Alberto Stabile Trasfigurazione e fine della questione palestinese

Non a caso, l'ambasciatore americano a Tel Aviv, David M. Friedman che è anche l'avvocato di Trump oltre ad essere un esponente di spicco della lobby americana dei coloni, ha preteso di proibire l'uso della parola “occupazione” nel linguaggio dei documenti ufficiali. Non ci sono libertà limitate e diritti fondamentali lesi per i palestinesi della West Bank, né insediamenti grandi come città e strade ad uso esclusivo dei coloni, posti di blocco asfissianti e muri di separazioni. Si comincia così, di solito. Prima si cancella la parola, poi si cancella il problema, cioè la realtà. Si dice che non esiste, che è un invenzione dei perfidi media. E alla fine c'è chi ci crede.
Già la scelta di Friedman come ambasciatore è un segno inequivocabile della profonda revisione che Trump avrebbe imposto alla posizione sul conflitto delle precedenti amministrazioni. Come presidente della Fondazione Amici di Beit El, Friedman è non tanto uomo di parte quanto parte in causa nella gestione di quell'insediamento.
Prima di essere nominato ambasciatore, la missione della fondazione guidata da Friedman è consistita, sul piano pratico, nel raccogliere fondi per Beit El, vale a dire uno degli insediamenti più ideologici creati dal movimento nazionalista e messianico dei coloni nella West Bank, ad un tiro di schioppo dal sovraffollato campo profughi di Jalazoun. Mentre sul piano politico, gli Amici di Beit El si battevano e si battono contro la soluzione dei Due Stati, vale a dire l'ipotesi accolta dalla quasi totalità della comunità internazionale, inclusi gli Stati Uniti (pre Era-Trump) come auspicabile conclusione del conflitto, e per l'annessione di larghi blocchi di insediamenti, annessione che, visti gli auspici provenienti da Washington, la destra israeliana ha messo sugli scudi dei suoi deputati alla Knesset. E questo nonostante l'amministrazione Obama abbia dichiarato gli insediamenti fuorilegge.
Anche il riconoscimento di Gerusalemme come capitale, “eterna, unita e indivisibile” dello Stato Ebraico, secondo la dizione della legge di annessione, da parte di Trump, in barba alle norme internazionali (Art. 40 della Convenzione di Ginevra) e alla posizione seguita dalle precedenti amministrazioni pretende di ignorare la realtà di una città divisa politicamente e culturalmente tra una maggioranza ebraica comprendente i due terzi della popolazione e una minoranza araba di un terzo, per sostituirla con l'invenzione di una Capitale Unita sulla base della considerazione pragmatica che Gerusalemme sarebbe stata la capitale d'Israele sotto qualsiasi tipo d'accordo di pace sarebbe infine intervenuto tra israeliani e palestinesi.
Si dice così anche per giustificare il continuo ampliamento dei maggiori insediamenti nei Territori occupati: tanto ricadrebbero sotto sovranità israeliana in qualsiasi caso, quale che sia l'esito finale del negoziato. Può darsi, ma affermarlo come precondizione, al solo fine di cambiare la realtà sul terreno, svuota e svilisce qualsiasi trattativa (che per altro non c'era e non c'è dal 2014) alla quale, dunque, viene sostituita la mera applicazione della legge del più forte.
Infine, se non c 'è l'occupazione dei territori conquistati da Israele col le guerre del 1948 e del 1967, inclusa Gerusalemme Est, dalla quale vennero sloggiate migliaia di persone, non ci sono neanche i rifugiati palestin
 esi provocati dalle due guerre e i loro discendenti (cinque milioni sparsi tra Libano, Siria, Giordania, West Bank e Gaza (un tempo si sarebbe aggiunto anche l'Iraq e i paesi del Golfo) contro i quali si accanisce in questi giorni non soltanto la scure di Trump ma anche il sarcasmo di Netanyahu.Il quale da anni chiede che l'Agenzia istituita nel 1949 per soccorrere i profughi palestinesi venga smantellata e, per così dire, dissolta nel Alto Commissariato dell'Onu (UNHCER) che si occupa di tutti i rifugiati, indistintamente.
Così, se dovesse esser imposto quest'indirizzo al governo del mondo, abolendo l'UNRWA si cancellerebbe ogni tipicità dei rifugiati palestinesi e, in definita, delle vicende storiche che li hanno prodotti. Ma Trump è andato anche oltre, tagliando la metà dei fondi americani destinati all'agenzia, salvo ulteriore riconsiderazione degli scopi e delle attività dell'agenzia stessa. Trump ha voluto punire, come fa intendere chiaramente l'inviata americana al Palazzo di Vetro, Nikky Haley, l'insubordinazione di Abu Mazen, l'attempato leader dell'Autorità Palestinese che ha revocato in dubbio la capacità di Trump di ricoprire il ruolo di “onesto mediatore” che gli Stati Uniti si sono assunti nel corso del negoziato, dopo il pasticciato riconoscimento di Gerusalemme capitale. Cioè, Trump, nell'urgenza di dare una risposta al contrasto politico sorto con Abu Mazen, è ricorso ad una sorta di punizione collettiva , inaccettabile per le conseguenze che può avere sul piano umano sui profughi la cui esistenza nei campi dipende dalle attività dell'Unrwa.
Ma già si alzano le voci di chi accusa Abu Mazen di non esser un partner d'Israele, dimenticando che nel 2003 fu Ariel Sharon, d'accordo con Goerge W.Bush ad imporlo come premier ad Arafat, di cui l'anno dopo, alla morte del leader, avrebbe preso il posto, Adesso anche Abu Mazen non esiste più

 

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