Fulvio Scaglione : Ha vinto Israele, la Palestina è morta. Ma è adesso che cominciano i guai veri
Ieri bastava guardare su Internet per averne la dimostrazione
plastica. A Gerusalemme, il vice presidente Usa Mike Pence si diceva
felice di essere “nella capitale di Israele”. E quando alla
Knesset, il Parlamento, i deputati arabi ha provato a contestarlo, la
sicurezza li ha ramazzati via dall’aula tra gli applausi dei loro
“colleghi”. Nelle stesse ore, Abu Mazen, a Bruxelles, chiedeva alla Ue
di riconoscere lo Stato di Palestina in maniera definitiva, e non solo
“in linea di principio” come già fatto nel 2014. Forse ignaro
del fatto che in Europa solo 5 nazioni hanno fatto quel passo e,
soprattutto, inconsapevole della triste realtà: più è cresciuto il
numero dei Paesi che hanno riconosciuto la Palestina (siamo a 130), più è
cresciuto il controllo di Israele sulla Palestina stessa.
Controprova: più cala il sostegno diplomatico a Israele (la mozione di
condanna della decisione Usa su Gerusalemme è stata respinta da soli 7
Paesi, in maggioranza scartine), più aumenta il potere di Israele sui
palestinesi.
Povero Abu Mazen. Povero vecchio e corrotto leader, che
piatisce un riconoscimento presso quella stessa Ue che mise Tony Blair,
invasore e distruttore dell’Iraq e responsabile di decine di migliaia di
morti, a guidare dal 2007 al 2015 quel Quartetto (Usa, Russia, Ue e
Onu) che doveva portare la pace tra gli israeliani e gli arabi
palestinesi.
Quindi, diciamolo senza ipocrisie: la causa palestinese è
politicamente morta. È meglio saperlo. Per non farsi illusioni. Per non
continuare a credere in quella finzione chiamata diritto internazionale e
nella sequela di risoluzioni contro le azioni di Israele con cui l’Onu
si è riempito la bocca senza cavare un ragno dal buco. D’altra parte la creazione di uno Stato non è mai questione di diritto ma di forza.
Israele non è nato perché gli ebrei avevano diritto a tornare a casa ma
perché il Regno Unito negli anni Dieci aveva la potenza necessaria a
imporre la loro presenza in Palestina. Il Kosovo uguale. Transdnistria,
Ossetia del Sud e Abkazia idem. La Cecenia non ce l’ha fatta perché non
ne aveva la forza. I Royingha, presi a calci nel sedere in Asia, stanno
ancora peggio dei ceceni degli anni Novanta, anche se uno dei regni più
antichi della regione era proprio il loro.
La causa palestinese è finita perché non ha la forza per imporsi. Perché è stata via via abbandonata da tutti, in primo luogo dagli ex amici arabi del golfo Persico, che si sono trasferiti armi e bagagli sul lato di Israele e degli Usa. E non è che ci sia molto altro di dire.
Qualcuno può forse esultare, di fronte a questa situazione. Non noi. E per molte ragioni. La prima è questa: se la causa palestinese è finita, certo non sono finiti i palestinesi.
Che vogliamo fare di questa gente, di questo popolo? Israele si affanna
da decenni a portar loro via ogni pezzo di terra fertile e non dice che
cosa dovrebbero succedere alle persone. I palestinesi (4
milioni tra Gaza e Cisgiordania, più almeno altri 2 milioni di Israele)
saranno inglobati in un solo Stato ebraico? No, perché diventerebbero
maggioranza e addio Stato ebraico, visto anche che l’aliya (la “salita a
Israele”) ristagna da tempo e se non fosse stato per la dissoluzione
dell’Urss… Saranno sterminati? Certo che no. Saranno forse trasferiti sulla Luna?
Israele non dice che cosa ha in mente. Qualcuno mormora: tutti i palestinesi in Giordania, dove peraltro il 70% della popolazione è di origine palestinese.
Un film già visto, che portò al Settembre Nero del 1970, con stragi e
ulteriori esili. Un altro terremoto per il Medio Oriente che, però,
potrebbe fornire a Israele l’occasione di un’ulteriore espansione.
Tumulti ai confini, ragioni di sicurezza, Stato in pericolo. Un piccolo
sconfinamento qui, una base là, un insediamento un po’ più giù, e la
storia degli ultimi decenni si ripeterebbe un po’ più a Est. Perché non
c’è nulla che faccia venir voglia di vincere come vincere, si sa. Oltre,
naturalmente, ad avere la forza per battersi.
Chi oggi esulta, dunque, pensi a domani. Ci pensi
bene. E provi a mettersi nei panni di un politico dell’Iran o della
Siria. Al loro posto non la vorreste una bomba atomica, giusto per
essere sicuri di non fare la stessa fine dei palestinesi, o di chiunque,
da Saddam a Gheddafi, si trovi di colpo a intralciare i piani di
qualcuno più grosso di lui?
Se la causa politica palestinese è morta, il miglior modo di
agire non sta nel far finta che sia ancora viva. Sta nel porre un
problema politico a Israele. Lo Stato ebraico deve dire che
cosa vuol fare delle persone, visto che la terra se l’è già presa quasi
tutta. Spieghi e presenti un piano credibile, anche dal punto di vista
dei diritti umani. Perché è piuttosto insopportabile che oltre sei
milioni di palestinesi siano, di fatto, nelle mani di Netanyahu e
l’Occidente, sempre così affannato a trafficare coi diritti e con la
libertà in giro per il mondo, si contenti di produrre quattro documenti e
versare quattro soldi a un manipolo di dirigenti palestinesi corrotti
pur di sentirsi a posto e i poter girare la testa dall’altra parte.
Dalla parte da dove arrivano i contratti e gli affari
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