Nicola Pedde :La scintilla di Ahmadinejad è sfuggita di mano

 
 
 
 
Corruzione, scandali politici, truffe ai risparmiatori, ricostruzione post-terremoto. Le proteste in Iran hanno radici economiche, non politiche
huffingtonpost.it
 
 Le proteste in Iran hanno radici economiche, non politiche.
Le violente dimostrazioni scoppiate in Iran nel corso degli ultimi giorni sono il prodotto di una complessa concatenazione di eventi che, seppur prevedibili ed in un certo senso annunciati, hanno in ogni caso colto di sorpresa non solo gli analisti occidentali, ma anche le stesse autorità politiche della Repubblica Islamica dell'Iran.
A dispetto dei toni adottati da buona parte della stampa internazionale, tuttavia, la dimensione degli eventi in corso in Iran è – almeno al momento – collocabile nell'ambito della protesta, più che della rivolta, in questa fase riconducibile ad una miscela di sentimenti generati dalla crisi economica, dalla frustrazione nel rapporto con gli Stati Uniti ma anche dalle crescenti diatribe politiche e giudiziarie interne al paese.
Ahmadinejad sotto accusa.
L'antefatto di questa crisi è riconducibile allo scandalo finanziario emerso nel 2011, che ha portato alla fuga e al successivo arresto di alcuni imprenditori e banchieri iraniani di spicco, accusati di aver operato una truffa ai danni dello Stato del valore di circa 2,8 miliardi di dollari, attraverso la produzione di documenti falsi con i quali hanno poi ottenuto crediti dalle banche per l'acquisizione di industrie statali illegalmente avviate alla privatizzazione.
Uno scandalo che ha portato al successivo arresto di numerosi imprenditori e uomini di finanza, tra cui Mahmoud Reza Khavari, ex direttore generale della Bank Melli prontamente fuggito in Canada, e Bababk Zanjani, imprenditore multimilionario arrestato e successivamente condannato a morte.
Queste operazioni illecite vennero condotte nel corso del secondo mandato presidenziale di Mahmood Ahmadinejad, e alcuni dei suoi più stretti collaboratori sono stati arrestati o indagati per concorso in corruzione, stringendo sempre più il cerchio delle responsabilità che, secondo molti, sono direttamente riconducibili all'ex presidente.
Tra i principali detrattori di Mahmood Ahmadinejad c'è il ministro della giustizia Sadegh Amoli Larijani, ma anche la stessa Guida Ali Khamenei ha più volte espresso critiche sull'operato e la trasparenza dell'ex presidente, scoraggiandone apertamente la ricandidatura alle ultime elezioni presidenziali (dove venne infatti squalificato dal Consiglio dei Guardiani).
Lo scorso 27 dicembre, la Guida ha nuovamente attaccato Ahmadinejad nel corso di una cerimonia pubblica del Consiglio di Coordinamento per la Propagazione Islamica, sostenendo che "coloro che hanno avuto tutte le istituzioni e le risorse economiche del Paese sotto il loro controllo non hanno titolo per giocare il ruolo delle opposizioni, mentre dovrebbero essere piuttosto chiamati a rispondere delle proprie responsabilità". Un'accusa diretta e particolarmente grave, che si inserisce nel quadro di una crescente pressione del Ministero della Giustizia nei confronti dell'ex presidente Ahmadnejad e dei suoi più stretti collaboratori, che in molti ritengono possa trasformarsi a breve in un vero e proprio caso giudiziario.
Le proteste in corso in Iran sono invece iniziate il 28 dicembre scorso, propagandosi inizialmente nelle città del nord come Mashad, Rasht, Kermanshah e alcuni centri minori, attraverso una combinazione di meccanismi che non in pochi hanno ricondotto alla capacità di influenza dell'ex presidente Ahmadinejad, che ha costruito il suo potere proprio sulla capacità di favorire l'economia e le rendite di posizione soprattutto dei dipendenti pubblici di queste città, conquistandone in tal modo la fiducia e il sostegno.
La ragioni della protesta.
Se un ruolo non irrilevante nella genesi delle proteste in atto può essere riconosciuto ad Ahmadinejad e alla sua non trascurabile base di sostegno politico, è tuttavia doveroso individuare le molte altre concause che hanno contribuito alla crescita e alla diffusione del fenomeno, individuando responsabilità che non risparmiano nemmeno il presidente Rohani.
Molti piccoli episodi hanno contribuito a determinare la rabbia della popolazione, spingendola poi nelle strade e nelle piazze. Tre finanziarie private, ad esempio – la Samen Alhojaj, la Caspian Financials e la Aman Financial Institution – sono di fatto fallite nelle scorse settimane, e i risparmiatori chiedono oggi la restituzione delle somme investite, accusando il governo di collusione con i vertici delle istituzioni finanziarie. Tutte e tre le finanziarie offrivano ritorni sugli investimenti a dir poco esorbitanti, attraendo in tal modo migliaia di risparmiatori in quella che sembra delinearsi a tutti gli effetti come una truffa sul modello delle ben note "piramidi finanziarie". Ciononostante, i risparmiatori truffati non accettano accuse di dabbenaggine e chiedono al contrario alle istituzioni pubbliche di far fronte ai debiti accumulati dalle finanziarie.
Nelle aree recentemente colpite dal terremoto la protesta prende invece corpo intorno alle migliaia di persone che hanno perso la propria abitazione in conseguenza del sisma, e che oggi accusano il governo e le società immobiliari che hanno realizzato gli immobili (alcune riconducili alla struttura economico-finanziaria della Sepah-e Pasdaran) non solo di inefficienza nei soccorsi, quanto soprattutto di frode nelle modalità di realizzazione degli immobili, rivelatisi non anti-sismici.
In buona parte delle città settentrionali interessate dalle proteste, invece, la popolazione ha soprattutto accusato il governo Rohani di inefficienza, corruzione e abbandono, dopo anni di promesse che non si sono mai concretizzate. È la disoccupazione il principale motore del malcontento, che soprattutto nelle città di provincia e nelle fasce giovanili raggiunge percentuali elevatissime, ormai difficilmente sostenibili.
A questo si aggiunge il malcontento per la dilagante corruzione, per i numerosi scandali che interessano le èlite politiche ed economiche del paese, attraverso un susseguirsi di scandali che una stampa articolata ed eterogenea non manca di commentare e condannare, nel perenne dualismo tra le forze conservatrici e quelle di ispirazione pragmatico-riformista.
Ultimo, ma non certo meno rilevante, ad alimentare la protesta e il malcontento verso la gestione politica e amministrativa del presidente Rohani possono essere individuati alcuni centri del sistema politico più conservatore. In questo ambito trovano quindi spazio sia figure dell'apparato politico-economico, interessate a screditare le politiche di apertura alla comunità internazionale e soprattutto il JCPOA, sia esponenti del sistema clericale come ad esempio l'Ayatollah Hossein Noori Hamedani, che ha prontamente sostenuto i manifestanti nell'ottica di indebolire il programma politico del presidente.
Attraverso questo meccanismo di propagazione, quindi, la protesta è arrivata ben presto nelle strade della capitale, interessando anche in questo contesto gruppi molto diversi tra loro per estrazione ed approccio ideologico. Le motivazioni che spingono quindi anche un numero non indifferente di abitanti di Tehran alla protesta sono essenzialmente connesse ad una vasta quanto eterogenea radice, genericamente riconducibile al generale malcontento per la crisi economica, la perdurante stasi del JCPOA e la contestuale aspettativa sugli investimenti stranieri che non arrivano in Iran, la dilagante corruzione e una generale inquietudine sul piano della politica estera e soprattutto regionale.
Su quest'ultimo punto è da segnalare come, per molti iraniani, se da una parte l'Iran ha dimostrato di saper gestire i propri interessi politici e militari nella regione (sconfiggendo lo Stato Islamico, difendendo Bashar al-Asad al potere e ristabilendo il controllo governativo in Iraq), dall'altra parte queste vittorie militari e politiche non hanno portato né stabilità, né pace, nella regione, determinando anzi la sensazione di una crescente tensione con gli Stati Uniti e gli attori regionali, potenzialmente atta a determinare un nuovo quanto devastante conflitto.
Le dinamiche della crisi.
Un fattore di particolare interesse nell'analisi delle proteste in atto è rappresentato dalla natura assolutamente acefala dei fenomeni di piazza. L'insieme degli eventi che caratterizza le tensioni di questi giorni in Iran è determinato quindi dalla sommatoria di molte diverse e del tutto distinte proteste, alimentate da sorgenti diverse tra loro e solo in parte riconducibili a volontà o capacità politiche particolari.
Se alcuni di questi fenomeni sociali possono essere idealmente riconducibili all'attività delle forze politiche d'opposizione – o quelle ultra-radicali dell'ex presidente Ahmadinejad nell'intento di provocare disordini che possano impedire l'azione della giustizia nei suoi confronti – è altrettanto evidente che molte altre attività non hanno alcun legame, né ideologico né motivazionale, con tali forze o gruppi di interesse.
In tal modo, quindi, sembra potersi delineare un quadro nell'ambito del quale, a fronte dell'iniziativa di alcuni gruppi politici interessati a screditare la politica dell'esecutivo presieduto da Rohani, una pluralità di sentimenti e recriminazioni sociali ha trovato il modo di veicolare una protesta diffusa quanto articolata, che dalle periferie del paese si è ben presto spostata in direzione della capitale.
Una manovra maldestra delle opposizioni, quindi, grazie alla quale un insieme ben più vasto ed eterogeneo di istanze economiche e sociali ha preso la strada della pubblica protesta, non certo in supporto delle posizioni conservatrici quanto piuttosto nel quadro di una generale e del tutto indipendente forma di contestazione.
La natura del sentimento che ha spinto e continua a spingere migliaia di iraniani nelle strade è quindi di tipo socio-economico, senza di fatto un'agenda di natura politica, come ben dimostra l'assenza di una leadership.
Molti iraniani, in sintesi, protestano perché si sentono traditi dalle istituzioni che non hanno saputo portare i benefici promessi in sede di campagna elettorale, sommando a queste ragioni l'insieme dei tanti problemi che caratterizza la società iraniana odierna, come la disoccupazione, la corruzione e l'emergenza abitativa nelle grandi città. Un collettore di protesta, quindi, alimentato inizialmente dalle opposizioni per ragioni di interesse squisitamente di fazione, e sfuggito di mano portando sul tavolo della politica le molte ragioni del malcontento popolare. Un sentimento generale, quindi, che non è diretto solo contro Rohani e il suo esecutivo, ma anche – e forse soprattutto – verso quelle componenti del sistema di riferimento dell'ambito conservatore che nell'immaginario collettivo rappresenta l'ostacolo ad ogni ipotesi di modernizzazione e sviluppo del Paese.Nicola Pedde
 

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