Oltre 300 vittime negli attentati di Mogadiscio, ma sui social nessun hashtag #iosonosomalo



Strutture sanitarie al collasso, oltre 400 feriti e almeno 100 dispersi, ma l'Occidente è indifferente all'emergenza in Somalia
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È salito ad oltre 300 morti, 400 feriti e 100 dispersi il bilancio – purtroppo ancora provvisorio – dei sanguinosi attentati di  Mogadiscio sabato scorso. Due camion-bomba sono esplosi in zone particolarmente affollate della capitale somala: il primo all’ingresso di un hotel, il secondo nel distretto di Madina. La maggior parte delle vittime sono venditori ambulanti, che si trovavano in strada a lavorare, ma a essere colpito è stato anche uno scuola bus, con a bordo 15 bambini, tutti morti, secondo quanto riferito dai servizi sanitari locali. Il numero dei morti e dei feriti, però, è destinato ad aumentare: sono decine le persone rimaste sotto le macerie degli edifici esplosi negli attentati, mentre negli ospedali mancano attrezzature, medicinali e sangue per prestare soccorso ai sopravvissuti.

ATTENTATI DI MOGADISCIO, CHI SONO I RESPONSABILI

Per il momento non c’è stata nessuna rivendicazione degli attentati di Mogadiscio, ma le autorità somale li attribuiscono al gruppo jihadista al Shabaab, protagonista di una violenta insurrezione nel Paese dal 2006. Il barbaro attacco minaccia anche la stabilità interna del Paese, in un periodo di forte incertezza politico-istituzionale, con le dimissioni, la settimana scorsa, del ministro della Difesa Abdirashid Abdullahi Mohamed e del capo delle forze armate, il generale Ahmed Jimale Irfid.

ATTENTATI DI MOGADISCIO E LA CRISI ISTITUZIONALE IN SOMALIA

Il presidente somalo Mohamed Abdullahi Mohamed, detto “Farmajo” – termine che deriva dall’italiano “formaggio” e affibbiatogli per la sua nota passione per i prodotti caseari – è stato eletto lo scorso febbraio e da allora ha promesso di portare sicurezza nella capitale e di contrastare Al Shebaab in tutta la Somalia. Gli attentati di Mogadiscio dimostrano invece la facilità con cui i terroristi sono in grado di superare i posti di blocco e organizzarsi sul territorio. La popolazione ora si aspetta una dura reazione da parte del governo somalo e chiede con forza verità e giustizia in seguito all’attacco di sabato, il più grave di sempre nella regione.

L’INDIFFERENZA DELL’OCCIDENTE PER GLI ATTENTATI DI MOGADISCIO

Nonostante il numero dei morti – il più alto di sempre in un attacco nella regione – e il dramma dei feriti e dei dispersi, in Occidente si registra un interesse debolissimo per gli attentati di Mogadiscio. Nessun #iosonosomalo su Twitter, nessuna solidarietà per una città ferita gravemente dalle esplosioni di sabato e messa in ginocchio dall’emergenza sanitaria che ne è conseguita, nessuna raccolta fondi per le cure mediche. Un’indifferenza notata da alcuni utenti dei social, che hanno sottolineato come quello in Somalia sia un attacco di “serie z”:



EMERGENZA SANITARIA IN SOMALIA DOPO GLI ATTENTATI DI MOGADISCIO

Le strutture sanitarie di Mogadiscio sono «praticamente paralizzate. Negli ospedali mancano medici e infermieri. Mancano il sangue, i medicinali e gli strumenti chirurgici. Non riescono a fare fronte all’arrivo dei feriti dell’attentato di sabato. La situazione è drammatica». Lo riferisce all’AdnKronos Salute Foad Aodi, presidente dell’Associazione medici di origine straniera in Italia (Amsi) e dell’Unione medica euro-mediterranea (Umem), in contatto in queste ore con i medici della città, che lancia un appello al Governo italiano perché «attivi aiuti in favore della capitale somala». «Abbiamo notizie – aggiunge – di oltre 300 morti e più di 400 feriti, al momento. I medici contattati ci parlano della difficoltà di tirare fuori le persone dalle macerie, di bambini coinvolti e delle impossibilità di assistere tutti perché mancano le cose essenziali. Sono state necessarie molte amputazioni e la mancanza di sangue è drammatica».
Foto copertina: © Faisal Isse/Xinhua via ZUMA Wire

TAG: al Shabaab, attentati di Mogadiscio, Somalia


L’ombra lunga del Golfo Arabo sulla strage di Mogadiscio


Il bilancio delle vittime dell’attentato del 14 ottobre a Mogadiscio sale di ora in ora, sfiorando le 300 vittime civili. Gli investigatori sono ancora all’opera per accertare le dinamiche di esecuzione nella centralissima Jidka Afgooye, in prossimità del ministero degli Esteri e dell’Hotel Safari, dove al momento dell’esplosione la strada era affollata di passanti e venditori ambulanti.

Dalle prime ricostruzioni sembrerebbe che un camion (inizialmente si era parlato di due) carico di esplosivo sia stato fatto esplodere dal proprio autista, mentre era pedinato dalle forze di sicurezza che lo ritenevano sospetto e si accingevano a bloccarlo per una ispezione. Non è chiaro quindi se l’obiettivo fosse esattamente quello dove è poi avvenuta l’esplosione, o se l’autista abbia deciso di far esplodere il mezzo perché accortosi di essere seguito dalle forze di polizia.

L’esplosione è stata devastante, provocando il collasso di almeno due degli edifici nelle vicinanze e danneggiandone molti altri, provocando in tal modo numerose vittime sia sulla strada che all’interno degli immobili crollati. Nonostante il rapido intervento dei soccorsi, l’enorme numero di feriti gravi e di mutilati ha lasciato presagire sin da subito un bilancio in forte crescita rispetto ai poco più di 40 morti accertati nell’immediato delle squadre dei paramedici. A poco più di 48 ore dall’esplosione, quindi, il bilancio rasenta i 300 morti, collocandosi tristemente al vertice tra i più sanguinosi fatti di sangue della recente storia del paese.

La responsabilità dell’attentato sono da cercare fuori dal paese.

Le autorità somale accusano apertamente al-Shabaab di aver pianificato e condotto l’attentato, sebbene per la prima volta l’organizzazione jihadista somala non ne abbia rivendicato la paternità (almeno sino ad oggi), lasciando perplessi gli analisti internazionali.

Da settimane si parlava della possibilità di un attentato imminente a Mogadiscio, come rappresaglia ad una serie di azioni condotte dalle forze speciali somale e dalle unità del’Amisom contro alcune roccaforti di al-Shabaab. Erano tuttavia circolate informazioni relative ad una crescente difficoltà da parte degli islamisti nel procurarsi gli esplosivi necessari ad equipaggiare le auto-bomba sinora utilizzate negli attentati al centro delle aree abitate, lasciando intendere che la logistica del gruppo potesse essere entrata in una fase critica.

L’attentato del 14 ottobre ha quindi destato stupore e preoccupazione, sia per la capacità dimostrata, sia per l’indiscriminata portata del gesto, che supera di misura ogni precedente azione di al-Shabaab.

Per comprendere le responsabilità dell’evento, tuttavia, è necessario comprendere il peso e la portata degli interessi regionali che gravano oggi sulla sempre più debole Somalia.

All’indomani della crisi dello scorso giugno tra il Qatar, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, quando Doha venne isolata da un embargo arbitrariamente deciso in conseguenza delle sue relazioni con l’Iran e del presunto sostegno al terrorismo – nella forma della Fratellanza Musulmana, che soprattutto gli Emirati vorrebbero far passare in modo alquanto improbabile come una monolitica ed unitaria organizzazione jihadista – la Somalia decise di non accogliere l’invito saudita ad interrompere le relazioni diplomatiche con il Qatar.

Le ragioni di questa decisione erano molteplici, sebbene quella preminente derivasse dal forte sostegno economico ricevuto dall’attuale presidente somalo, Mohammed Abdullahi Mohammed “Farmajo”, per la ricostruzione del paese e delle sue istituzioni.

Ne conseguì una forte pressione politica saudita, esercitata soprattutto a livello delle autorità federali, e costruita sulla contestuale promessa di sostegno economico, determinando una frattura politica senza precedenti.

Le sei autorità federali somale si sono quindi divise sulla questione del sostegno al Qatar o all’Arabia Saudita, esercitando pressioni sul governo federale e determinando una crisi di governo combattuta a suon di “incentivi economici” ai parlamentari, nell’ottica di provocare una crisi di governo e favorire l’ascesa di un esecutivo più vicino alle istanze di Riyad.

Il presidente Farmajo, ha sinora sostenuto la linea della neutralità della Somalia, che tuttavia rappresenta per i sauditi una manifestazione di sostegno al Qatar. Dopo aver accettato nel 2015 di partecipare alla coalizione che combatte il disastroso conflitto in Yemen, e ancora nel 2016 di chiudere le relazioni diplomatiche con l’Iran, la Somalia dovrebbe assumere nelle intenzioni del nuovo presidente una postura internazionale più pragmatica e defilata, senza rischiare pericolosi coinvolgimenti nelle diatribe che sempre più gravemente lacerano gli equilibri della penisola arabica.

Questa posizione di autonomia viene tuttavia mal digerita dalla nuova leadership saudita, che ha intensificato le sue pressioni politiche ed economiche, dividendo la comunità federale somala tra chi ritiene più utile aderire alla coalizione a guida saudita, nell’ottica di beneficiarne economicamente, e chi invece sostiene la necessità di restare politicamente vicini al Qatar, favorendo una collocazione meno netta della Somalia nello scenario internazionale.

Le pressioni economiche e diplomatiche saudite hanno tuttavia travolto la capacità politica del presidente somalo,e lo scorso agosto il Puntland ha apertamente annunciato la sua adesione ad un programma di strategia comune con Riyad ed Abu Dhabi, forte di un contratto trentennale per lo sviluppo del porto di Bosaso ad opera della compagnia di gestione emiratina P&O Ports. Pochi giorni dopo una crisi politica ha colpito anche la regione del Galmudug, rischiando di estendersi anche nel basso Shabelle.

Leader regionali di diverse entità federali somale hanno visitato Abu Dhabi nel corso dell’estate, di fatto scavalcando le prerogative della Costituzione somala e definendo un quadro di crisi politica senza precedenti, che si è poi spostato in seno al Parlamento, dove sono stati segnalati da più deputati continui tentativi di corruzione nell’ottica di favorire una crisi di governo.

È quindi in questo contesto che viene a maturare il recente, quanto per certi versi del tutto nuovo, attentato del 14 ottobre, destando non solo numerose perplessità sulle modalità di conduzione dello stesso ma anche e soprattutto generando il legittimo sospetto di un diretto collegamento con la delicata questione regionale.

Se la polizia somala parla quindi di responsabilità di al-Shabaab, il tessuto politico e sociale della capitale non ha remore nell’identificare una matrice diversa ed esterna al contesto nazionale, dividendosi tra chi accusa l’Arabia Saudita e gli emirati da un parte, e chi replica indicando nel Qatar il colpevole.
 

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