Umberto De Giovannangel "Trump si è isolato da solo". Macron vede Abu Mazen, ma frena ...

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French President Emmanuel Macron (R) and Palestinian President Mahmoud Abbas deliver a press statement after a meeting at the Elysee Palace in Paris, France, December 22, 2017. REUTERS/Francois Mori/Pool
Lettera di Natale. Ma a spedirla non è un bambino. E a riceverla non è Babbo Natale, ma un signore, anche lui stagionato, che risiede alla Casa Bianca, Washington DC. "Non accetteremo alcun piano presentato dagli Stati Uniti". È la "promessa" fatta dal presidente dell'Autorità nazionale palestinese. Abu Mazen, nella lettera per il Natale ai Cristiani. Nella lettera, Abu Mazen che questa decisione è legata al "sostegno offerto dagli Stati Uniti a Israele e alla sua politica di colonizzazione", aggiungendo che il piano americano, evocato dall'amministrazione Trump, "non è basato sulla soluzione a due Stati sui confini del 1967, e non è basato sulla legge internazionale e sulle risoluzioni Onu".
Politica e religione s'intrecciano indissolubilmente, piaccia o no, quando si parla di Gerusalemme, che nel raggio di qualche centinaio di metri racchiude i luoghi sacri per tre grandi religioni monoteistiche. E per la cristianità quel luogo sacro è il Santo Sepolcro. Nel suo messaggio natalizio, Abu Mazen sostiene che il riconoscimento Usa su Gerusalemme come capitale di Israele rappresenta "un insulto a milioni di persone nel mondo ed anche alla città di Betlemme", aggiungendo che la mossa di Trump "ha incoraggiato l'illegale disgiunzione tra le due città sante di Betlemme e Gerusalemme, separate per la prima volta in oltre 2 mila anni di Cristianità".
La lettera di Natale anticipa l'incontro all'Eliseo tra Abu Mazen e il presidente francese Emmanuel Macron, il primo tra i leader europei ad aver commentato negativamente, "deplorevole" il termine utilizzato, l'annuncio ufficiale del 6 dicembre di Trump sul trasferimento dell'ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme, riconoscendo quest'ultima capitale unica e indivisibile dello Stato ebraico. Per Macron, gli Usa "si sono isolati da soli". La posizione di Parigi prevede la "soluzione dei due Stati" e "un accordo fra le parti su Gerusalemme". In questa fase, però, "decidere in modo unilaterale di riconoscere la Palestina è efficace? - si è chiesto il presidente francese in una dichiarazione congiunta con Abu Mazen - non credo. Perché si tratterebbe di una reazione alla decisione di Washington "che ha provocato problemi nella regione". Così facendo, ha aggiunto Macron, "risponderei con un errore simile, le scelte della Francia non devono essere decise sulla base di una reazione".
Il giorno dopo il voto dell'Assemblea Generale su una mozione che boccia la scelta Usa su Gerusalemme (128 favorevoli, 35 astenuti e 9 contrari) la comunità internazionale fa i conti con una frattura difficile da ricomporre. E in Israele è il giorno della riflessione, anche autocritica. Il dibattito è aperto. "Il fallimento di Trump alle Nazioni Unite è un regalo fatto all'Iran. Perché la rottura determinatasi su Gerusalemme renderà ora molto più difficile la richiesta di Israele di un fronte comune contro la minaccia iraniana", rimarca nella sua analisi su Haaretz Zvi Bar'el, firma di punta del quotidiano di Tel Aviv. "In questo modo – aggiunge Bar'el con HuffPost - gli Stati Uniti lasciano spazio ad altri attori internazionali sullo scenario mediorientale. E questo dovrebbe, come Israeliani, preoccuparci".
Tra questi attori ve ne sono due particolarmente attivi: Vladimir Putin e Recep Tayyp Erdogan. Il presidente russo e il suo omologo turco nel corso di un colloquio telefonico avvenuto nella mattinata si sono espressi a favore della creazione di uno Stato palestinese, recita un comunicato del Cremlino. Putin ed Erdogan, "hanno confermato la loro volontà comune – prosegue la nota – di proseguire negli sforzi per una soluzione del conflitto israelo-palestinese sulla base delle norme del diritto internazionale e per la realizzazione del diritto del popolo palestinese ad uno Stato indipendente. Il vuoto lasciato dagli Usa viene subito riempito da Mosca ed Ankara. E dall'Iran. Un terzetto che intende ribadire la propria centralità nella determinazione dei nuovi equilibri di potenza in Medio Oriente. Ecco allora che nel giorno del patto Putin-Erdogan sullo Stato palestinese, l'annuncio che Russia, Turchia e Iran intendono riunire a Sochi, a fine gennaio, i rappresentanti di Bashar al-Assad e i ribelli in un vertice sulla Siria. Senza l'America (né l'Arabia Saudita). La forza di Putin e dei suoi, al momento, più stretti alleati risiede anche, e non poco, nella debolezza diplomatica dell'America fotografata da un voto che non si presta a equivoci.
I voti si contano e si "pesano" specie in occasioni come quella di ieri. Nonostante le minacce reiterate di tagliare i fondi ai Paesi che avessero contrastato la linea americana su Gerusalemme, a seguire Trump, oltre naturalmente Israele, sono stati: Guatemala, Honduras, Isole Marshall, Micronesia, Nauru, Palau, Togo. Insomma, non proprio giganti della geopolitica planetaria. E le cose, al di là del dato numerico, non cambiano poi tanto se si passa agli astenuti. Dell'Europa, si segnalano Repubblica Ceca, Romania, Ungheria, Polonia, Lituania e Croazia e tra Paesi di un certo peso, possono essere annoverati il Canada, l'Argentina e il Messico. Nessuno di questi Paesi, tranne il Canada, fa parte del G20. A voltare le spalle a Trump vi sono anche Paesi che pure condividono con gli Usa la comune minaccia nordcoreana: il Giappone e la Corea del Sud. I voti, almeno stavolta, non si comprano. Indicativo in proposito è il fatto che tra i primi 10 Paesi al mondo che percepiscono i maggiori aiuti americani, 9 (escluso Israele) non abbiano seguito Trump: Afghanistan, Egitto, Iraq, Giordania, Pakistan, Kenya, Nigeria, Tanzania, Etiopia.
A pesare nella determinazione degli orientamenti su Gerusalemme è stata certamente anche la diplomazia vaticana. La Delegazione della Santa Sede, intervenuta al dibattito in corso all'Assemblea generale dell'Onu sulla questione di Gerusalemme, ha ricordato "l'obbligo di tutte le Nazioni a rispettare lo storico status quo della Città Santa, in conformità con le relative Risoluzioni dell'Onu", avanzando la richiesta, riferisce Vatican News, di "una risoluzione pacifica che rispetti la natura di Gerusalemme, la sua sacralità e il suo valore universale".
La diplomazia non frena la violenza. In scontri succedutisi per l'intera giornata al confine tra la Striscia di Gaza e Israele, soldati israeliani hanno ferito mortalmente due giovani manifestanti palestinesi (fonte ministero della Sanità di Gaza). Altri incidenti sono scoppiati in Cisgiordania: almeno 17 i feriti. Ma è un bilancio destinato a salire, perché in serata gli scontri sono proseguiti. "Le autorità israeliane devono cessare di utilizzare forza eccessiva contro i manifestanti una volta per tutte. Il fatto che siano state usate munizioni vere durante le proteste a Gaza e in Cisgiordania è particolarmente scioccante. Secondo il diritto internazionale dei diritti umani, la forza letale può essere utilizzata unicamente quando le vite sono a rischio imminente, il che non è chiaramente il caso negli esempi che abbiamo documentato", ha dichiarato Philip Luther, direttore ricerca e advocacy per il Medio Oriente e l'Africa del Nord di Amnesty International. "Il rispetto del diritto a manifestare pacificamente- ha aggiunto è un obbligo vincolante per Israele e, anche laddove esploda la violenza, le forze di sicurezza israeliane devono utilizzare la forza minima necessaria per affrontarla, consentendo al tempo stesso il proseguo di marce pacifiche e manifestazioni".
Hamas, che controlla Gaza, si era appellata per una nuova giornata di protesta dopo la grande preghiera del venerdì. "La volontà del popolo palestinese è più forte della volontà degli Stati Uniti e di Trump", afferma uno dei leader di Hamas, Musheer al-Masri, a margine di una delle manifestazioni. Ed è in questo clima di crescente tensione che Betlemme si appresta a ospitare pellegrini cristiani che parteciperanno alla Messa di Mezzanotte.
"La natività è segno di speranza – dice ad HuffPost il sindaco di Betlemme Anton Salman – ma la speranza senza verità e giustizia rischia di essere soffocata". Betlemme, con la sua Chiesa della Natività dista meno di venti chilometri dal Santo Sepolcro nella Città Vecchia di Gerusalemme. "Gerusalemme è fondamentale per la costruzione della pace, è la chiave – annota Salman - e l'imposizione di una parte in causa porterà all'odio e all'intensificazione del conflitto". Ma, aggiunge, "i conflitti vanno risolti attraverso dialogo sincero, rispetto e giustizia. Non con la violenza. La pace prevale se basata sul rispetto dei diritti, non sulla legge del più forte".

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