Richard Falk : Il voto all’ONU su Gerusalemme








Quello che mi ha colpito come la dimensione più significativa dei voti su Gerusalemme al Consiglio di Sicurezza e all’Assemblea Generale è stato stranamente trascurato dalla maggior parte dei servizi dei media. Il discorso pubblico è stato ovviamente corretto nell’identificare l’isolamento degli Stati Uniti rispetto al resto del mondo, nonché nel considerare la posizione della maggioranza come un rigetto ribelle della guida e delle tattiche prepotenti di Trump. Anche se, come alcuni hanno notato, senza il bullismo dell’ambasciatrice Haley (tra cui: riferirò i voti sì al presidente; quelli che votano a favore della risoluzione non riceveranno assistenza economica in futuro; stiamo osservando; “Gli Stati Uniti ricorderanno questo giorno”; “il voto farà la differenza su come gli statunitensi guarderanno all’ONU”) avrebbero potuto esserci 150 voti positivi alla risoluzione, invece di 128, con minori astensioni (35) e minori assenza (21).
Ciò nonostante 128 a 9 è una chiara espressione di un prevalente sentimento morale e legale e merita di essere rispettato da qualsiasi governo che valorizzi il ruolo dell’Assemblea Generale come arbitro di legittimità riguardo a problemi globali sensibili. Anche se molto più deboli e più soggetti a manipolazioni geopolitiche del desiderabile, questi principali organi politici dell’ONU forniscono la guida migliore che esiste attualmente riguardo a quale dovrebbe essere la politica globale se gli interessi globali e umani devono essere protetti, e non semplicemente una serie di interessi nazionali e la loro aggregazione multilaterale, per ottenere risultati cooperativi.
Ciò su cui questa discussione sorvola in questo caso senza fermarsi a osservare il suo significato è il grado al quale temi di sostanza sono prevalsi su questioni di allineamento geopolitico. Nessuno degli alleati più stretti degli Stati Uniti (Gran Bretagna, Francia, Germania e Giappone) ha prestato ascolto ai ferventi argomenti e preghiere della Haley e di Trump. Oltre a ciò, ogni paese importante del mondo ha sostenuto la Risoluzione dell’Assemblea Generale del 21 dicembre 2017 indipendentemente dalla geografia e dall’orientamento politico (Cina, Russia, India, Brasile, Turchia, India, Pakistan, Arabia Saudita, Iran). Questa unanimità rafforza la qualità del consenso a supporto della risoluzione che ripudia come “nulla” l’arrogante decisione di Trump di riconoscere Gerusalemme come la capitale di Israele. Tale impressione è rafforzata dall’elenco dei nove governi che hanno votato contro la risoluzione (Guatemala, Honduras, Isole Marshall, Israele, Micronesia, Nauru, Palau, Togo e Stati Uniti).
Questi impressionanti risultato dovrebbero essere interpretati come una fine, o almeno un crepuscolo, della geopolitica? Ogni simile ipotesi sarebbe estremamente prematura. Quella che sembra aver influenzato molti governi in questo caso è la ricaduta negativa attesa seguire dall’unilateralità di Trump che ignora decenni di prassi e accordo internazionale sullo status e il trattamento di Gerusalemme, nonché la gratuita omissione dei diritti e delle aspirazioni dei palestinesi prendendo tale iniziativa senza nemmeno far finta di tener conto dei reclami dei palestinesi. A questo riguardo la scarsa reputazione internazionale di Trump in conseguenza del ritiro dall’Accordo di Parigi sul Cambiamento Climatico, della cancellazione dell’accordo con l’Iran sul nucleare, e del ritiro dai negoziati per costruire un approccio concordato alla crisi globale dei migranti aiuta indubbiamente a far pendere l’ago della bilancia riguardo alla risoluzione su Gerusalemme, specialmente tra i governi europei. L’impopolare attuazione di Trump della sua diplomazia degli “Stati Uniti al primo posto” si sta verosimilmente trasformando nella fastidiosa percezione degli “Stati Uniti all’ultimo posto” o degli Stati Uniti come “superpotenza canaglia”. Consapevolmente o no, il voto dell’ONU è stato un segnale di sofferenza indirizzato a Washington allo stesso modo da amici e da avversari, ma per quel che si può dire, sarà ignorato o rabbiosamente respinto dalla Casa Bianca e dai suoi portavoce a meno che non decidano di sorvolare in silenzio su questi avvenimenti.
Come è stato osservato la decisione su Gerusalemme non è stata parte di un approccio internazionale attentamente elaborato sul conflitto israelo-palestinese. E’ parsa principalmente una ricompensa ai gruppi di sostegno interno alla campagna presidenziale di Trump negli Stati Uniti (grandi donatori filoisraeliani e Evangelici Cristiani sposati a una lettura (sbagliata) del Libro delle Rivelazioni [L’Apocalisse di Giovanni]) e anche una ulteriore manifestazione di affetto post Obama a Bibi Netanyahu. Evidentemente per Trump essere adorato a Tel Aviv pare valere il prezzo di essere screditato presso alleati e stati guida di tutto il resto del mondo. Quanto ai principali beneficiari di aiuti minacciati (Afghanistan, Egitto, Pakistan, Nigeria, Etiopia, Tanzania e Sudafrica; il Kenya è stato assente al voto) è stato impressionante che tutti tali stati abbiano ignorato la minaccia e abbiano votato a favore della risoluzione. Se Washington farà seguito cancellando gli aiuti ciò certamente non servirà gli interessi strategici degli Stati Uniti così come precedentemente interpretati, particolarmente in Medio Oriente, ma anche in Africa. Tuttavia se non attuerà la minaccia il suo atteggiamento diplomatico sarà considerato pari a quello di un giocatore di poker principiante il cui bluff intempestivo è stato scoperto.
C’è anche la domanda: “E dopo?” La risoluzione su Gerusalemme sarà ricordata come un momento da sostituire con tendenze contrarie nei comportamenti?  A questo riguardo gli Stati Uniti hanno adesso la loro possibilità di esibire disprezzo e mancanza di rispetto trasferendo rapidamente e ostentatamente la loro ambasciata a Gerusalemme il che ovviamente darà origine a ulteriore rabbia. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha già colto l’occasione per riaffermare la sua prominenza nel mondo mussulmano, prima co-sponsorizzando (con lo Yemen) la risoluzione e poi sollecitando esplicitamente il governo statunitense a rescindere la sua decisione di riconoscere Gerusalemme come la capitale di Israele. Immaginerei sinistramente che la presidenza Trump sceglierebbe la terza guerra mondiale prima di cedere su Gerusalemme.
Come riferito diffusamente la risoluzione su Gerusalemme è di natura simbolica e tuttavia ha in effetti gravi conseguenze politiche per tutti gli attori politici di rilievo. Apre uno spazio politico all’Unione Europea per avere un ruolo centrale nel cercare di ravvivare un approccio diplomatico su basi più equilibrate di quelle che si sarebbero potute aspettare da Washington? Come negozierà il governo statunitense la linea sottile tra ignorare la risoluzione e danneggiare i suoi obiettivi di politica estera in Medio Oriente?  Quanto intransigente dovrebbe essere l’Autorità Palestinese nell’insiste su un riconoscimento parallelo di Gerusalemme Est come capitale della Palestina prima di accettare di partecipare a negoziati con Israele? La Turchia perseguirà ulteriori passi presso l’ONU e altrove per sostenere la risoluzione, compreso forse costruire un riallineamento in tutto il Medio Oriente? I dirigenti di secondo livello dell’amministrazione Trump attueranno pressioni per creare una politica estera che rifletta più da vicino gli interessi nazionali statunitensi tenendo maggior conto delle molte dimensioni (digitale, economica, della sicurezza) dell’integrazione globale?
Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

Originale: Richardfalk.com

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