Cemento armato a Gerusalemme. Decenni di politica urbanistica aggressiva arma più efficace per Israele

Storia e mappe della trasformazione di fatto della città contesa in una "capitale unica e indivisibile". Il parere dell'esperto di urbanistica Francesco Chiodelli



Giulia BelardelliForeign News Editor

CemNessun posto al mondo concentra su di sé così tanti simboli e appartenenze come Gerusalemme. Città contesa, rivendicata, troppo spesso macchiata di sangue. Ma anche città immaginaria, utopistica, vessillo di una comunità internazionale che continua a rimanere ancorata a un confine – la Green Line - che di fatto non esiste più da decenni. Luogo santo per le tre più grandi religioni monoteiste - ebraismo, cattolicesimo e islamismo – Gerusalemme è considerata come la propria capitale sia dagli israeliani (che sono oggi il 63% della popolazione) che dai palestinesi (il 37%).

La città è divisa in due dal 1949, quando l'armistizio di Rodi sancì che Israele si tenesse la parte Ovest della città – che ancora oggi è totalmente israeliana e ricorda molto una città "occidentale" – mentre la Giordania, che durante la guerra arabo-israeliana aveva occupato parte di Gerusalemme e dell'odierna Cisgiordania, mantenesse il controllo della parte Est della città, quella palestinese. Fra Est e Ovest fu tracciato un confine - la "Linea Verde" appunto - che durò fino al 1967, quando Israele conquistò, con la Guerra dei Sei Giorni, diversi territori tra cui Gerusalemme Est. Da allora la Gerusalemme reale ha continuato ad allontanarsi da quella ideale, desiderata dal mondo arabo e riconosciuta dalla comunità internazionale.
Se la militarizzazione della Città Vecchia, abitata in maggioranza dagli arabi, è visibile a occhio nudo da qualsiasi turista o pellegrino, più complesse sono le conseguenze dell'occupazione israeliana sulla parte Est della città. Una prospettiva interessante da cui osservare la questione è quella dell'urbanistica, e in particolare delle politiche urbane messe in atto dalle autorità israeliane dal '67 in poi. La trasformazione dell'urbanistica israeliana su Gerusalemme è stata studiata a Francesco Chiodelli, professore associato in urbanistica presso il Gran Sasso Science Institute, che nel libro "Shaping Jerusalem: Spatial Planning, Politics and the Conflict", edito da Routledge, ha analizzato dati, mappe e tabelle che mostrano come, nel corso degli ultimi cinquant'anni, le politiche urbane di Israele abbiano ridisegnato il volto di Gerusalemme, cancellando nei fatti la "Linea Verde" che sulla carta dovrebbe dividere in due la città.
"Una guerra a bassa intensità, fatta di pietra e cemento, lunga esattamente mezzo secolo" dice il professor Chiodelli all'Huffpost. Una somma di scelte e azioni solo apparentemente tecniche, ma che in realtà hanno reso la città di fatto indivisibile ed ebraica.
"In cinque decenni – spiega - le autorità israeliane hanno costruito a Gerusalemme Est una serie di quartieri destinati esclusivamente alla popolazione ebraica, che oggi ospitano circa 200mila persone, vale a dire il 40% della popolazione ebraica della città. Si tratta in quasi tutti i casi di quartieri di 'edilizia pubblica', ossia costruiti direttamente dalle autorità israeliane o fortemente supportati da esse (per esempio tramite finanziamenti pubblici), che sono stati realizzati quasi sempre su terre espropriate a proprietari palestinesi. In questo modo, nel silenzio quasi completo della comunità internazionale, Israele ha messo in campo un formidabile processo in grado di trasformare un'aspirazione politica – quella dell'indivisibilità e dell'ebraicità di tutta la città – in un dato di fatto".Da un lato la "ebraizzazione" di Gerusalemme, dunque, dall'altro la sua "de-arabizzazione", secondo un duplice processo già descritto da Oren Yiftachel, professore israeliano di geografia politica all'Università Ben Gurion del Negev. All'indomani della conquista militare del '67, la priorità delle autorità israeliane divenne la materializzazione di quella conquista. Ebbe così inizio una azione a bassa intensità, fatta a colpi di interventi urbani, il cui scopo fondamentale era materializzare la conquista di Gerusalemme Est. L'imperativo, soprattutto negli anni '70 e '80, era costruire il più velocemente possibile, occupare con il cemento israeliano le terre che via via venivano espropriate ai palestinesi.
Si è trattato – spiega il ricercatore italiano – di una "miriade di azioni minute" che prese singolarmente possono sembrare insignificanti e prive di conseguenze politiche, ma che in realtà hanno cambiato in profondità la materialità della città"."La demolizione di una casa palestinese, la costruzione di un condominio per famiglie ebraiche, l'esproprio di un terreno arabo, la realizzazione di una tramvia che collega est e ovest della città, la negazione di un permesso di edificazione a una famiglia palestinese...". Sono questi i piccoli passi che, ripetuti per 50 anni, hanno allontanato la Gerusalemme reale da quella ideale, a cui sono rimasti ancorati sia i palestinesi che la comunità internazionale. Il punto – spiega Chiodelli – è che tutti questi interventi di politica urbana hanno "cancellato la divisione fisica tra Gerusalemme Ovest, la città ebraica, e Gerusalemme Est, la città araba". Con il risultato che la famosa "Linea Verde" che sulla carta dovrebbe dividere le due città (e che è il confine ufficialmente riconosciuto come legittimo dalla comunità internazionale) semplicemente non esiste più.
Lo sviluppo dei quartieri ebraici a Gerusalemme Est ha fatto nascere una rete urbana fatta di servizi e infrastrutture a uso esclusivo della popolazione ebraica. "Ormai a Est vivono stabilmente 200mila israeliani... l'idea di spostarli per tornare al confine 1967 è semplicemente impensabile il che rende Gerusalemme di fatto indivisibile", argomenta il ricercatore.
A essere estranei alla città, ormai, sono i quartieri palestinesi, ridotti a enclave terribilmente povere e degradate. I quartieri palestinesi – afferma Chiodelli – "sono diventati dei veri e propri ghetti, poveri, sovraffollati e privi dei servizi pubblici necessari: sono ormai isole aliene all'interno del mare della città israeliana".Nel 2000, cioè a partire dall'inizio della seconda "intifada", Israele ha iniziato a costruire dei lunghi tratti di recinzione a difesa delle proprie colonie, cioè degli insediamenti costruiti da israeliani in Cisgiordania e nella periferia di Gerusalemme a partire dalla fine del conflitto del 1948 fino ai giorni nostri. Il lavoro di bisturi delle autorità israeliane su Gerusalemme è visibile anche seguendo il profilo del muro israeliano. "Osservandolo dall'alto – spiega Chiodelli - si vede che Gerusalemme Est è l'unico punto in cui la barriera israeliana corre a volte all'interno dei quartieri arabi, tagliando fuori circa il 15% della popolazione palestinese. Fuori dalla città, il muro si snoda in un'operazione che sembra tagliata col bisturi: la barriera è cucita attorno agli agglomerati ebraici e taglia fuori ciò che è palestinese".Il professore insiste ancora sui numeri. "A dimostrare la scientificità con cui Israele ha condotto, tramite l'urbanistica, il duplice processo di ebraizzazione e de-arabizzazione di Gerusalemme sono i numeri: dal '67 la popolazione araba è cresciuta di circa 215.000 unità; in tutti questi anni ha ottenuto solo 4.300 permessi di costruzione, uno ogni 50 abitanti. Un dato che dimostra come, a Gerusalemme Est, per gli arabi l'abusivismo edilizio non possa che essere la norma". Un altro dato interessante riguarda l'allocazione del budget municipale: "oggi al 37% della popolazione araba viene destinato solo il 10-15% del budget, e siamo in un periodo 'positivo' rispetto al passato, quando queste risorse erano ancora minori", sottolinea Chiodelli.
Il discorso sulle politiche urbane e territoriali è legato a doppio filo a quello della demografia. Negli ultimi anni la popolazione araba è cresciuta di più di quella ebraica, e questo dato preoccupa le autorità israeliane: nel '67 gli ebrei erano il 74%, gli arabi il 26%; oggi gli arabi sono il 37%, gli ebrei il 63%. "Lo spauracchio ebraico – afferma Chiodelli – è che la popolazione araba superi quella ebraica. Nei documenti urbanistici questa preoccupazione è messa nero su bianco: si parla proprio di 'mantenimento dell'equilibrio demografico'. L'urbanistica è un elemento di controllo politico della demografia: se non hai una casa, è più difficile mettere su famiglia; se hai a disposizione molte case a un costo contenuto, è tutto più facile".
Il risultato di questa strategia urbanistica è politicamente dirompente: cambiando la struttura fisica della città, infatti, le autorità israeliane hanno creato un nuovo vincolo materiale alle opzioni concretamente a disposizione alla politica. Volenti o nolenti, Gerusalemme è già oggi unita e indivisibile.

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