Amira Hass – : L’uccisione di un uomo senza gambe – Zeitun
Ibrahim Abu Thuraya, con
entrambe le gambe amputate e su una sedia a rotelle, si distingueva tra la
folla di manifestanti sul confine di Gaza. È stato il suo coraggio che ha
innervosito un soldato che si trovava sul lato israeliano?
I fanali della macchina
illuminano due soldati nel buio, con fucili ed altro equipaggiamento
all’ingresso della città cisgiordana di A-Ram, sovrappopolata e ammassata. I
nostri occhi si sono incrociati per un attimo, come si suol dire. I loro volti
esprimevano quel familiare misto di arroganza, ignoranza e paura. Come sembrano
giovani, ho pensato. Ho anche riflettuto su quello che pensa in questi giorni
chiunque guidi davanti a soldati: una lieve deviazione dell’auto e loro
supporranno che questa signora sia decisa ad investirli. Una successiva
inchiesta della polizia militare stabilirà che avevano avuto l’impressione che
la loro vita fosse in pericolo e quindi che avevano agito correttamente.
Concéntrati sulla guida, mi sono detta, pensando di nuovo a quanto fossero
giovani.
Non credo che venerdì si sia
vista alcuna paura negli occhi dei soldati israeliani che hanno sparato a
Ibrahim Abu Thuraya, 29 anni, uccidendolo. Erano dall’altra parte della
barriera di confine, a est del quartiere di Shujaiyeh a Gaza. Forse erano su
una torre di guardia, forse su una collina o in una jeep blindata, che ha
sparato a raffica sui manifestanti palestinesi.
Quale pericolo rappresentava
Abu Thuraya? Certo si distingueva tra gli altri manifestanti: amputato delle
due gambe, è avanzato sulla sua carrozzella, sceso da questa si è mosso
rapidamente con l’aiuto delle braccia, andando verso est attraverso una
collinetta sabbiosa. Il suo coraggio e la sua mancanza di paura hanno turbato
un soldato sul lato israeliano della barriera?
Abu Thuraya era stato gravemente
ferito durante l’offensiva israeliana del 2008-09 contro Gaza, quando perse
entrambe le gambe. Nel 2015 una storia sul sito web palestinese di notizie Al
Watan raccontava che lui e i suoi amici erano stati presi di mira da un
bombardamento israeliano nel campo di rifugiati di Bureij. In seguito si era
ripreso dalle gravi ferite e si guadagnava da vivere pulendo i finestrini delle
auto nelle strade di Gaza, muovendosi tra le macchine sulla sua sedia a
rotelle. Una ripresa video senza data lo mostra mentre si arrampica su un palo
della luce nei pressi del confine di Gaza e sventola una bandiera. In un altro
video, probabilmente registrato venerdì, lo si vede sulla sua carrozzella allo
scoperto di fronte alla recinzione, mentre sventola di nuovo una bandiera
palestinese.
Venerdì a mezzogiorno davanti a
una telecamera diceva che la manifestazione era un messaggio all’esercito
sionista di occupazione che “questa è la nostra terra e non ci vogliamo
arrendere.” Poi un montaggio video lo mostra sulla sua sedia a rotelle,
circondato da decine di giovani sconvolti. La sua testa è reclinata, viene
messo in un’ambulanza e portato in ospedale. È stato dichiarato morto quel
pomeriggio, ucciso da un proiettile alla testa.
Il montaggio video omette
qualche scena che lo potrebbe accusare? Per esempio, Abu Thuraya ha puntato un
razzo contro i soldati? Se questa è stata la ragione per cui un soldato ha
sparato ad un uomo senza gambe su una sedia a rotelle, si è trattato di un
errore dell’esercito e dei portavoce del Coordinamento delle Attività
Governative nei Territori [COGAT, l’amministrazione israeliana dei territori
palestinesi occupati, ndt.]. Perché non hanno emesso un comunicato ai mezzi di
informazione riguardo ad un attacco con i razzi da parte dei manifestanti,
evitando in questo modo qualunque danno che possa colpire i nostri soldati?
Di nuovo in Cisgiordania, un
prurito al naso mi ha avvisato della presenza di soldati sulla strada che porta
al campo di rifugiati di Jalazun –il che significa che c’erano anche quelli che
lanciano sassi. Ma non era possibile tornare indietro. Il diffuso fumo di
lacrimogeni aumentava di intensità e la strada procedeva a curve. Da una parte,
tra alcune case, si erano accovacciati alcuni giovani – ed erano molto giovani.
Avevano pietre in mano ma per il momento non le stavano tirando. Dall’altra
parte, nei pressi di un muro che protegge la colonia di Beit El, stava uno
spaventoso furgone passeggeri blindato, con di fianco qualche soldato. Forse
erano della polizia di frontiera (il mio senso di panico mi ha fatto
dimenticare qualche dettaglio). Sotto i loro elmetti e da lontano era difficile
stabilire quanto fossero giovani. Ma nel loro atteggiamento arroganza e
ignoranza erano evidenti.
Il mio tentativo di andare da
Ramallah a Betlemme venerdì (per un concerto e l’esibizione di un coro di
bambini) era fallito. Ad un incrocio verso il checkpoint di Beit El, alcuni
giovani – quanto erano giovani! – hanno tirato fuori da un’auto dei copertoni
con l’intenzione di incendiarli. Ho capito quello che stava succedendo e sono
tornata indietro verso Qalandiyah. Il traffico era lento.
A un certo punto dei fedeli
stavano uscendo da una moschea e in un altro della gente camminava in mezzo
alla strada portando ceste dal mercato. Altrove c’erano macchine parcheggiate
in doppia fila o uomini che uscivano da un salone per le feste portando tazze
di caffè usa e getta e pezzi di torta. Un’ambulanza, a sirene spiegate, stava
arrivando dalla direzione del checkpoint, segnalando quello che mi aspettava.
Qualche decina di metri più in là si poteva chiaramente vedere una nuvola di
lacrimogeni. Ogni desiderio che avevo di andare a vedere la situazione in
ognuna delle altre uscite dalla prigione 5 stelle che è Ramallah mi era
passato. In seguito si è saputo che una persona era morta al checkpoint di Beit
El e un’altra era stata gravemente ferita a Qalandiyah.
Venerdì, durante una gita con
amici, lui ha detto: “Per un verso, so che dovrei essere là con quei coraggiosi
ragazzi al checkpoint. Per l’altro, so che solo se centinaia di migliaia di
persone andassero lì, con le mani in tasca, qualcosa cambierebbe.”
Lei ha aggiunto: “Una volta
quando sentivamo di una persona ferita a Gaza tutta la Cisgiordania era in
fiamme. Ora sentiamo di qualcuno che è morto a Ramallah o un giovane che ha
perso un occhio per un candelotto lacrimogeno e tutto quello che facciamo è
scuotere la testa in segno di solidarietà e continuiamo con le nostre vite.”
Una persona che vive in una
strada nei pressi del checkpoint di Beit El ha aperto la porta di casa a quelli
che scappavano dal fumo dei lacrimogeni. Il fazzoletto impregnato di alcool
fatto giare da un paramedico aiutava, ma solo in casa le lacrime e la
sensazione di bruciore sono cessate.
“I nostri dirigenti sono isolati,” ha dichiarato l’ospite. “Non gli
importa della gente, ma solo dei soldi e degli affari. Non posso dire ai giovani
di non andare ai checkpoint, ma so che il loro coraggio è inutile.”
(traduzione di Amedeo Rossi)
L’uccisione
di un uomo senza gambe
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extragiudiziali Posted By: carlo dicembre 19, 2017 Amira Hass – 17…
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