Lisa Goldman :E’ a Nabi Saleh che ho abbandonato il sionismo
Mostrano
al mondo intero cosa significa l’occupazione, in termini concreti, per
persone in carne e ossa. Mi hanno insegnato, e questo è un semplice
esempio,…
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Mostrano al mondo intero cosa significa l’occupazione, in termini
concreti, per persone in carne e ossa. Mi hanno insegnato, e questo è un
semplice esempio, che cosa significa la resistenza a base popolare.
di Lisa Goldman, 27 dicembre 2017
All’epoca in cui iniziai ad andare a Nabi Saleh, avevo trascorso
circa quattro anni a parlare di ciò che vedevo in Cisgiordania e a Gaza,
assistendo con un certo distacco al modo in cui le mie idee politiche
pendevano sempre più a sinistra. Ciò che ho visto in questo piccolo
villaggio in Cisgiordania è stata la goccia che ha fatto traboccare il
vaso.
Un breve video che mostra la sedicenne Ahed Tamimi che schiaffeggia
un soldato israeliano ha dominato la scorsa settimana i media israeliani
e ha anche goduto di una massiccia copertura mediatica in tutto il
mondo. Ahed, una giovane ragazza palestinese di Nabi Saleh, un villaggio
della Cisgiordania, fa una grande impressione con la sua folta
capigliatura bionda che attira gli sguardi, l’espressione orgogliosa e
intelligente dei suoi occhi blu – e la sua temerarietà.
Uno degli aspetti più sorprendenti dell’enorme discussione suscitata
dal video è il contrasto quasi binario tra ciò che vedono gli israeliani
e i loro sostenitori e ciò che vedono tutti gli altri.
Per gli israeliani uno dei soldati è stato provocato, e in modo quasi
insopportabile, ma è comunque riuscito a controllare la situazione. Per
tutti gli altri o quasi, il video mostra un’adolescente disarmata – che
potrebbe facilmente, dato il suo aspetto, essere un’adolescente
israeliana che fa compere in un centro commerciale – affrontare
coraggiosamente un soldato armato sbarcato nel suo villaggio. Anche
senza conoscere le circostanze, un uomo adulto in tenuta da
combattimento e con un’arma potente che si astiene dal colpire
un’adolescente senza armi e molto più piccola di lui, non sembra così
degno di lode, sembra piuttosto presentare una risposta dettata da un
fondo elementare di umanità ed etica.
La maggior parte dei media israeliani ha favorito il discorso
dell’esercito sull’incidente – la storia di un soldato equilibrato e
maturo che si è sottratto ammirevolmente a una situazione difficile e
stressante che coinvolge attori nemici.
Nell’estratto del video qui sotto, Yaron London che presenta in prima
serata su Channel 10 il programma d’informazione che porta il suo nome,
riflette il punto di vista dell’esercito. Gli ospiti di London sono Or
Heller, corrispondente del canale per gli affari militari, e Jonathan
(Yonatan) Pollak, un veterano dell’attivismo contro l’occupazione:
La conversazione tra i tre uomini è gratificante perché offre uno
sguardo reale della mentalità della società tradizionale israeliana.
Sentiamo prima Or Heller, un corrispondente esperto in affari militari,
ripetere il discorso dell’esercito. Esprime il suo orgoglio per i
soldati, sostiene che la famiglia Tamimi ha provocato questo scontro
come mezzo per creare un video di propaganda anti-israeliana, e afferma
inoltre che i soldati erano nelle vicinanze solo per impedire ai
residenti palestinesi di lanciare pietre.
Yaron London, un uomo intelligente e colto che, ne sono sicura, si
considera un liberale, si astiene dal mettere in discussione il discorso
di Heller. I due uomini sono completamente concentrati sulla sfida che
questi adolescenti disarmati dovrebbero rappresentare per i “loro”
soldati, piuttosto che sulla violenza di fatto che, settimana dopo
settimana, rappresentano le incursioni di questi soldati nel villaggio.
Jonathan Pollak era a Nabi Saleh quando è avvenuto l’incidente.
Guardate come presenta il contesto pacatamente, con calma, e notate
anche come Heller e London sono scioccati quando Pollak allude al
“vostro” esercito – piuttosto che al “nostro” esercito. (Pollak ha
rifiutato di servire, cosa considerata un atto radicale in Israele).
Questo estratto di video riflette il tallone d’Achille dei media
israeliani – in altre parole, la volontà di presentare comunicati
diffusi dalle forze armate come notizie dal vivo, senza alcuna verifica
dei fatti. Anche se l’establishment di sicurezza israeliano è stato
sorpreso a mentire in innumerevoli occasioni, i giornalisti che lavorano
per i media tradizionali continuano ad accettare, senza mettere in
questione, le informazioni che trasmettono su eventi ai quali nessuno di
loro ha assistito e che non sono stati sottoposti ad alcun controllo
indipendente.
Nei molti mesi in cui ho assistito alle proteste del venerdì a Nabi
Saleh, non ho mai visto un solo giornalista dei media israeliani.
Eppure, quando tornavo a casa da queste lunghe e faticose giornate, il
presentatore di Israel Radio riferiva che c’erano state “lotte” in un
villaggio della Cisgiordania e che “le nostre forze” avevano risposto
con misure di controllo della folla.
La famiglia Tamimi manifesta ogni venerdì da un decennio, per
protestare contro la confisca della fonte di acqua potabile di Nabi
Saleh da parte dei coloni vicini. Come Bassem Tamimi mi ha spiegato una
volta, in un ebraico molto corretto, gli abitanti del villaggio non
hanno detto nulla quando l’esercito ha costruito la colonia Halamish
(che in origine era chiamata Neve Tzuf) sui loro terreni. Ma quando i
coloni hanno confiscato la loro fonte e l’esercito ne ha poi impedito
l’accesso ai Tamimi, Bassem e la sua numerosa famiglia hanno deciso di
tracciare una linea rossa.
Ogni settimana, si riuniscono in cima alla collina all’interno del
loro villaggio, portando bandiere e striscioni, e camminano verso la
strada che li separa dalla fonte. L’obiettivo è semplicemente
attraversare la strada e avvicinarsi alla fonte. E ogni settimana,
l’esercito schiera le sue forze di sicurezza all’interno e intorno al
villaggio per impedire ai manifestanti di raggiungere la loro
destinazione.
Funziona così: verso mezzogiorno i veicoli dell’esercito entrano nel
villaggio e parcheggiano in fondo al bivio. Le forze di sicurezza,
armate pesantemente e in uniforme da combattimento, scendono dai
veicoli, caricano le loro armi e aspettano. A volte si mettono a sparare
non appena inizia la dimostrazione, e a volte aspettano prima di aprire
il fuoco che un adolescente lanci una pietra nella loro direzione.
Come Ben Ehrenreich fa notare nel suo articolo su Nabi Saleh
pubblicato sul New York Times Magazine, il portavoce dell’esercito gli
ha detto che non c’è mai stato un soldato ferito da un lancio di pietra,
in occasione di queste proteste. Ma negli ultimi anni, i soldati hanno
ucciso o ferito diversi manifestanti.
In un famoso incidente un soldato aveva improvvisamente aperto la
portiera posteriore della sua jeep blindata mentre lasciava il villaggio
e aveva sparato una bomba lacrimogena direttamente sul viso di Mustafa,
21 anni, cugino di Ahed. Il giovane era stato ucciso. Nessuno è mai
stato perseguito per questo atto omicida.
Queste sono solo alcune delle cose che ho visto a Nabi Saleh.
Un giorno ero in piedi sul tetto di una casa insieme a tre ragazze
adolescenti che vivevano lì. Guardavamo la manifestazione a distanza –
forse 150 metri. All’improvviso uno dei soldati lungo la strada si è
girato verso di noi, ha alzato la sua arma, puntato e sparato gas
lacrimogeni nella nostra direzione. Ha sparato anche altre due granate
contro la casa, rompendo la finestra del soggiorno. La figlia maggiore
mi ha detto che la sua famiglia aveva smesso di sostituirla ogni volta
che i soldati la rompevano. Il vetro era diventato troppo costoso.
Ho visto anche soldati avvolgere deliberatamente una piccola casa di
gas lacrimogeni finché gli occupanti, tossendo e sputando lunghi flussi
di muco, erano stati costretti a uscire. C’erano due donne molto
anziane, paralizzate e tutte curve, e una giovane donna di venti o
trenta anni.
Ho visto i soldati acchiappare bambini che piangevano e trascinarli
verso veicoli militari respingendo violentemente le loro madri che
urlavano.
Ho visto soldati afferrare una giovane donna per le braccia e
trascinarla come un sacco di patate per diversi metri lungo una strada
dall’asfalto talmente caldo da sciogliere le suole di gomma delle mie
scarpe da jogging, prima di gettarla in un veicolo militare che è
partito immediatamente.
Ho avuto le caviglie contuse diventate nere quando un agente di
sicurezza mi ha guardato dritto negli occhi e mi ha lanciato una bomba
assordante tra le gambe.
Regolarmente, i cecchini dell’esercito israeliano sparano sia veri
proiettili che proiettili rivestiti di gomma sui dimostranti disarmati
di Nabi Saleh. Fanno irruzione nelle case e ne tirano fuori gli abitanti
per poi fermarli con il pretesto che hanno permesso ai manifestanti di
nascondersi nel loro giardino.
E quando torno a Tel Aviv, i miei amici mi dicono che non posso aver
visto quello che ho visto, dal momento che “i nostri soldati” non si
comportano in questo modo. Ho fatto presto a prendere le distanze da
questi amici per tenere sotto controllo le mie emozioni.
Riporto queste sordide descrizioni di ciò che ho visto durante le
dimostrazioni per spiegare come e perché questo posto mi ha
radicalizzato. Dopo Nabi Saleh, in un certo senso, mi sono spezzata.
L’impatto della violenza sulla mia psiche è stato estenuante, traumatico
anche, con effetti molto duraturi che sento ancora oggi.
All’epoca in cui iniziai ad andare a Nabi Saleh, avevo trascorso
circa quattro anni a parlare di ciò che vedevo in Cisgiordania e a Gaza,
assistendo con un certo distacco al modo in cui le mie vedute
politiche, liberali all’inizio visto l’ambiente in cui vivevo, pendevano
sempre più a sinistra e questo era il risultato di ciò che avevo visto
sul terreno. Ma è a Nabi Saleh che ho perso le ultime vestigia di ciò
che chiamerei “il mio sionismo” – data l’assenza di un termine per
descrivere la mia nostalgia nei confronti dell’idea di uno Stato per gli
ebrei.
La mia radicalizzazione non è stata solo il risultato dell’aver
assistito agli eccessi di violenza commessi sotto ai miei occhi da
soldati di un esercito che avrebbe dovuto proteggermi. Era anche una
conseguenza del fatto che avevo visto la famiglia Tamimi subire questa
violenza settimana dopo settimana, che avevo visto suoi membri farsi
insultare, ferire, arrestare e persino uccidere e non arrivare ancora
alla conclusione che il prezzo della resistenza era troppo alto.
Rifiutano semplicemente di sottomettersi.
Settimana dopo settimana accolgono stranieri a casa loro con
gentilezza e ospitalità. Nessuno a Nabi Saleh ha mai espresso
un’opinione ideologica al mio indirizzo. Non ne hanno bisogno. La
situazione è chiara; le azioni del governo israeliano e delle forze di
sicurezza sul posto sono indifendibili a tutti i livelli. E,
naturalmente, c’è la fonte della forza dei Tamimi: la consapevolezza che
la loro causa è giusta e che la difendono con mezzi etici, non
violenti.
I Tamimi comprendono molto bene il potere dei social media. Ma non
sono loro a creare questi scontri. Infatti, non ho mai visto un video
che si avvicini, anche lontanamente, alla vera brutalità che ho scoperto
a Nabi Saleh. Forse devi sentire i gas lacrimogeni e renderti conto
delle piccole dimensioni del luogo per capire quanto sia infamante per
dei soldati comportarsi come fanno: entrare in un villaggio con
l’impressione di avere tutti i diritti e smantellare un raduno di
manifestanti disarmati; buttar giù a calci delle porte e farne uscire
persone disarmate, che non rappresentano alcuna minaccia, per gettarle
in prigione; entrare in una casa alle 4 del mattino, tirare
un’adolescente fuori dal suo letto e trascinarla fuori per arrestarla,
mentre le neghi anche il diritto di essere accompagnata da qualcuno che
possa garantire la sua sicurezza.
Sono sicura che Ahed comprende l’effetto del suo aspetto
sorprendente. Sono sicura che Bassem Tamimi sa che il suo calore e il
suo naturale senso dell’ospitalità vanno molto oltre nel conquistare i
cuori e le menti di quanto potrebbero mai fare le conferenze didattiche
sulla politica. Senza soldi, sacrificando i loro propri corpi e il
proprio benessere emotivo, i Tamimi attirano l’attenzione del mondo
sulle centinaia di bambini palestinesi che languiscono in prigione e che
non hanno né i capelli biondi né una forte famiglia dietro di loro, che
li sostiene. Mostrano al mondo intero cosa significa l’occupazione, in
termini concreti, per persone in carne e ossa. Mi hanno insegnato, e
questo è un semplice esempio, che cosa significa la resistenza a base
popolare.
Con tutto il denaro e tutta la mano d’opera impegnata in sofisticate
campagne promozionali tramite i social media, Israele è davvero nella
posizione di criticare i Tamimi perché capiscono come si devono
riprendere per pubblicizzare la loro causa? Come Jonathan Pollak ha
detto a Yaron London, il motivo per cui questi video su Nabi Saleh
mettono Israele particolarmente in imbarazzo è che Israele sta
commettendo atti estremamente riprovevoli.
Traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina.org
Fonte: http://www.pourlapalestine.be/cest-a-nabi-saleh-que-jai-abandonne-le-sionisme/
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