiragli.
In ogni caso, le parti cercano disperatamente appigli per continuare a sondare terreno negoziale comune,
evidentemente con risultati non troppo incoraggianti. Si ricorre dunque
all’opzione prediletta dei politici messi all’angolo: invocare il
ricorso alle urne, sperando che il voto rimescoli le carte.
L’ASSE DELHI-WASHINGTON
Era da tempo nell’aria, ora è ufficiale: gli Stati Uniti accolgono l’India
fra i principali partner militari in esplicita funzione anti-cinese. A
porre il sigillo da parte statunitense è stato il segretario di Stato
Rex Tillerson che ha svelato una strategia per potenziare i legami nel settore della difesa e in quello economico fra i due paesi.
A scanso di equivoci, il capo della
diplomazia a stelle e strisce ha chiarito la funzione dell’intesa,
travestendola di compatibilità ideologica: Washington non potrà mai
avere con la non democratica e predatoria Pechino la stessa relazione
che può intrattenere con una grande democrazia come quella indiana.
Culmina così il lungo corteggiamento
statunitense a Delhi, in grado di superare le ambiguità e incertezze del
nuovo partner. Già in campagna elettorale si era notato l’atteggiamento molto aperto di Trump verso
l’elettorato e le élite indiane, che aveva fatto presagire un
allineamento del futuro presidente a un obiettivo che gli apparati si
pongono da decenni. In seguito, il segretario alla Difesa Mattis ha per
la prima volta riconosciuto all’India un ruolo di primo piano nella
ricostruzione dell’Afghanistan, fumo negli occhi soprattutto per i
vassalli della Cina in Pakistan, che considerano l’Hindu Kush come
retroterra strategico da preservare in caso di guerra proprio con
l’India.
E a molti la disputa frontaliera estiva con la Cina
era parsa il prologo di una più articolata strategia di disturbo nei
confronti Pechino. Con l’ovvia benedizione di Washington, capace di
prendere i due proverbiali piccioni con una fava: quello imperiale per
aggiungere un tassello nel contenimento della Cina
e quello tattico più legato alle impellenze di questa amministrazione
per convincere la Repubblica Popolare a darsi più da fare con la Corea
del Nord.
Nel numero di Limes in edicola, Francesca Marino fornisce il punto di vista indiano:
I rapporti tra India e Cina, nonostante la bilancia commerciale tra i due paesi continuia fare il proprio lavoro, non sono mai stati così difficili. Molti in India sono sinceramente preoccupati dall’aggressività cinese, parte di un disegno intimidatorio che va avanti da anni. […]La Cina, cosa inammissibile per Delhi, supporta ormai apertamente il Pakistan, legato economicamente mani e piedi a Pechino: il Cpec, il China-Pakistan Economic Corridor, che attraversa territori disputati, è stato vissuto da Delhi come un vero e proprio attentato alla sovranità territoriale e le cosiddette nuove vie della seta cinese (battezzate Belt and Road Initiative, Bri), sono considerate dall’India soltanto un mezzo per occupare anche militarmente i territori coinvolti.
IRAN E SIRIA
L’Iran è in Siria per restarci. Questo il messaggio lanciato dal Generale iraniano Mohammad Baqeri a seguito dell’incontro con il presidente siriano Bashar al-Asad.
Le dichiarazioni dei vertici militari di Teheran giungono mentre è in corso la spartizione della Siria in aree di influenza e si rinfoltisce il fronte regionale e internazionale per il contenimento di Teheran.
La Repubblica Islamica non solo continuerà a combattere il jihadismo sunnita con cui è alle prese Damasco, ma consoliderà la sua proiezione verso il Siraq in chiave anti-israeliana. Lo stesso Baqeri aveva dichiarato martedì che Tel Aviv dovrà guardarsi dal violare lo spazio aereo e i confini siriani.
Le dichiarazioni dei vertici militari di Teheran giungono mentre è in corso la spartizione della Siria in aree di influenza e si rinfoltisce il fronte regionale e internazionale per il contenimento di Teheran.
La Repubblica Islamica non solo continuerà a combattere il jihadismo sunnita con cui è alle prese Damasco, ma consoliderà la sua proiezione verso il Siraq in chiave anti-israeliana. Lo stesso Baqeri aveva dichiarato martedì che Tel Aviv dovrà guardarsi dal violare lo spazio aereo e i confini siriani.
Di contro, il premier
d’Israele Netanyahu si era detto pronto a fare “tutto il necessario” per
garantire la sicurezza nazionale mentre l’Iran rafforza la presa sulla
Siria. Israele sa di poter contare nella disputa con Teheran, oltre che
su paesi formalmente rivali come l’Arabia Saudita, sull’appoggio degli
Stati Uniti di Trump. Questi difatti parrebbero aver scelto la strada
del contenimento dell’Iran e hanno fatto delle milizie curde che
combattono attualmente lo Stato Islamico (Is) uno strumento per tenere a
bada l’espansionismo della Repubblica Islamica. Non è un caso che, dopo
la liberazione di Raqqa dal sedicente califfato, il portavoce della
coalizione anti-Is a guida Usa abbia affermato che non ci sarà posto per Teheran in questo angolo di Siria.
TURCHIA VS PKK IN IRAQ
Le Forze armate turche hanno lanciato un’operazione terrestre contro il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) nel Nord dell’Iraq, retroterra di quella che la Turchia considera un’organizzazione terroristica e tra le principali minacce alla sicurezza nazionale.
Ankara ha giustificato l’offensiva di terra, a 9 anni di distanza dall’ultima incursione (2008, nel corso della cosiddetta Operazione Sole), con la necessità di neutralizzare i militanti del Pkk che operano alla frontiera, salvaguardare la sicurezza dei confini e il passaggio dei militari turchi verso l’Iraq settentrionale. Mentre si rimescolano gli equilibri nel Rojava e nel Kudistan iracheno di Barzani (rivale del Pkk), la mossa di Ankara conferma la complicata congiuntura in cui si trova il partito di Öcalan.
Le Forze armate turche hanno lanciato un’operazione terrestre contro il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) nel Nord dell’Iraq, retroterra di quella che la Turchia considera un’organizzazione terroristica e tra le principali minacce alla sicurezza nazionale.
Ankara ha giustificato l’offensiva di terra, a 9 anni di distanza dall’ultima incursione (2008, nel corso della cosiddetta Operazione Sole), con la necessità di neutralizzare i militanti del Pkk che operano alla frontiera, salvaguardare la sicurezza dei confini e il passaggio dei militari turchi verso l’Iraq settentrionale. Mentre si rimescolano gli equilibri nel Rojava e nel Kudistan iracheno di Barzani (rivale del Pkk), la mossa di Ankara conferma la complicata congiuntura in cui si trova il partito di Öcalan.
VERTICE UE
Di Catalogna si parla, sia pure sommessamente vista l’assenza di strategia di Bruxelles,
anche al Consiglio Europeo di oggi e domani fra i capi di Stato e di
governo. Un appuntamento cruciale per la premier britannica Theresa May,
che ha cercato di elevare al livello politico più alto i negoziati sul
Brexit.
La leader conservatrice ha scritto una lettera aperta (postata
su Facebook) ai 3 milioni di cittadini dell’Ue d’Oltremanica
rassicurandoli sul diritto di permanenza nel regno e descrivendo un
accordo con Bruxelles come vicinissimo. Tuttavia, deve fare i conti con
la linea dura di Angela Merkel, che punta a mettere Londra con le spalle
al muro, soprattutto sulla questione dei conti da pagare per l’uscita
dall’Unione.
Altri temi in agenda del Consiglio sono i rapporti con la Turchia, la strategia digitale e la sfera della difesa.
Limes bonus
La Qatar Investment Authority, fra i maggiori fondi sovrani al mondo, ha riportato in patria almeno 20 miliardi di dollari
per compensare almeno in parte la fuoriuscita di 30 miliardi
dall’inizio dell’embargo guidato da sauditi ed emiratini. Pur non
essendo quello finanziario il fattore scatenante, il tentativo del Golfo
Arabo di tarpare le ali al protagonismo di Doha e di riportarla
nell’alveo dei vassalli passa anche per la distrazione del suo
potentissimo strumento di investimento.
Ha collaborato Marco Terzoni.
Commenti
Posta un commento