Umberto De Giovannangeli Trump sfratta i palestinesi

Trump sfratta i palestinesi - Huffington Post

 

Donald Trump dà lo sfratto ai Palestinesi. In attesa di realizzare la promessa più volte reiterata in campa presidenziale, trasferire l'ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme, l'inquilino della Casa Bianca lancia un ultimatum all'Olp (l'Organizzazione per la liberazione della Palestina): o rinunciate a portare Israele davanti alla Corte di giustizia internazionale de l'Aja, altrimenti le vostre sedi negli Stati Uniti saranno chiuse e i vostri rappresentanti "diplomatici" considerate persone non gradite. Mai, in precedenza, un presidente americano, sia esso Repubblicano o Democratico, era arrivato a tanto.
L'Olp, riconosciuta dalla comunità internazionale come rappresentante di tutti i Palestinesi (sia quelli dei Territori che della diaspora), aveva aperto la sua principale sede di rappresentanza, a Washington DC, nel 1994, un anno dopo, cioè, la firma degli accordi di Oslo-Washington (settembre '93) tra l'allora premier israeliano Yitzhak Rabin e il leader dell'Olp Yasser Arafat (con Bill Clinton alla Casa Bianca). I tempi dello sfratto sono di 90 giorni, entro i quali la leadership palestinese deve rispondere all'aut aut americano. "Si tratta di un ricatto inaccettabile", afferma il segretario generale dell'Olp, Saeb Erekat, che si dice convinto che dietro la decisione dell'amministrazione Trump vi sia stata una forte pressione del governo israeliano.
Da Ramallah, il presidente dell'Autorità nazionale palestinese, Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha dichiarato di essere "spiacevolmente sorpreso" dalla decisione degli Usa, la quale, aggiunge, "può avere conseguenze dannose per il processo di pace e per le relazioni tra l'America e gli Arabi". Nel settembre scorso, intervenendo alla sessione annuale dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, il presidente dell'Anp aveva annunciato la volontà dei Palestinesi di rivolgersi alla International Criminal Court (ICC) perché aprisse una indagine a carico delle autorità israeliane per "le attività di sviluppo degli insediamenti e per le aggressioni contro il nostro popolo". Hanan Ashrawi, figura storica della dirigenza palestinese, più volte ministra dell'Anp, è oggi la portavoce ufficiale dell'Olp. L'Huffington Post l'ha raggiunta telefonicamente nel suo ufficio a Ramallah. "Altro che 'facilitatore' di una ripresa dei negoziati – dice Ashrawi ad HP – con questo ricatto, il presidente Trump non solo prende le parti in toto del governo israeliano ma addirittura pretende di dettare l'agenda delle cose che i Palestinesi possono o non possono fare, imponendo una sorta di commissariamento coatto". Hanan Ashrawi si è sempre schierata contro la militarizzazione della protesta palestinese, sostenendo la linea, e la pratica, della disobbedienza civile e dell'iniziativa internazionale. "Trump e Netanyahu – sottolinea decisa – vorrebbero che restassimo silenti, passivi, mentre continua la politica di colonizzazione dei Territori, mentre viene perseguita la pulizia etnica dei palestinesi a Gerusalemme Est, ed ora pretendono anche che noi rinunciassimo a far valere le nostre ragioni nelle istanze internazionali delle quali facciamo parte. Dopo aver bandito dalla Palestina la legalità internazionale, oggi vorrebbero anche cancellare la possibilità di far valere le nostre ragioni a l'Aia, all'Unesco, al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite. A questo siamo arrivati, all'arroganza del più forte non c'è limite". Ramallah è la capitale politica dei Palestinesi, dell'Autorità palestinese e dell'Olp. Del presidente Abbas, Nabil Abu Rudeina è il portavoce, oltre che uno dei consiglieri più ascoltati e apprezzati per la sua lunga esperienza interna e internazionale. "La minaccia americana della chiusura della sede dell'Olp – annota – rappresenta un atto di rottura senza precedenti nella storia delle relazioni tra gli Usa e i Palestinesi". Questo diktat, aggiunge Abu Rudeina, "rappresenta un colpo agli sforzi di pace, mentre rafforza Israele che sta lavorando per ostacolare l'impegno stesso degli Stati Uniti sul piano diplomatico, persistendo nella sua politica degli insediamenti e rifiutando di accettare la soluzione dei due Stati". Una politica sistematicamente perseguita negli ultimi cinquant'anni.
Un dato indicativo è quello fornito dalle due organizzazioni storiche israeliane impegnate nel campo dei diritti umani, B'Tselem e Peace Now. Dal 1967 a oggi, i governi israeliani hanno trasferito tra i 600.000 e i 750.000 cittadini israeliani nei Territori palestinesi occupati (definiti e indicati dalle risoluzioni 242 e 338 delle Nazioni Unite). Il 28 ottobre scorso, E' stata rinviato, per decisione del premier Netanyahu, il voto del comitato ministeriale sul disegno di legge che prevede l'estensione dei confini municipali di Gerusalemme ad alcune colonie ebraiche costruite intorno e dentro il settore arabo occupato da Israele nel 1967. L'ufficio del primo ministro ha spiegato la decisione con ragioni di "opportunità diplomatica". In sostanza Netanyahu pensa che sia necessario un coordinamento con l'Amministrazione Trump. Allo stesso tempo torna di attualità la proposta del ministro Zeev Elkin volta ad abbassare il numero dei residenti palestinesi di Gerusalemme, modificando il percorso del Muro di Separazione in modo da tenere fuori dalla città diversi sobborghi arabi con una popolazione di 100-150mila persone. In quei sobborghi, secondo la proposta, dovrebbe essere costituita una municipalità separata da quella di Gerusalemme.
Nei giorni scorsi, Peace Now ha protestato contro un parere legale emesso recentemente dal Procuratore Generale Avichai Mandelblit che autorizza la confisca di terre private palestinesi a beneficio degli insediamenti israeliani nei territori palestinesi occupati avvertendo che ciò velocizzerebbe il processo. Il parere legale di Mandelblit è stato emesso in relazione a Haresha, un avamposto di insediamento vicino a Ramallah, i cui residenti e sostenitori stanno esaminando la legalizzazione retroattiva di una strada di accesso. Secondo Peace Now, "la confisca di terra costituirebbe una seria violazione della legge umanitaria internazionale e del diritto dei Palestinesi al possesso di terra". Inoltre, il parere legale "riguardante la strada d'accesso potrebbe portare ad ulteriori confische di terre private palestinesi, rafforzando la presa israeliana sul territorio palestinese". "Il Procuratore Generale sta cercando di autorizzare la confisca delle terre di proprietà dei Palestinesi, i quali non hanno diritto di voto in Israele, a beneficio dei coloni israeliani che godono invece dei pieni diritti", ha aggiunto Peace Now. Il parere legale non autorizza esplicitamente alcuna confisca ai fini dell'insediamento, ma afferma che in alcuni casi, la confisca di terra è legittima, soggetta all'approvazione del Procuratore Generale "Adesso", avverte l'organizzazione pacifista israeliana, "sembra che il Procuratore Generale stia cercando di rimuovere l'ultima barriera legale (e morale) esistente al fine di trasformare il ladrocinio e l'espulsione in un modo formale di realizzare insediamenti nei Territori [Palestinesi] Occupati". E qui si ritorna, come un eterno, sfibrante, gioco dell'oca politico-legal-diplomatico, alla casella iniziale. E a interrogativo di fondo: con quali strumenti, che non siano il terrore e la violenza, i Palestinesi possono far valere i propri diritti? "Israele – riflette ancora con HP Hanan Ashrawi – ci vorrebbe o armati o rassegnati, comunque succubi. Oltre 150 Paesi al mondo hanno riconosciuto lo Stato palestinese e sarebbe importante che rra questi Paesi ci fosse anche l'Italia. L'Anp fa parte di diversi organismi e agenzie delle Nazioni Unite e nelle sedi internazionali deputate intende far valere i diritti dei palestinesi e denunciare i crimini perpetrati dagli israeliani. A sostegno delle nostre denunce vi sono centinaia di rapporti, testimonianze, delle più importanti organizzazioni umanitarie al mondo e degli stessi osservatori dell'Onu. Cosa c'è di eversivo in questo modo di operare? Esiste un diritto internazionale, esistono Convenzioni, come quella di Ginevra, e ad essi ci appelliamo. E per questo dovremo essere cacciati da Washington?".
La memoria torna al maggio scorso, e allo storico incontro a Betlemme tra Trump e Abu Mazen. In quell'occasione, Abu aveva confermato l'intenzione della Palestina di rimanere fedele alla "soluzione dei due Stati" per la pace in Medio Oriente: "Ribadisco una volta di più la nostra posizione, quella dei due Stati secondo le frontiere del 1967. Uno Stato palestinese con capitale a Gerusalemme est, che viva a fianco di Israele nella pace e nella sicurezza. Siamo in favore della costruzione di ponti, non di muri". Nessun esplicito riferimento alla soluzione dei due Stati è arrivata invece da Trump: "La pace è una scelta che dobbiamo fare ogni giorno, e gli Stati Uniti sono lì per contribuire a rendere questo sogno possibile". Secondo l'inquilino della Casa Bianca "la pace non può mai radicarsi in un ambiente in cui la violenza è tollerata, finanziata e ricompensata". Passano pochi mesi, è l'Amministrazione Trump boccia l'accordo di riconciliazione nazionale siglato, al Cairo, da Fatah e Hamas. Il 19 ottobre, Jason Greenblatt, l'inviato per la pace in Medio Oriente di Trump, dichiara: "Gli Stati Uniti ribadiscono l'importanza dell'adesione ai principi del Quartetto: qualsiasi governo palestinese deve impegnarsi in modo non ambiguo e esplicito nella nonviolenza, a riconoscere lo Stato di Israele, ad accettare accordi e obblighi precedenti tra le parti, incluso il disarmo dei terroristi, e impegnarsi in negoziati pacifici". Per Abu Mazen, impegnato a riportare Gaza sotto il controllo dell'Autorità palestinese, la presa di posizione dell'inviato Usa appare, soprattutto per il momento scelto, un'opera di sabotaggio dell'intesa faticosamente raggiunta grazie soprattutto all'impegno del presidente egiziano al-Sisi e ai finanziamenti promessi, per la ricostruzione della Striscia, da Qatar ed Emirati Arabi Uniti. Ora, lo sfratto da Washington. Chiosa Hanan Ashrawi: "In questa situazione sarebbe importante una presa di posizione dell'Europa". Ma esiste, politicamente parlando, una Europa in Medio Oriente?

 

Umberto De Giovannangeli

 

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