Lettera di Natale. Ma a spedirla non è un
bambino. E a riceverla non è Babbo Natale, ma un signore, anche lui
stagionato, che risiede alla Casa Bianca, Washington DC. "Non
accetteremo alcun piano presentato dagli Stati Uniti". È la "promessa"
fatta dal presidente dell'Autorità nazionale palestinese. Abu Mazen,
nella lettera per il Natale ai Cristiani. Nella lettera, Abu Mazen che
questa decisione è legata al "sostegno offerto dagli Stati Uniti a
Israele e alla sua politica di colonizzazione", aggiungendo che il piano
americano, evocato dall'amministrazione Trump, "non è basato sulla
soluzione a due Stati sui confini del 1967, e non è basato sulla legge
internazionale e sulle risoluzioni Onu".
Politica e religione s'intrecciano indissolubilmente, piaccia o no,
quando si parla di Gerusalemme, che nel raggio di qualche centinaio di
metri racchiude i luoghi sacri per tre grandi religioni monoteistiche. E
per la cristianità quel luogo sacro è il Santo Sepolcro. Nel suo
messaggio natalizio, Abu Mazen sostiene che il riconoscimento Usa su
Gerusalemme come capitale di Israele rappresenta "un insulto a milioni
di persone nel mondo ed anche alla città di Betlemme", aggiungendo che
la mossa di Trump "ha incoraggiato l'illegale disgiunzione tra le due
città sante di Betlemme e Gerusalemme, separate per la prima volta in
oltre 2 mila anni di Cristianità".
La lettera di Natale anticipa l'incontro all'Eliseo tra Abu Mazen e
il presidente francese Emmanuel Macron, il primo tra i leader europei ad
aver commentato negativamente, "deplorevole" il termine utilizzato,
l'annuncio ufficiale del 6 dicembre di Trump sul trasferimento
dell'ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme, riconoscendo quest'ultima
capitale unica e indivisibile dello Stato ebraico. Per Macron, gli Usa
"si sono isolati da soli". La posizione di Parigi prevede la "soluzione
dei due Stati" e "un accordo fra le parti su Gerusalemme". In questa
fase, però, "decidere in modo unilaterale di riconoscere la Palestina è
efficace? - si è chiesto il presidente francese in una dichiarazione
congiunta con Abu Mazen - non credo. Perché si tratterebbe di una
reazione alla decisione di Washington "che ha provocato problemi nella
regione". Così facendo, ha aggiunto Macron, "risponderei con un errore
simile, le scelte della Francia non devono essere decise sulla base di
una reazione".
Il giorno dopo il voto dell'Assemblea Generale su una mozione che
boccia la scelta Usa su Gerusalemme (128 favorevoli, 35 astenuti e 9
contrari) la comunità internazionale fa i conti con una frattura
difficile da ricomporre. E in Israele è il giorno della riflessione,
anche autocritica. Il dibattito è aperto. "Il fallimento di Trump alle
Nazioni Unite è un regalo fatto all'Iran. Perché la rottura
determinatasi su Gerusalemme renderà ora molto più difficile la
richiesta di Israele di un fronte comune contro la minaccia iraniana",
rimarca nella sua analisi su Haaretz Zvi Bar'el, firma di punta del
quotidiano di Tel Aviv. "In questo modo – aggiunge Bar'el con HuffPost -
gli Stati Uniti lasciano spazio ad altri attori internazionali sullo
scenario mediorientale. E questo dovrebbe, come Israeliani,
preoccuparci".
Tra questi attori ve ne sono due particolarmente attivi: Vladimir
Putin e Recep Tayyp Erdogan. Il presidente russo e il suo omologo turco
nel corso di un colloquio telefonico avvenuto nella mattinata si sono
espressi a favore della creazione di uno Stato palestinese, recita un
comunicato del Cremlino. Putin ed Erdogan, "hanno confermato la loro
volontà comune – prosegue la nota – di proseguire negli sforzi per una
soluzione del conflitto israelo-palestinese sulla base delle norme del
diritto internazionale e per la realizzazione del diritto del popolo
palestinese ad uno Stato indipendente. Il vuoto lasciato dagli Usa viene
subito riempito da Mosca ed Ankara. E dall'Iran. Un terzetto che
intende ribadire la propria centralità nella determinazione dei nuovi
equilibri di potenza in Medio Oriente. Ecco allora che nel giorno del
patto Putin-Erdogan sullo Stato palestinese, l'annuncio che Russia,
Turchia e Iran intendono riunire a Sochi, a fine gennaio, i
rappresentanti di Bashar al-Assad e i ribelli in un vertice sulla Siria.
Senza l'America (né l'Arabia Saudita). La forza di Putin e dei suoi, al
momento, più stretti alleati risiede anche, e non poco, nella debolezza
diplomatica dell'America fotografata da un voto che non si presta a
equivoci.
I voti si contano e si "pesano" specie in occasioni come quella di
ieri. Nonostante le minacce reiterate di tagliare i fondi ai Paesi che
avessero contrastato la linea americana su Gerusalemme, a seguire Trump,
oltre naturalmente Israele, sono stati: Guatemala, Honduras, Isole
Marshall, Micronesia, Nauru, Palau, Togo. Insomma, non proprio giganti
della geopolitica planetaria. E le cose, al di là del dato numerico, non
cambiano poi tanto se si passa agli astenuti. Dell'Europa, si segnalano
Repubblica Ceca, Romania, Ungheria, Polonia, Lituania e Croazia e tra
Paesi di un certo peso, possono essere annoverati il Canada, l'Argentina
e il Messico. Nessuno di questi Paesi, tranne il Canada, fa parte del
G20. A voltare le spalle a Trump vi sono anche Paesi che pure
condividono con gli Usa la comune minaccia nordcoreana: il Giappone e la
Corea del Sud. I voti, almeno stavolta, non si comprano. I
ndicativo in
proposito è il fatto che tra i primi 10 Paesi al mondo che percepiscono i
maggiori aiuti americani, 9 (escluso Israele) non abbiano seguito
Trump: Afghanistan, Egitto, Iraq, Giordania, Pakistan, Kenya, Nigeria,
Tanzania, Etiopia.
A pesare nella determinazione degli orientamenti su Gerusalemme è
stata certamente anche la diplomazia vaticana. La Delegazione della
Santa Sede, intervenuta al dibattito in corso all'Assemblea generale
dell'Onu sulla questione di Gerusalemme, ha ricordato "l'obbligo di
tutte le Nazioni a rispettare lo storico status quo della Città Santa,
in conformità con le relative Risoluzioni dell'Onu", avanzando la
richiesta, riferisce Vatican News, di "una risoluzione pacifica che
rispetti la natura di Gerusalemme, la sua sacralità e il suo valore
universale".
La diplomazia non frena la violenza. In scontri succedutisi per
l'intera giornata al confine tra la Striscia di Gaza e Israele, soldati
israeliani hanno ferito mortalmente due giovani manifestanti palestinesi
(fonte ministero della Sanità di Gaza). Altri incidenti sono scoppiati
in Cisgiordania: almeno 17 i feriti. Ma è un bilancio destinato a
salire, perché in serata gli scontri sono proseguiti. "Le autorità
israeliane devono cessare di utilizzare forza eccessiva contro i
manifestanti una volta per tutte. Il fatto che siano state usate
munizioni vere durante le proteste a Gaza e in Cisgiordania è
particolarmente scioccante. Secondo il diritto internazionale dei
diritti umani, la forza letale può essere utilizzata unicamente quando
le vite sono a rischio imminente, il che non è chiaramente il caso negli
esempi che abbiamo documentato", ha dichiarato Philip Luther, direttore
ricerca e advocacy per il Medio Oriente e l'Africa del Nord di Amnesty
International. "Il rispetto del diritto a manifestare pacificamente- ha
aggiunto è un obbligo vincolante per Israele e, anche laddove esploda la
violenza, le forze di sicurezza israeliane devono utilizzare la forza
minima necessaria per affrontarla, consentendo al tempo stesso il
proseguo di marce pacifiche e manifestazioni".
Hamas, che controlla Gaza, si era appellata per una nuova giornata di
protesta dopo la grande preghiera del venerdì. "La volontà del popolo
palestinese è più forte della volontà degli Stati Uniti e di Trump",
afferma uno dei leader di Hamas, Musheer al-Masri, a margine di una
delle manifestazioni. Ed è in questo clima di crescente tensione che
Betlemme si appresta a ospitare pellegrini cristiani che parteciperanno
alla Messa di Mezzanotte.
"La natività è segno di speranza – dice ad HuffPost il sindaco di
Betlemme Anton Salman – ma la speranza senza verità e giustizia rischia
di essere soffocata". Betlemme, con la sua Chiesa della Natività dista
meno di venti chilometri dal Santo Sepolcro nella Città Vecchia di
Gerusalemme. "Gerusalemme è fondamentale per la costruzione della pace,
è la chiave – annota Salman - e l'imposizione di una parte in causa
porterà all'odio e all'intensificazione del conflitto". Ma, aggiunge, "i
conflitti vanno risolti attraverso dialogo sincero, rispetto e
giustizia. Non con la violenza. La pace prevale se basata sul rispetto
dei diritti, non sulla legge del più forte".
Commenti
Posta un commento