Tunisia :Ennahda e la posizione dei salafiti

1  Added by Alessandra Cimarosti on 13 giugno 2012.


Dar AlHayat (13/06/12). Traduzione di Alessandra Cimarosti.


Il governo tunisino guidato dagli islamisti di Ennahda sta affrontando una sempre più crescente sfida con le correnti dei salafiti e dei jihadisti. Gli attivisti di queste correnti cercano di cambiare ciò che considerano negativo e che ha portato a ripetuti scontri con le forze di sicurezza (l’ultimo dei quali è avvenuto nella notte tra lunedì e martedì) in numerosi quartieri della capitale, sullo sfondo delle proteste contro la Mostra d’Arte Figurativa, considerata dagli islamisti come qualcosa di offensivo contro la religione.


Questi scontri, secondo quanto riportato dalla France Press da fonti del Ministero della Salute tunisino, hanno portato all’arresto di quasi 100 persone e un centinaio di feriti tra civili ed elementi della sicurezza, dall’inizio delle violenze.


Ennahda sembra sostenere la posizione dei salafiti riguardo al rifiuto della violazione del sacro, ma allo stesso, tempo rifiuta l’uso della violenza per esprimerlo.


Ennahda in un comunicato su internet, ha annunciato che “condanna le odiose e ripetute offese contro le proprie credenze” in chiaro sostegno alle posizioni salafite riguardanti la Mostra di Arte Figurativa, organizzata domenica a La Marsa, a nord della capitale tunisina, nella quale è stato esposto un dipinto di una donna nuda. Ennahda ha sottolineato l’importanza di non confondere la libertà di espressione – che è un diritto di tutti i tunisini – con gli insulti al sacro, questione rifiutata da tutte le leggi e da tutte le religioni. Ha poi criticato ciò che ha definito “posizioni equivoche” di personalità politiche tunisine riguardo a questo argomento e ha invitato “i componenti della società civile a rifiutare con forza e in modo evidente qualsiasi violazione del sacro e a non cadere nella trappola della violenza, impegnandosi con vie e mezzi pacifici per esprimere le proprie posizioni”.


La France Press ha riportato che Lotfi Hidouri, responsabile dell’Ufficio delle comunicazioni del Ministero dell’Interno “finora ha arrestato 90 persone appartenenti alla corrente salafita jihadista e altri con precedenti penali, coinvolti negli atti di violenza” e ha aggiunto che la campagna di arresti continua nei luoghi nei quali si sono verificati i disordini e gli atti di vandalismo.


Abu Ayoub, considerato uno dei più importanti leader salafiti jihadisti in Tunisia, ha invitato i tunisini, in un video su Facebook, ad “insorgere” dopo la preghiera del venerdì, in risposta a coloro che ha definito degli “apostata”, i quali hanno “deriso la nostra religione”; ha continuato dicendo che questo fenomeno “aumenta giorno dopo giorno”. Ha poi attaccato il governo di Jibali e il presidente tunisino Moncef Marzouki, descrivendolo come “apostata” e ha concluso che il governo “è rimasto in silenzio nella difesa dell’Islam”.



2



DOMENICA 16 OTTOBRE 2011



TUNISIA, IL SALAFISMO ESCE DALL’OMBRA


Tunisi, 16 ottobre 2011, Nena News – Si vive a disagio nella Tunisia di questi giorni. La dimensione della polemica sulla diffusione del film “Persepolis” o il cosiddetto “caso Nessma” ha preso una misura francamente incomprensibile.

Human Rights Watch, dopo le “aggressioni” a Nessma Tv, aveva tuonato che bisogna riconoscere la libertà di espressione e si era scandalizzata dell’iniziativa di un gruppo di avvocati e di “cittadini comuni” che si erano costituiti parte civile, intentando una denuncia per “diffamazione della religione”. Continua qui
Nella Tunisia di questi giorni é calata una cappa soffocante di tensione e paura.
Non sono bastate le scuse pubbliche del direttore della rete Nabil Karoui, che, dopo aver denunciato atti di intimidazione, faceva una spettacolare retromarcia e dichiarava mercoledi in un’intervista alla radio Shams fm:“siamo tutti musulmani”.

Due giorni fa eravamo a Sidi Bouzaiz nel pieno della mobilitazione del “venerdì della rabbia”. Partendo dalla moschea principale della città, un corteo organizzato ha percorso tutto il centro della citta’ al grido di “Allah wa akbar”.
Anni fa era talmente raro trovare una donna velata, che se per caso la si vedeva passare te ne saresti accorto dalla curiosità dei passanti che, meravigliandosi, avrebbero esclamato: “sharqi”, orientale!


La vulgata ufficiale pretendeva che questi costumi non appartenessero alla tradizione del paese. Lo stato reprimeva chi si azzardava ad imitarli con la scusa che si trattava di segni di appartenenza politica. Che andassero questa gente a ricordarsi del romantico “sefseri”, il lungo abito bianco di cotone che usavano le brave nonne tunisine!


La donna tunisina non é mai stata emancipata, come lo pretendeva il “femminismo ufficiale” di matrice bourghibista. Non c’é mai stata in questo paese una rivoluzione di genere e neanche una presa di coscienza su larga scala. Erano gli uomini di solito a ripetere la cantilena: “ln Tunisia la donna é libera!”.


Eppure sbarcando a Tunisi venendo dal Medio Oriente si aveva un colpo d’occhio “spettacolare”. L’Avenue Bourghiba si presentava al visitatore straniero in un abito vanitoso. Le poliziotte che dirigevano il traffico con autorevolezza e disciplina facevano da cornice ad uno scenario degno di un paese che si voleva mostrare con un volto moderno.


Le ragazzine che passeggiavano con jeans attillati, sguardi ammiccanti, facevano degna concorrenza alle loro coetanee della riva opposta del mediterraneo.


Le donne si incontravano in tutti i settori pubblici: pubblico impiego, trasporto, medicina, insegnamento, persino tassiste. Il gentil sesso, insomma, senza aver mai fatto una lotta per l’emancipazione, e senza aver mai rivendicato un’autonomia contro la società patriarcale, sfruttava i vantaggi di una politica volontarista nel campo dell’uguaglianza delle opportunità.


Dall’apparenza brillante, questo sistema aveva dei limiti intrinseci. Primo fra tutti la colpa di basarsi sull’apparato ideologico del potere. In secondo luogo, non lasciando esprimere una reale cultura femminista, si applicava con l’uso indiscriminato della violenza poliziesca.


Le moschee, sotto la stretta tutela del Ministero degli affari religiosi, sceglievano gli imam che, nella predica del venerdì, dovevano fare atto di omaggio al presidente della Repubblica. I luoghi di culto venivano aperti soltanto durante le ore di preghiera ed era severamente vietato attardarsi o raggrupparsi nei suoi paraggi, fosse soltanto per commentare con amici le parole della preghiera.


Senza che ci fosse una legge esplicita, era di fatto vietato portare il velo o farsi crescere la barba come segno religioso distintivo. Negli anni bui della repressione (anni ’90) era rischioso persino portare nella borsetta un corano o un libro religioso. Anche quella era una forma di “ghorba” (estraniamento). Un paese che in casa viveva le pratiche religiose, ma che negli spazi pubblici poteva essere incriminato se lo dava a dimostrare.


Se questa era la Tunisia di ieri, è immaginabile lo shock quando, dopo il 14 gennaio, sono apparsi i salafiti in mezzo alle strade a gridare “Allah wa Akbar!” (Dio è grande).


Chi siano questi salafiti, tuttavia, nessuno lo sa. Il tunisino mediamente ignora la religione nella sua sofisticazione dottrinaria. Quando non praticava lo faceva per “ignoranza”, ora che pratica continua ad avere la stessa “ignoranza”. Non c’é stato nella società un recupero di spiritualità o di religiosità nel senso profondo del termine, così come prima non c’era stata una riflessione o una presa di coscienza della laicità.
Le donne velate in Tunisia non sono apparse dopo il 14 Gennaio. Era un fenomeno che covava sotto le ceneri, che già il regime di Ben Ali non riusciva più a contenere. Quando nel 2007 ci sono stati gli avvenimenti di Soliman, in cui un gruppo armato sbucato dal nulla, ha accettato uno scontro a fuoco con la polizia e di cui si disse che stava preparando degli attentati contro la Tunisia “miscredente”, il governo capì che come una pentola a pressione il paese rischiava di esplodere se lo si continuava a tenere sotto pressione. Da quel momento sempre più donne incominciarono a prendere il coraggio ad uscire per strada con il velo, finché con un decreto ad hoc il potere fece capire che avrebbe adoperato una maggiore tolleranza.


Il fenomeno del ritorno al religioso, nel suo aspetto esteriore, non é dunque una sorpresa dell’ultima ora. Quali siano le sue conseguenze sociali e politiche per il destino del paese é tuttavia un’incognita.


Dicevamo che di questi salafiti non si sapeva niente, e men che meno del fenomeno genericamente definito “islamista”. La sinistra ha incominciato a lanciare i suoi allarmi fin dall’inizio quando si é sentita invadere dal nuovo spazio pubblico conquistato da queste forze. Le ragazzine, che prima spavalde non temevano di mostrarsi nella loro civetteria (sempre proporzionata al contesto), incominciano a sentirsi più insicure e, soprattutto nei quartieri popolari, si sparge la voce che uomini con le barbe e le tuniche religiose intimano le donne di comportarsi da “brave musulmane”. Sono gli islamisti.


Inizialmente tutti puntano il dito contro il Nahdha: gli islamisti sono loro. Questi ultimi, temendo uno scenario all’algerina, tentano il più possibile di mantenere un basso profilo in attesa delle elezioni. Questo gli varrà l’accusa della sinistra che li taccerà di “doppio giochismo”.


Nelle loro dichiarazioni pubbliche i leader del movimento fanno di tutto per apparire moderati e responsabili, difendendo in ripetuti interventi pubblici lo statuto personale (considerato interpretazione legittima della sharia), la libertà e l’autonomia della donna nel mondo del lavoro e nella società, lo stato di diritto e la democrazia.


Dentro il movimento convivono diverse anime e la loro base sociale può estendersi certamente ad elementi (soprattutto giovanili) più estremisti; tuttavia l’opinione pubblica del paese, alla vigilia delle elezioni, riconosce il Nahdha come partito legittimo della nuova scena politica. A provarlo la posizione del partito islamista riguardo alle manifestazioni del “venerdì’ della rabbia”.


Rached Ghannouchi, a margine di un meeting elettorale tenutosi contemporaneamente alle manifestazioni di rabbia, dichiara che il Nahdha non é nei cortei. Dai commenti successivi appare addirittura che il partito di ispirazione islamica sposi, insieme alla sinistra, la teoria della strategia della tensione pre-elettorale. Nahdha si pone da partito responsabile ed invoca la cessazione delle agitazioni sociali.


In questo “venerdì della rabbia”, da Sidi Bouzid, c’é tanta gente “normale”. Ma a capeggiare i cortei sono le bandiere nere dei salafisti di “Hizb Attahrir”!


E’ una scena impressionante quella che ci si para davanti. Circa dieci mila persone, diligentemente organizzate ed attente a non far debordare il corteo, inneggiano slogan a favore di uno Dato islamico e dell’applicazione della sharia.


Amici locali che ci hanno accompagnato dicono che é stata toccata una sensibilità diffusa. Non c’entrano i salafiti, la religione é di tutti e ci sono dei limiti che non devono essere oltrepassati. Aggiungono, a dimostrazione della loro tesi, che tutti gli uffici pubblici della città si sono astenuti dal lavoro, in forma di disubbidienza civile (non sono stato tuttavia in grado di verificare questa informazione di cui nessun giornale ha parlato).


Eppure quella “gente nomale” che era scesa in piazza soltanto perché si era sentita offesa in una parte intima della sua sensibilità religiosa, lasciava che a condurre la piazza fosse “il partito della liberazione”.Quando si parla di Salafiti in Tunisia si parla di loro.


Ultimo nato della nebulosa islamista locale, pare che fossero presenti da lungo tempo ed agivano mimetizzandosi nei quartieri popolari.


Il termine salafita in arabo significa gli “antenati” e si riferisce a quella tradizione da sempre presente nella storia dell’ Islam che individua nelle prime tre generazioni (a contare da quella che ha vissuto con il profeta ) i “salaf salahin” (gli antenati pii). Sono salafiti tutti quelli che rivendicano il ritorno alle pratiche originali di questi primi adepti “puri” della religione. Dottrinariamente questo movimento disconosce ogni forma di bidaa (innovazione), considerandola contraria alla retta fede. Queste tendenze sono apparse storicamente nell’Islam nei periodi di crisi. Il loro maggior teorico di riferimento, il siriano Ibn Taymiyya é, non a caso, contemporaneo delle invasioni dei Mongoli in Medio Oriente (XIV sec.).


I salafiti sono genericamente dei ‘moralizzatori’ e si distinguono tra coloro che hanno l’obiettivo di diffondere la “vera religione” (in questo assomigliano molto ai missionari evangelisti) e sono molto vicini al wahabismo ufficiale saudita (sono comparsi in tutto il mondo arabo con la diffusione dei predicatori nei canali satellitari religiosi finanziati dai sauditi) e coloro che ritengono invece che bisogna fare la guerra contro gli stati “miscredenti” e costringerli ad applicare la “vera religione”. Questi ultimi sono i salafiti jihadisti che sono apparsi negli anni 80 in Afganistan durante la guerra contro l’Unione sovietica.


Il “partito della liberazione”, che ha come stendardo la bandiera nera del califfato Abbaside, é un movimento trans-nazionale e panislamista che aborra la democrazia e le elezioni ed ha come progetto politico l’instaurazione del califatto in tutto il mondo musulmano.


Il termine islamista é dunque troppo generico e non aiuta fare la differenza tra chi spinge per l’islamizzazione della società e chi ha un progetto politico finalizzato ad influenzare la costruzione delle istituzioni del nuovo stato.


Sintetizzando possiamo allora dire che la società tunisina si é andata progressivamente islamizzandosi, ma non da oggi e non come conseguenza dell’apertura democratica né per il progetto politico di chicchesia. Il vestimentario delle donne per le strade lo testimonia. Il recupero dei simboli religiosi altrettanto. E l’intensità delle manifestazioni di questi giorni ne sono una prova inconfutabile.


E’ altrettanto vero che la carta islamista é un boccone troppo ghiotto e troppo facile da strumentalizzare da parte di chi vede la normalizzazione del processo di costruzione dello stato democratico come uno spauracchio.


C’é da chiedersi quindi chi sia stato ad ordinare gli attacchi con bottiglie molotov alla casa del direttore di Nessma Tv. E cosa ci sia dietro questo crescendo di violenza che é arrivato ad un punto tale da spingere tutti gli operatori della rete, tecnici e giornalisti, a chiedere in un comunicato alla TAP (agenzia di stampa ufficiale) la protezione delle proprie persone e delle proprie famiglie!!!


Il “partito della liberazione”, e cioé i salafisti per eccellenza in Tunisia, pur essendo verbalmente aggressivi e moralizzatori nella pratica sociale, non hanno mai usato la violenza né l’hanno mai predicata. Se il Ministero degli Interni gli ha rifiutato il visto di riconoscimento del partito é solo perché non riconoscono ufficialmente la democrazia. Il Nahdha, da parte sua, si é nettamente distanziato da questi ultimi, entrando definitivamente nel parterre della politica rispettabile tunisina.


Per oggi é stata convocata una manifestazione a Piazza Pasteur “contro le violenze scatenate dal caso Nessma”. I laici, o semplicemente il resto della società che é rimasta fin ora a guardare, tenterà forse timidamente di recuperare un po’ di terreno. Nena News

Ennahda e la posizione dei salafiti


Tunisia e Shari'a, una riflessione per chi grida a un Califfato nel cuore del Mediterraneo


Paola Caridi :Ah, già, la paura dell’islamismo (invisibelearabs)

Commenti

Post popolari in questo blog

Hilo Glazer : Nelle Prealpi italiane, gli israeliani stanno creando una comunità di espatriati. Iniziative simili non sono così rare

giorno 79: Betlemme cancella le celebrazioni del Natale mentre Israele continua a bombardare Gaza

Video:Defamation - di Yoav Shamir Film

La Spoon River degli artisti di Gaza. Scrittori, poeti, pittori: almeno 10 vittime nei raid. Sotto le bombe muore anche la cultura palestinese