Due giovani palestinesi uccisi e 1.122 case per coloni in più



Israele giustifica la nuova ondata espansionistica con l’uccisione del colono Shevah. Ma la posizione delle unità abitative che nasceranno mostrano l’intenzione di impedire uno Stato palestinese
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Israele giustifica la nuova ondata espansionistica con l’uccisione del colono Shevah. Ma la posizione delle unità abitative che nasceranno mostra l’intenzione di impedire uno Stato palestinese
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della redazione
Roma, 12 gennaio 2018, Nena News – Un’altra notte di scontri nella città di Nablus, ancora sotto la pressione dell’esercito israeliano alla caccia dei responsabili della morte del rabbino colono Raziel Shevah. Ieri notte i palestinesi hanno risposto alle perquisizioni dell’esercito israeliano lanciando pietre, la reazione dei soldati è stata il lancio di gas lacrimogeni e granate stordenti.
Ma ieri la giornata è stata segnata anche da due morti, di nuovo di due giovanissimi, uccisi dal fuoco sparato dall’esercito israeliano in Cisgiordania e a Gaza. Entrambi 16enni. Il primo è stato ucciso a est del campo profughi di Burij, nella Striscia, colpito al petto durante una protesta. Tre i feriti, con i soldati che hanno giustificato la reazione letale con “la minaccia” che i manifestanti rappresentavano.
Il secondo ragazzo è morto a Iraq Burin, villaggio a sud di Nablus. L’esercito ha aperto il fuoco ad un checkpoint improvvisato fuori dalla comunità, dopo che un gruppo di giovani hanno lanciato pietre contro i soldati. Checkpoint, controlli, raid e perquisizioni notturne stanno accompagnando i palestinesi da giorni ormai, dall’uccisione di Shevah, rabbino 35enne residente nella colonia di Havad Gilad. Molte strade sono state chiuse, rendendo ancora più difficile la vita quotidiana di migliaia di persone che si sono visti chiudere dentro villaggi letteralmente sotto assedio.
Non è la sola reazione israeliana. Di misure pesanti ne arrivano anche dai vertici governativi che come spesso accade utilizzano un atto di violenza come giustificazione a politiche radicate e presistenti: dopo la minaccia di espandere le colonie come risposta alla morte del rabbino, ieri l’Amministrazione Civile israeliana – l’ente che si occupa della “gestione” degli affari civili nei Territori occupati – ha dato l’approvazione finale alla costruzione di 352 nuove case per coloni in Cisgiordania e proseguito nella definizione del piano per altre 770 unità abitative. Un totale di 1.122 abitazioni nelle colonie che non hanno l’obiettivo di punire la popolazione palestinese per l’uccisione di un colono, ma che sono la naturale prosecuzione di una politica avviata decenni fa, di colonizzazione graduale e incessante dei Territori.
Cosa cambia stavolta? Come sottolinea Hagit Ofran, portavoce dell’associazione di monitoraggio israeliana Peace Now, gli ultimi annunci non riguardano colonie che si trovano lungo la Linea Verde, il confine ufficiale tra Cisgiordania e Israele, come spesso accade. Ma colonie che si trovano nella Cisgiordania orientale, dunque più profonda, chiara spia di un’altra tendenza radicata: se da una parte le colonie lungo il confine sono tese all’annessione attraverso il percorso del muro, quelle interne hanno l’obiettivo di spezzettare ulteriormente il territorio palestinese e creare corridoi da ovest a est che dividono in due la Cisgiordania. Ovvero, dice Ofran, “luoghi che Israele dovrebbe evacuare nel caso di accordo di pace, che significa che il governo sta dunque impedendo il raggiungimento di una soluzione”. Nena News

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