Richard Falk : Il voto all’ONU su Gerusalemme
- Piangi, terra amata
- L’anno terribile della tecnologia
- Rileggere Sartre
- Il voto all’ONU su Gerusalemme
- Trump incarna la crisi del capitalismo
- Santa-India 2017
- Il programma del Daily Stormer
- Sminuire: le due narrazioni dei media sul terrorismo
- Per i Palestinesi oltre al danno la beffa
- Creare l’internet del ventunesimo secolo
Quello che mi ha colpito come la dimensione più significativa dei
voti su Gerusalemme al Consiglio di Sicurezza e all’Assemblea Generale è
stato stranamente trascurato dalla maggior parte dei servizi dei media.
Il discorso pubblico è stato ovviamente corretto nell’identificare
l’isolamento degli Stati Uniti rispetto al resto del mondo, nonché nel
considerare la posizione della maggioranza come un rigetto ribelle della
guida e delle tattiche prepotenti di Trump. Anche se, come alcuni hanno
notato, senza il bullismo dell’ambasciatrice Haley (tra cui: riferirò i
voti sì al presidente; quelli che votano a favore della risoluzione non
riceveranno assistenza economica in futuro; stiamo osservando; “Gli
Stati Uniti ricorderanno questo giorno”; “il voto farà la differenza su
come gli statunitensi guarderanno all’ONU”) avrebbero potuto esserci 150
voti positivi alla risoluzione, invece di 128, con minori astensioni
(35) e minori assenza (21).
Ciò nonostante 128 a 9 è una chiara espressione di un prevalente
sentimento morale e legale e merita di essere rispettato da qualsiasi
governo che valorizzi il ruolo dell’Assemblea Generale come arbitro di legittimità riguardo
a problemi globali sensibili. Anche se molto più deboli e più soggetti a
manipolazioni geopolitiche del desiderabile, questi principali organi
politici dell’ONU forniscono la guida migliore che esiste attualmente
riguardo a quale dovrebbe essere la politica globale se gli interessi globali e umani devono essere protetti, e non semplicemente una serie di interessi nazionali e la loro aggregazione multilaterale, per ottenere risultati cooperativi.
Ciò su cui questa discussione sorvola in questo caso senza fermarsi a
osservare il suo significato è il grado al quale temi di sostanza sono
prevalsi su questioni di allineamento geopolitico. Nessuno degli alleati
più stretti degli Stati Uniti (Gran Bretagna, Francia, Germania e
Giappone) ha prestato ascolto ai ferventi argomenti e preghiere della
Haley e di Trump. Oltre a ciò, ogni paese importante del mondo ha
sostenuto la Risoluzione dell’Assemblea Generale del 21 dicembre 2017
indipendentemente dalla geografia e dall’orientamento politico (Cina,
Russia, India, Brasile, Turchia, India, Pakistan, Arabia Saudita, Iran).
Questa unanimità rafforza la qualità del consenso a supporto della
risoluzione che ripudia come “nulla” l’arrogante decisione di Trump di
riconoscere Gerusalemme come la capitale di Israele. Tale impressione è
rafforzata dall’elenco dei nove governi che hanno votato contro la
risoluzione (Guatemala, Honduras, Isole Marshall, Israele, Micronesia,
Nauru, Palau, Togo e Stati Uniti).
Questi impressionanti risultato dovrebbero essere interpretati come
una fine, o almeno un crepuscolo, della geopolitica? Ogni simile ipotesi
sarebbe estremamente prematura. Quella che sembra aver influenzato
molti governi in questo caso è la ricaduta negativa attesa seguire
dall’unilateralità di Trump che ignora decenni di prassi e accordo
internazionale sullo status e il trattamento di Gerusalemme, nonché la
gratuita omissione dei diritti e delle aspirazioni dei palestinesi
prendendo tale iniziativa senza nemmeno far finta di tener conto dei
reclami dei palestinesi. A questo riguardo la scarsa reputazione
internazionale di Trump in conseguenza del ritiro dall’Accordo di Parigi
sul Cambiamento Climatico, della cancellazione dell’accordo con l’Iran
sul nucleare, e del ritiro dai negoziati per costruire un approccio
concordato alla crisi globale dei migranti aiuta indubbiamente a far
pendere l’ago della bilancia riguardo alla risoluzione su Gerusalemme,
specialmente tra i governi europei. L’impopolare attuazione di Trump
della sua diplomazia degli “Stati Uniti al primo posto” si sta
verosimilmente trasformando nella fastidiosa percezione degli “Stati
Uniti all’ultimo posto” o degli Stati Uniti come “superpotenza
canaglia”. Consapevolmente o no, il voto dell’ONU è stato un segnale di
sofferenza indirizzato a Washington allo stesso modo da amici e da
avversari, ma per quel che si può dire, sarà ignorato o rabbiosamente
respinto dalla Casa Bianca e dai suoi portavoce a meno che non decidano
di sorvolare in silenzio su questi avvenimenti.
Come è stato osservato la decisione su Gerusalemme non è stata parte
di un approccio internazionale attentamente elaborato sul conflitto
israelo-palestinese. E’ parsa principalmente una ricompensa ai gruppi di
sostegno interno alla campagna presidenziale di Trump negli Stati Uniti
(grandi donatori filoisraeliani e Evangelici Cristiani sposati a una
lettura (sbagliata) del Libro delle Rivelazioni [L’Apocalisse di
Giovanni]) e anche una ulteriore manifestazione di affetto post Obama a
Bibi Netanyahu. Evidentemente per Trump essere adorato a Tel Aviv pare
valere il prezzo di essere screditato presso alleati e stati guida di
tutto il resto del mondo. Quanto ai principali beneficiari di aiuti
minacciati (Afghanistan, Egitto, Pakistan, Nigeria, Etiopia, Tanzania e
Sudafrica; il Kenya è stato assente al voto) è stato impressionante che
tutti tali stati abbiano ignorato la minaccia e abbiano votato a favore
della risoluzione. Se Washington farà seguito cancellando gli aiuti ciò
certamente non servirà gli interessi strategici degli Stati Uniti così
come precedentemente interpretati, particolarmente in Medio Oriente, ma
anche in Africa. Tuttavia se non attuerà la minaccia il suo
atteggiamento diplomatico sarà considerato pari a quello di un giocatore
di poker principiante il cui bluff intempestivo è stato scoperto.
C’è anche la domanda: “E dopo?” La risoluzione su Gerusalemme sarà
ricordata come un momento da sostituire con tendenze contrarie nei
comportamenti? A questo riguardo gli Stati Uniti hanno adesso la loro
possibilità di esibire disprezzo e mancanza di rispetto trasferendo
rapidamente e ostentatamente la loro ambasciata a Gerusalemme il che
ovviamente darà origine a ulteriore rabbia. Il presidente turco Recep
Tayyip Erdogan ha già colto l’occasione per riaffermare la sua
prominenza nel mondo mussulmano, prima co-sponsorizzando (con lo Yemen)
la risoluzione e poi sollecitando esplicitamente il governo statunitense
a rescindere la sua decisione di riconoscere Gerusalemme come la
capitale di Israele. Immaginerei sinistramente che la presidenza Trump
sceglierebbe la terza guerra mondiale prima di cedere su Gerusalemme.
Come riferito diffusamente la risoluzione su Gerusalemme è di natura
simbolica e tuttavia ha in effetti gravi conseguenze politiche per tutti
gli attori politici di rilievo. Apre uno spazio politico all’Unione
Europea per avere un ruolo centrale nel cercare di ravvivare un
approccio diplomatico su basi più equilibrate di quelle che si sarebbero
potute aspettare da Washington? Come negozierà il governo statunitense
la linea sottile tra ignorare la risoluzione e danneggiare i suoi
obiettivi di politica estera in Medio Oriente? Quanto intransigente
dovrebbe essere l’Autorità Palestinese nell’insiste su un riconoscimento
parallelo di Gerusalemme Est come capitale della Palestina prima di
accettare di partecipare a negoziati con Israele? La Turchia perseguirà
ulteriori passi presso l’ONU e altrove per sostenere la risoluzione,
compreso forse costruire un riallineamento in tutto il Medio Oriente? I
dirigenti di secondo livello dell’amministrazione Trump attueranno
pressioni per creare una politica estera che rifletta più da vicino gli
interessi nazionali statunitensi tenendo maggior conto delle molte
dimensioni (digitale, economica, della sicurezza) dell’integrazione
globale?
Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo
Originale: Richardfalk.com
Commenti
Posta un commento