Turchia, summit Paesi islamici: "Dichiariamo Gerusalemme Est capitale dello Stato di Palestina"


Vertice straordinario dell'Organizzazione della cooperazione islamica (Oic) a Istanbul, convocato da Erdogan. Il presidente turco attacca Trump: "Ha
repubblica.it
 ISTANBUL – Il colpo di scena è in apertura. Quando Recep Tayyip Erdogan mostra l'immagine, circolata nei giorni scorsi, di un bambino palestinese bendato e circondato da militari israeliani. "Israele è uno Stato terrorista – dice il presidente turco, lo sguardo duro, rivolto alla platea dei 57 leader di Paesi musulmani convenuti nella colossale Conference Hall di Istanbul per questo vertice urgente dopo il riconoscimento americano di Gerusalemme come capitale israeliana - i suoi soldati sono terroristi che uccidono bambini di 10 anni e li arrestano. Mi chiedono perché lo dico? Ma io come posso non dirlo?”.

E il Sultano attacca. Non solo, ma contropropone: “Invito tutti i Paesi che difendono il diritto internazionale e la giustizia a riconoscere Gerusalemme occupata come capitale dello Stato palestinese. La decisione presa dagli Stati Uniti su Gerusalemme premia gli atti di terrorismo di Israele. Gerusalemme è la nostra linea rossa".

La risposta alla richiesta di Erdogan arriva nella dichiarazione finale del vertice: "Proclamiamo Gerusalemme Est capitale dello Stato di Palestina e lanciamo una appello agli altri Paesi a riconoscerne la legittimità", si legge nel comunicato dei Paesi partecipanti pubblicato al termine diel summit, nel quale la decisione di Trump viene bollata come un gesto "irresponsabile, illegale e unilaterale del presidente degli Stati Uniti che riconosce Al-Quds (Gerusalemme, ndr) come la cosiddetta capitale d'Israele, la Potenza occupante".

LA SCHEDA TROPPO SACRA PER NON ESSERE CONTESA

La Turchia si pone al centro del gioco. Ma il fronte islamico è diviso, Ankara coglie al volo l’atmosfera e non lesina le critiche, soprattutto agli esponenti arabi. Perché alla fine Arabia Saudita ed Emirati arabi hanno inviato al summit di Istanbul solo ministri di seconda fila, e i non capi di Stato o i ministri degli Esteri, come invece molti altri Paesi. Ci sono il palestinese Abu Mazen - che già l’altra sera ha avuto un colloquio a porte chiuse con Erdogan -, i presidenti di Iran e Libano, Hassan Rohani e Michel Aoun, e il re di Giordania Abdallah II. È comunque un segno della spaccatura nel fronte musulmano fra chi a parole condanna la dichiarazione di Trump mostrando di stare con i palestinesi, ma continua a fare affari e diplomazia con l’America, e chi invece si oppone agli Usa in modo apertamente duro non risparmiando critiche all’amministrazione Trump.

"D'ora in poi i palestinesi non accetteranno più alcun ruolo di mediazione degli Usa nel processo di pace in Medio Oriente", tuona il presidente palestinese Abu Mazen, che poi attacca il capo della Casa Bianca: "Trump vuole regalare Gerusalemme a Israele, come se stesse donando uno degli Stati degli Usa, come se fosse la sola persone con l'autorità di decidere". E chiarisce che "Gerusalemme è e sarà sempre la capitale dello stato palestinese... Non ci sarà né pace né stabilità in mancanza di ciò".

Un appello all'unità islamica ha lanciato anche il presidente iraniano, che dichiara che il suo Paese è pronto a cooperare "con tutti i Paesi islamici senza alcuna riserva o precondizione per la difesa di Gerusalemme". Il leader di Teheran mette in guardia contro "il pericolo del regime sionista" di Israele, dicendosi convinto che Donald Trump abbia 'osato' riconoscere Gerusalemme come capitale perché incoraggiato dalla volontà di alcuni Paesi della regione di stabilire relazioni con Israele. Pur senza indicazioni esplicite, il riferimento del leader di Teheran appare rivolto ai Paesi del Golfo, e in particolare all'Arabia Saudita, che guida il fronte anti-Teheran nel mondo musulmano.

In una Istanbul blindata dalla sicurezza (decine sono solo gli agenti al seguito del leader venezuelano Maduro, nuovo amico di Erdogan e presenza diversa nel vertice dell’Organizzazione della conferenza islamica), il presidente turco si pone come aspirante nuovo player nel Medio Oriente (dietro la spinta e il consenso di Vladimir Putin, che l’altro giorno ad Ankara gli ha dato un informale via libera) negli incontri, già cominciati nella serata di martedì negli alberghi della metropoli dove sono confluiti i 18 capi di Stato.

I margini di intervento del Sultano sono delicati e complicati, perché deve cercare di arrivare a una dichiarazione comune su Gerusalemme e contro le affermazioni fatte da Donald Trump. Un risultato comunque alla sua portata e che molti osservatori pensano non impossibile da ottenere. L’idea è in ogni caso quella di lanciare “un messaggio forte” a Trump, accusato dal presidente turco di avere una "mentalità sionista", e agli Stati Uniti, pur non fermandosi, da parte della Turchia che gioca come padrone di casa, nelle critiche a quei Paesi che per Ankara mostrano “debolezza sulla questione”.

Come ha detto aprendo i lavori al mattino presto il ministro degli Esteri, Mevlut Cavusoglu: "Alcuni Stati arabi hanno espresso una posizione estremamente debole, pare che alcuni temano fortemente gli Stati Uniti". Un monito anti Usa e anti Israele: "Ci siamo riuniti qui con l'obiettivo di fermare la persecuzione. Gli Stati Uniti hanno ferito profondamente la coscienza dell'umanità. Israele mira a legittimare il suo tentativo di occupazione".



TURCHIA- ISRAELE - PALESTINA



I leader Oic definiscono “nulla e priva di validità” la dichiarazione della Casa Bianca che riconosce Gerusalemme capitale di Israele. Un “attacco” ai diritti del popolo palestinese che mina gli sforzi di pace. Allo studio una risoluzione del Consiglio di sicurezza Onu per mostrare l’isolamento internazionale di Washington.

Istanbul (AsiaNews/Agenzie) - I leader dei 57 Paesi membri dell’Organizzazione della cooperazione islamica (Oic), riuniti ieri a Istanbul su richiesta del leader turco Recep Tayyip Erdogan, invocano il riconoscimento di Gerusalemme est capitale dello Stato di Palestina. In un comunicato congiunto diffuso a conclusione dell’incontro, il mondo musulmano [unito] risponde con forza alla decisione unilaterale del presidente Usa Donald Trump di riconoscere Gerusalemme capitale di Israele e disporre il trasferimento dell’ambasciata.
Nella nota i capi di Stato e di governo dei Paesi musulmani hanno definito “nulla e priva di validità” la dichiarazione della Casa Bianca, che ha sollevato proteste e indignazione - con morti e feriti - e preoccupato lo stesso papa Francesco e i leader cristiani della regione. Con questa scelta, aggiungono, Washington ha di fatto abdicato al suo ruolo di mediatore nel processo di pace in Medio oriente.
Intervenendo al summit Oic in Turchia il leader palestinese Mahmoud Abbas ha sottolineato che è ormai “inaccettabile” per gli Stati Uniti ricoprire il ruolo di arbitro e garante, dato che si è espressa in modo evidente “in favore di Israele”. Egli ha quindi aggiunto che la leadership palestinese ha cercato di intavolare una trattativa con l’amministrazione Usa per raggiungere “l’accordo del secolo” ma, in cambio, ha ricevuto “lo schiaffo del secolo”.
Le nazioni a maggioranza musulmana - compresi i sauditi, fra i più stretti alleati Usa nella regione - respingono con forza la scelta unilaterale di Washington, considerandola un “attacco” ai diritti del popolo palestinese. Essi accusano gli Stati Uniti di minare “in modo deliberato” gli sforzi di pace e avvertono che tale mossa finirà per dare “nuovo vigore al terrorismo”.
Infine, l’Oic invita la comunità internazionale a “riconoscere lo Stato della Palestina e Gerusalemme est la sua capitale occupata”. Alle Nazioni Unite, concludono, spetta il compito di riaffermare il rispetto dello status quo e del diritto internazionale nell’area.
Immediata la reazione americana, che punta il dito contro il leader palestinese Abu Mazen la cui retorica “ha impedito per anni un accordo di pace”. Una fonte dell’amministrazione Usa, dietro anonimato, ha detto di aspettarsi “una simile reazione” dei palestinesi, ma continuiamo “nel nostro piano, che sarà di beneficio per il popolo israeliano e palestinese”. Mentre il Primo ministro di Israele Benjamin Netanyahu dice di “non essere impressionato” dal comunicato Oic e “alla fine la verità trionferà e molte nazioni riconosceranno Gerusalemme come capitale di Israele, disponendo il trasferimento delle ambasciate”.
Intanto alle Nazioni Unite è al vaglio una risoluzione del Consiglio di sicurezza contro il riconoscimento statunitense di Gerusalemme come capitale di Israele. Fonti arabe e occidentale rivelano che l’obiettivo dei Paesi membri è quello di mostrare l’isolamento di Washington a livello internazionale. “L’importante - rivela una fonte diplomatica palestinese dietro anonimato - è avere il sostegno di 14 dei 15 Paesi membri del Consiglio di sicurezza” con l’ovvia opposizione degli Usa, uno dei cinque Paesi membri permanenti e con diritto di veto.

 

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