La storia di Hossein Sardari, lo “Schindler iraniano”



In una recente pubblicazione viene ritracciata la storia poco conosciuta di uno di quei “giusti tra le nazioni” che durante le tenebre della seconda guerra salvarono le vite di ebrei innocenti.
Nel suo ultimo libro, lo studioso americano Fariborz Mokhtari, dipinge il ritratto dell’iraniano Abdol-Hossein Sardari. All’inizio della seconda guerra mondiale, Sardari, educato in Svizzera, giovane e bohemien, si trovò, improvvisamente catapultato nella delegazione diplomatica iraniana a Parigi. Dopo gli strani giorni della “drôle de guerre”, i tedeschi, attaccando sulle Ardenne, lanciavano la loro micidiale Campagna di Francia. Solo un mese dopo Sardari poteva vedere le truppe della Wehrmacht sfilare, la svastica svettante, sugli Champs Elysées. Era l’inizio dell’occupazione nazista. Alla fine delle ostilità, in Francia sarebbero morti quasi ottantamila ebrei
Sardari, come il più celebre Oskar Schindler, imprenditore tedesco e giusto tra le nazioni, eternato da un celebre film hollywoodiano, mise in opera tutto il suo potere per salvare delle vite umane. All’epoca una piccola comunità di ebrei iraniani viveva a Parigi e nei dintorni della capitale, membri di una delle più antiche comunità israelite già menzionata nei libri biblici. Malgrado la tacita alleanza che legava la Germania e l’Iran (in nome, tra l’altro, della presunta comune appartenenza alla “razza ariana”), il giovane diplomatico riuscì a eludere lo zelo omicida nazista, fornendo a centinaia di ebrei i documenti che permisero a questi di sfuggire dalla morsa dell’Europa occupata. Durante gli anni della Parigi nazista, la Gestapo veniva immediatamente avvertita quando un neonato ebreo era circonciso in ospedale. Le famiglie venivano allora costrette a portare la stella di Davide sui loro abiti ed avere documenti che specificassero la loro identità. In quegli anni Sardari riuscì ad adoperare la sua influenza per ottenere dispense dalle leggi razziali per centinaia di persone.
Il giovane diplomatico sosteneva che gli ebrei iraniani non avevano legami di sangue con l’ebraismo europeo. In una serie di lettere e documenti raccontò alle autorità nazista che l’imperatore persiano Ciro aveva liberato gli ebrei in esilio nel 538 avanti Cristo e che questi erano tutti tornati in Palestina. Solo più tardi un certo numero di iraniani avevano trovato interessanti gli insegnamenti di Mosè, decidendo di seguirne la legge. Questi seguaci di Mosè iraniani non potevano, sosteneva Sadari, essere considerati ebrei. I cosiddetti ebrei iraniani, disse inventando una categoria inesistente, erano Djuguten, una setta che non apparteneva in nessun modo alla razza ebraica. Sfruttando i suoi talenti di avvocato, Sardari continuò a poter operare fino a quando l’architetto della Soluzione Finale in persona, Adolf Eichmann, bollò questa storia come “i soliti trucchi ebraici”. Qualche tempo dopo Sardari fu richiamato in patria, a Teheran, ma decise di restare a Parigi. Adoperando il suo denaro, e le conoscenze acquisite, a rischio costante della sua vita, continuò la sua opera di giusto salvando centinaia di ebrei.
Durante la sua vita Sardarì non tentò mai di far riconoscere la sua azione. E’ morto solo, in un monolocale di Londra, nel 1981, dopo che la rivoluzione iraniana gli aveva tolto tutto.



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